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Scuola: Affinati sbaglia, l’alunno non può autovalutarsi, né autoistruirsi

Scuola. Leggendo l’intervista ad Eraldo Affinati pubblicata su la Repubblica di sabato scorso, mi sentivo invaso da un senso di angoscia

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Affinati e la scuola. Ho letto con interesse l’intervista allo scrittore Eraldo Affinati pubblicata su la Repubblica di sabato 30 maggio, a pag. 20. A mano che procedevo nella lettura, mi sentivo invadere da un senso di angoscia crescente che, alla fine mi lasciava in uno stato di intorpidimento mentale.

L’ho riletta più volte e analizzata; credo che il mio profondo disappunto sia probabilmente connesso alle passate esperienze di insegnante (sono in pensione da diversi anni), alle difficoltà e ai contrasti incontrati nello svolgimento della professione, e alle idee che conseguentemente ho elaborato sulla scuola.

Scuola, Affinati: “Affermazioni non dimostrate”

A me sembra che, partendo da uno stato di necessità indotto dalla pandemia, il professor Affinati faccia alcune affermazioni non dimostrate per proporre cambiamenti da lui ritenuti salvifici dell’istruzione pubblica.

Partendo dall’esigenza del distanziamento sociale, una commissione del Ministero consiglia per la Scuola Media, in particolare quella di II grado, la riduzione del numero di alunni per classe e, nel contempo, la continuazione della teledidattica per una parte degli studenti.

Però, aumentando il numero delle classi in presenza, è necessario ridurre il tempo della lezione per sfruttare meglio l’orario dei docenti, che dovranno seguire più classi di prima. Con quale appesantimento del loro lavoro, non si dice.

Rendere gli studenti protagonisti

Partendo da qui, Affinati afferma che: ormai il livello di attenzione dei nostri adolescenti è drasticamente calato; occorre superare la lezione frontale e rendere gli studenti protagonisti; superare il concetto di classe chiusa; mutare del tutto il criterio di valutazione.

Riguardo al primo punto, si dà per scontato che la capacità o, forse, la volontà, di seguire la lezione da parte degli alunni di oggi sia molto inferiore a quella della generazione precedente, senza spiegarne i motivi. Quindi, va bene ridurre l’ora didattica da 60 a 40 minuti; ma se l’attenzione dura comunque al massimo un quarto d’ora, che senso ha questa proposta?

Occorre perciò, prosegue il Nostro, valorizzare questo tempo tramite l’abolizione della lezione frontale e cambiare il ruolo dei giovani trasformandoli da semplici partecipanti in protagonisti.

Le classi pollaio e l’insegnamento ad personam

Protagonisti di  cosa? Di esplicare la loro capacità di autoistruirsi? Certamente, no. Il superamento delle classi ‘pollaio’ imposto dall’emergenza consentirebbe all’insegnante di preparare un percorso didattico personalizzato per ognuno; inoltre, di sostituire la classica struttura della classe con i moduli: gruppi, magari intercambiabili, di allievi con un livello base di preparazione simile, in cui ognuno avanzi secondo le proprie doti o gusti personali.

Le classi pollaio e l’insegnamento ad personam

Per finire, l’attività di tali classi aperte dovrebbe svolgersi prevalentemente outdoor; ovvero, lo studente apprenderebbe di più e meglio con discorsi fatti all’aperto e visite guidate, piuttosto che con lo star seduto a prendere diligentemente appunti. L’intero discorso è condotto con tono elevato e certamente affascinante per gli amanti del modernismo, cioè di qualsiasi proposizione che sia (o appaia) comunque innovativa.

Nei fatti però stravolge la storia della scuola e nasconde le cause della sua crisi pluridecennale, fino al giorno prima dell’avvento della pandemia.

Parole e fatti. Un po’ di storia

Da molto tempo ormai, ogni anno scolastico termina con la promozione generalizzata degli studenti all’esame di stato e con la giaculatoria sull’impreparazione di massa certificata dall’Invalsi, per cui i nostri studenti sarebbero i più impreparati d’Europa.

Prima di questo risultato (ammessa la sua veridicità sulla base di statistiche elaborate su presupposti ideologici ) però, c’è la lunga sequela di riforme iniziate negli anni ’70 che raggiunsero il culmine distruttivo con la gestione Berlinguer- De Mauro.

