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Sentenza contro Facebook: illegittima la cancellazione delle pagine di CasaPound

A deciderlo è stato il Tribunale civile di Roma. Con delle motivazioni poderose che, si spera, faranno giurisprudenza in materia

social network: mark zuckerberg

Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg

C’è il caso specifico, che riguarda CasaPound. E su questo è bene chiarirlo subito: la discussione non verte affatto sull’orientamento politico dei “fascisti del terzo millennio”.

Le valutazioni rimarrebbero le stesse anche se parlassimo di tutt’altre ideologie, esplicite oppure no: dai fautori della peggiore speculazione di Borsa ai più accesi marxisti-leninisti. Oppure, su versanti “solo” culturali, dagli scientisti di stretta osservanza ai sostenitori dei misticismi più irrazionali.

I contenuti sono e devono restare del tutto discrezionali, a meno una loro palese illegalità. E almeno per ora, e per fortuna, l’illegalità non coincide con la propaganda in corso, dalla Commissione Segre alle sardine. La propaganda secondo cui il modello oggi dominante è buono e chi vi si oppone è cattivo. Per cui i Mattarella & C. sono gli apostoli dell’amore e i sovranisti, invece, sono i trombettieri dell’odio.

La vera questione è di carattere generale e ci riguarda tutti: perché ormai Facebook, con i suoi oltre 2 miliardi di utenti attivi su base mensile, non si può più considerare l’equivalente online di un club privato. Al quale si viene ammessi – o dal quale si viene buttati fuori – a insindacabile giudizio dei proprietari. Che oltretutto, con la scusa della “policy” della “community” (ossia le “regole della comunità”, per chi non mastica l’inglese o ne ha comunque le scatole piene di questi anglismi/americanismi che dilagano ovunque), agiscono in modo unilaterale e trincerandosi dietro le valutazioni automatiche di imperscrutabili e mitizzati algoritmi, con i quali evidentemente non si può dialogare.

Essi decidono, in base a come sono stati programmati, e gli utenti sanzionati non hanno alcuna possibilità di entrare nel merito delle singole decisioni. Il massimo che si può fare è comunicare il proprio dissenso in forma generica. Lo sconosciuto Grande Fratello in versione Zuckerberg si riserva di accogliere oppure no la lamentela: ma sempre senza fornire uno straccio di motivazione argomentata. E quando ormai il danno è stato fatto. Visto che, e parliamo per esperienza diretta, se blocchi un contenuto giornalistico di stretta attualità nel giorno in cui è uscito, per poi fare marcia indietro di lì a 36 o a 48 ore, l’impatto che quell’intervento poteva avere è ormai compromesso.

La riammissione diventa una sanatoria fittizia.

La riammissione si risolve quasi in una beffa.

Parole sante, giudice Garrisi

La sentenza a favore di CasaPound coglie alcuni punti fondamentali, ben ricapitolati nell’articolo del Fatto Quotidiano online. La chiave di volta è nitidissima: in forza della straordinaria rilevanza acquisita dalla piattaforma di Mark Zuckerberg, i criteri che vi rendono accettabile o no un determinato contenuto non possono essere stabiliti a colpi di regolamenti interni, più o meno arbitrari, ma devono conformarsi alle normative vigenti.

Il linguaggio con cui si esprime la giudice Stefania Garrisi è giocoforza quello un po’ paludato degli atti processuali, ma vale ugualmente la pena di seguirlo parola per parola: “il rapporto tra Facebook e l’utente che intenda registrarsi al servizio (o con l’utente già abilitato al servizio come nel caso in esame) non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati qualsiasi in quanto una delle parti, appunto Facebook, ricopre una speciale posizione: tale speciale posizione comporta che Facebook, nella contrattazione  con gli utenti, debba strettamente attenersi al rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali finché non si dimostri (con accertamento da compiere attraverso una fase a cognizione piena) la loro violazione da parte dell’utente. Il rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali costituisce per il soggetto Facebook ad un tempo condizione e limite nel rapporto con gli utenti che chiedano l’accesso al proprio servizio”.

Pertanto, “il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano, come testimoniato dal fatto che la quasi totalità degli esponenti politici italiani quotidianamente affida alla propria pagina Facebook i messaggi politici e la diffusione delle idee del proprio movimento”.

Eccellente, in termini di democrazia sostanziale e di rispetto del diritto, costituzionale, all’espressione del proprio pensiero.

Tuttavia, sarebbe da ingenui pensare/illudersi che la controversia si fermi qui. Benché nell’immediato la replica dei condannati alla sentenza romana si sia limitata a un prudenziale «La stiamo attentamente esaminando», è pressoché certo che arriverà un ricorso. E poi magari, se le sconfitte giudiziarie si ripeteranno, un altro e un altro ancora, fino a trasferire la vertenza in ambito internazionale.

Chiaro: mettere il bavaglio a chi non si allinea al coro dell’establishment finto corretto e finto solidale e fintissimo amorevole, è un obiettivo strategico troppo importante, per lasciare che un singolo pronunciamento metta fine ai tentativi di tacitare chi dà fastidio. Ma intanto il risultato di questo specifico match campeggia sul tabellone luminoso delle notizie di giornata e noi ce lo godiamo.

Non CasaPound 1 – Facebook 0.

Bensì Libertà di parola 1 – Zuckerberg Inc. 0.

PS E adesso vediamo cosa succede, diffondendo via Facebook questo articolo.

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