Roma, alla Sapienza un progetto contro la violenza di genere: nasce Athena
La presentazione è in programma per mercoledì 8 maggio. L’iniziativa è frutto delle risposte ai questionari distribuiti in varie facoltà

Alla Sapienza, il femminicidio di Ilaria Sula ha riportato al centro della discussione universitaria una questione che molti conoscono, pochi denunciano e troppi ignorano: le molestie negli spazi dell’ateneo. La rabbia per quella morte ha attraversato le aule, le biblioteche, i corridoi. E ha trovato forma in un progetto che porta un nome carico di significato: Athena.
Contro la violenza di genere, come si è arrivati ad Athena
Il piano nasce dal lavoro collettivo di studenti e studentesse, senatrici accademiche, attivisti dei collettivi universitari. Ha preso corpo attraverso azioni semplici ma incisive: indagini autogestite, raccolta dati, confronto diretto con le realtà transfemministe. E ora, mentre la rettrice Antonella Polimeni si prepara a un Senato accademico straordinario fissato per l’8 maggio, chi ha dato vita ad Athena vuole che quella seduta sia l’occasione per trasformare il dolore in proposta, e la proposta in cambiamento.
Quattro questionari, distribuiti nelle facoltà di Medicina e Scienze Politiche, hanno raccolto 325 risposte. Numeri piccoli solo all’apparenza, perché dietro ogni statistica si nasconde una storia. Il 17% degli studenti ha dichiarato di aver subito molestie. Emerge un dato ancora più netto: nel 42% dei casi, a compierle sarebbero stati professori. Un altro 40% indica insistenze da parte di coetanei. Non parliamo di episodi isolati, ma di un fenomeno sistemico che si manifesta in forme diverse, spesso difficili da denunciare: sguardi fuori luogo, frasi ambigue, battute sessiste, comportamenti inadeguati nei momenti di tirocinio o di colloquio.
Medicina risulta essere la facoltà con il tasso più alto di casi segnalati. Non a caso: i tirocini, spesso in ospedale, lasciano studenti e studentesse in una posizione di subalternità che può diventare vulnerabile. Al secondo posto, sorprendentemente, il corso di Filosofia, dove la gerarchia accademica assume forme meno rigide ma non per questo meno permeabili a dinamiche di potere.
Athena, di cosa si tratta
Athena non è un documento. È un processo. Le sue proposte partono da esigenze concrete e quotidiane: bagni gender fluid, codici anti-molestia effettivamente applicati, formazione obbligatoria per i docenti sulla violenza di genere e sull’identità trans. Ma anche misure più incisive, come l’allontanamento immediato di chi venga ritenuto responsabile di comportamenti inadeguati. Il principio è chiaro: l’università dev’essere un luogo sicuro. Sempre.
«Non possiamo continuare a vivere spazi che ci escludono o ci mettono a rischio», spiegano le studentesse coinvolte nel progetto. La richiesta è quella di un tavolo di confronto permanente tra istituzioni universitarie e collettivi transfemministi. Non una commissione simbolica, ma un osservatorio reale, capace di raccogliere dati, intervenire e accompagnare le vittime.
Il documento di Athena verrà portato al Senato accademico, ma non sarà l’unica voce. Mentre al Rettorato si discuterà anche del corteo del 3 aprile — quando studenti e studentesse manifestarono in memoria di Ilaria Sula e Sara Campanella, imbrattando anche la statua della Minerva come gesto di protesta — fuori si terrà un presidio convocato dagli stessi collettivi.
“Non vogliamo che sia l’ennesima discussione a porte chiuse”, dicono. “Non si può parlare di noi senza di noi. Non siamo oggetti da proteggere, ma soggetti da ascoltare”. Le parole sono dure, ma coerenti con la tensione che attraversa l’università da settimane. Per molti, il 3 aprile ha rappresentato una rottura necessaria: un momento in cui il dolore si è fatto visibile, nel bene e nel male.