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Roma violenta e cittadini inermi. Ma non se ne esce. E la Raggi non c’entra

Per chi si accontenta di informarsi sui singoli episodi c’è la cronaca nera. Per chi vuole capire davvero è indispensabile usare altri strumenti: in modo da risalire alle cause generali

Ordinaria violenza metropolitana. A getto continuo. In un impasto permanente di legalità e di illegalità.

Rapine con il morto, spaccio di droga a cielo aperto, criminalità per bande di zona che si spartiscono il territorio e che non c’è verso di estirpare. La polizia è costretta a conviverci. La cittadinanza è costretta a subirle. Ogni tanto un processo. Ancora più di rado qualche condanna eclatante. Mai nulla di risolutivo.

Questo genere di situazioni le abbiamo viste per decenni nei film e nelle serie tv made in USA e i più, probabilmente, si illudevano che non sarebbero mai attecchite anche qui: perché noi siamo un’altra cosa, rispetto agli statunitensi. Abbiamo una storia molto più antica. Una cultura molto più profonda. Una società meno frenetica e meno incentrata solo sul denaro. E sul consumismo incessante. E sull’individualismo più ottuso.

L’errore è nella coniugazione del verbo: quel “siamo” va girato all’imperfetto. “Eravamo”.

Ed è perfettamente logico, d’altronde. Negli ultimi decenni ci siamo via via allontanati dal nostro patrimonio tradizionale di valori e di consuetudini per avvicinarci, sempre di più, al modello statunitense. Non che noi fossimo meravigliosi, ma meno nevrotici sì. Meno disgregati nelle relazioni sociali e familiari, sì. Con un po’ di rispetto in più per la vita umana, sì.

Poi, come se non bastasse, abbiamo mischiato il loro peggio con il nostro: smanie di profitto all’americana, camarille all’italiana.

Povera Roma (che diventerà Los Angeles?)

Queste trasformazioni, evidentemente, non riguardano solo Roma.  E perciò – chiariamolo nel modo più esplicito, prima che scattino i soliti meccanismi delle reazioni automatiche basate sugli schieramenti politici – non ne è affatto responsabile l’attuale amministrazione M5S guidata da Virginia Raggi. Questo degrado investe la società italiana nel suo insieme, anche se si manifesta maggiormente in una metropoli come la nostra. I sindaci c’entrano ben poco: le dinamiche sono complessive.

Ed essendo complessive, e per nulla imprevedibili, una classe politica degna del suo ruolo avrebbe dovuto individuarle con larghissimo anticipo. Mica ci voleva un genio: bastava osservare, appunto, ciò che accadeva oltreoceano, soprattutto nelle grandi città da New York a Chicago a Los Angeles, per citarne solo alcune. Una volta individuato il rapporto tra le cause e gli effetti, si sarebbe dovuto fare del tutto per evitare di sviluppare le stesse infezioni.

La verità sulla quale bisognerebbe aprire gli occhi, una volta per tutte, è allo stesso tempo terribile ed elementare: questi modelli socioeconomici, imperniati su una competizione continua e così esasperata da diventare fratricida, sono di per sé il brodo di coltura ideale per il venire meno dell’etica, sia individuale, sia collettiva.

La criminalità palese che oggi ci inquieta non è affatto la malattia periferica di una società sana. Ma il sintomo più evidente di una patologia che sta invadendo, e che in larga misura ha già invaso, l’intero organismo.

O ci si chiarisce su questo, oppure – ladies and gentlemen, cittadine e cittadini, ragaabituiamoci alle rapine col morto, allo spaccio a cielo aperto, alle bande che imperversano qua e là. Un “qua e là” che sommandosi insieme diventa un terrificante dappertutto. 

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