Gli esami di riparazione

Erano già stati aboliti gli esami di riparazione a settembre, che ancora verificavano, seppur blandamente, le capacità dell’allievo e ancor più l’impegno. Per garantire uguali diritti e risultati a tutti , essi erano stati sostituiti con la prassi dei corsi di recupero, inizialmente facoltativi sia per gli insegnanti che per gli alunni. Il ministro Berlinguer li rese obbligatori, postulando la loro efficacia a priori; infatti, se il risultato di un recupero fosse stato negativo, il docente avrebbe dovuto cambiare il metodo; nulla si diceva sull’impegno dell’alunno.

Demagogia e principi negativi

Quest’assurda concezione non fece altro che incrementare la disaffezione allo studio anche per i più preparati e dotati; ecco una spiegazione del disinteresse per la lezione, di cui sopra.

Ma il massimo degli stravolgimenti si è avuto con i principi enunciati nello Statuto degli Studenti, concesso in modo demagogico in un periodo di caos.

In esso si afferma la centralità dello studente nel rapporto educativo, asserendo che all’inizio dell’anno il docente deve esporgli il programma che intenderebbe svolgere, motivandone l’utilità e rispettando i bisogni dell’alunno; anzi, il programma va contrattato!

I criteri di valutazione

Inoltre vanno stabilite insieme (cioè, sempre contrattate) le modalità delle verifiche e i criteri di valutazione, che possono essere sempre ridiscusse: ciò che ha aperto una prateria sconfinata a ricorsi di ogni genere, oggetto del giudizio di commissioni di garanzia nelle quali la rappresentanza dei docenti è per norma minoritaria. In più, si dice che l’insegnante deve stimolare l’alunno affinché egli sia in grado di auto valutarsi.

Altro principio affermato, quello per cui si abolisce di fatto la valutazione della condotta, sostenendo che tra questa ed il profitto non ci sia relazione alcuna; anzi, nessun comportamento o azione può essere punito con l’allontanamento dalla comunità scolastica (sospensione)e, in ogni caso la sanzione, che si può irrogare dopo una serie infinita di consigli di garanzia, deve avere funzione riabilitativa. Ciò che può spiegare la crescita continua del malcostume.

Diverse concezioni dei diritti. Proposte

Alla base di tutto, c’è una concezione piatta dell’uguaglianza e dei diritti, per cui tutti devono essere condotti ad ottenere gli stessi risultati, per forza di cose minimi, anzi infimi.

Non servono più contenuti, pesanti fardelli; basta acquisire alcune competenze pratiche e sapersi orientare, se condotti per mano da un tutor; parimenti l’asino si conduceva per la cavezza.

Al contrario, io ritengo che la scuola ( come è stato in tutte le epoche ), pubblica o privata, ha per sua natura il compito fondamentale dell’istruzione degli individui, che si realizza con la trasmissione delle conoscenze acquisite, che sono contenuti corposi, non vacue volatili competenze.  

Il ruolo dell’insegnante è fondamentale

A tale scopo è necessario che la società riconosca il ruolo fondamentale dell’insegnante, ovvero che si restauri normativamente la sua centralità nel corretto rapporto dialettico docente-discente. Ciò non comporta affatto che l’alunno sia un subalterno, come in una gerarchia da caserma; egli deve capire il valore del suo insegnante, ascoltarlo, chiedergli chiarimenti e fargli anche critiche motivate. In ogni caso deve seguirne le indicazioni,  e accettarne il giudizio espresso su di lui, per la propria crescita culturale e formativa. Più avanti, con la maturazione, capirà meglio il giudizio su di lui espresso e il valore di se stesso. Altro che l’autovalutazione proposta da Berlinguer.

L’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento

Affinché questo avvenga, l’insegnante deve essere una persona motivata e con un solido bagaglio culturale; inoltre, non dipendente dalla Politica o dai capricci sociali, come recita l’art. 33 della nostra Costituzione: “l’arte e la scienza sono libere, e libero ne è l’insegnamento”.

Pertanto credo, e questo è anche un appello, che gli insegnanti dovrebbero emanciparsi dalla condizione di sudditanza a sindacati e partiti, costituendosi come forza autonoma.

La farsa dell’esame di Stato

Le prime cose da fare in questo momento sarebbero: contestare i compiti burocratici e astenersi dalla farsa dell’esame di Stato, perché il suo esito è già deciso; richiedere con forza l’immissione in ruolo per titoli, poiché l’esperienza raffina la professionalità; richiedere stanziamenti adeguati per la scuola.

Mi accorgo di essere andato un po’ oltre le critiche al discorso del Prof. Affinati, ma non “fuori tema”. Credo però il mio intervento non verrà da Voi preso in considerazione, dato il Vostro schieramento politico, ma ancor più ideologico. La mia coscienza mi imponeva queste riflessioni.

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