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Roma. Il Comune coprirà fino al 90% dell’affitto, per massimo 3 anni

Si lavora al nuovo regolamento. Tra le categorie dei beneficiari anche i padri separati e le donne vittime di violenza

La denominazione è fatalmente burocratica, 'Regolamento per l'erogazione del sostegno economico finalizzato al superamento delle emergenze abitative di Roma Capitale’, ma le finalità sono quanto mai concrete e vitali: aiutare chi versa in gravi difficoltà economiche ad avere un alloggio decente.

Allo stesso tempo, però, l’idea guida non è quella del mero assistenzialismo. Se è vero che i contributi potranno arrivare a coprire il 90 per cento dell’affitto, per una durata massima di tre anni (ma scaduto quel termine si passerà all’assegnazione di una casa popolare, se lo stato di bisogno non sarà stato superato), la prospettiva è quella di un appoggio transitorio che permetta di superare i momenti difficili. In attesa di tornare a essere autosufficienti. La percentuale concessa in una prima fase sarà dunque a scalare, nel presupposto – ovviamente da verificare caso per caso – che i destinatari riescano via via a farsi carico di quote crescenti dei canoni di locazione.

Il criterio, puntualizza la presidente della Commissione VII – Patrimonio e Politiche Abitative e Progetti Speciali, Valentina Vivarelli, è quello di “accompagnare all'indipendenza”. Se la percentuale massima è ormai individuata, la situazione non è ancora ben definita per quanto riguarda gli importi più bassi. “Non ci sentiamo di indicare un minimo – chiarisce Vivarelli – anche se sappiamo che i Municipi erogano anche 100 euro come contributo all'affitto e magari le persone ci fanno poco. Forse non ha senso scendere sotto una certa cifra”.

Le verifiche avverranno a cadenza annuale. I beneficiari dovranno inviare al proprio Municipio di riferimento una autodichiarazione che attesti la permanenza dei requisiti di accesso al bonus e, nel caso, comunicare ogni variazione degli stessi, pena l'interruzione dell'erogazione. Il contributo sarà comunque bloccato qualora la persona o il nucleo eccedesse del 15% il tetto massimo di reddito previsto per l'accesso,

Una novità molto interessante è che tra le categorie che avranno l’opportunità di accedere al contributo ci sono i padri separati e le donne vittime di violenza. “A oggi – spiega Agnese Catini, presidente della Commissione V – Politiche Sociali e della Salute – bisogna essere stati sgomberati o vittime di calamità naturali per accedere al contributo, così alcuni Municipi hanno assimilato a esso anche, ad esempio, una sentenza di divorzio in cui si intima l'abbandono del tetto coniugale. Dal ’98 le situazioni e la società sono mutate: ci sono esodati che non riescono a pagare il mutuo o l'affitto, giovani coppie che non trovano lavoro e sono in graduatoria per l'Erp (Edilizia Residenziale Pubblica, ndr) ma nel frattempo non hanno una casa”.

Insomma: meno schemi fissi ci sono e meglio è.

Prosegue Catini: “Pensiamo anche di estendere la delibera alle persone con fragilità particolari, dagli anziani a coloro che sono affetti da disabilità permanenti, come la Sla: queste persone non si possono far uscire dal percorso dopo i 3 anni previsti dal contributo, perciò o alcune categorie vengono escluse da questo tetto massimo di durata oppure troviamo diversi modi per dar loro sostegno”.

Le intenzioni sono condivisibili. Resta solo da sperare che i fondi disponibili permettano di realizzarle appieno.

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