Roma. Addio ad Alvaro Vitali, il Pierino del cinema italiano
L’attore romano si è spento all’età di 75 anni. Era un simbolo della cultura popolare italiana

Alvaro Vitali
Alvaro Vitali è morto a Roma all’età di 75 anni. Era ricoverato da due settimane a causa di una broncopolmonite recidiva. La notizia è stata confermata dall’ex moglie, la cantautrice Stefania Corona, con cui proprio negli ultimi giorni aveva avuto un acceso scambio mediatico.
Alvaro Vitali, uno dei simboli del cinema italiano
Nonostante i riflettori fossero ormai lontani, Vitali lascia un segno profondo nella cultura popolare italiana. Per alcuni fu solo il volto di una comicità becera, ma per molti altri fu una presenza rassicurante, simbolo di un’epoca in cui il riso era più semplice, anche se più ingenuo.
Dietro la risata c’era un uomo fragile, umile, consapevole dei propri limiti, ma anche fiero del suo percorso. Raccontava di aver lavorato con Fellini, e lo faceva con una luce negli occhi che neanche i 40 anni di barzellette sguaiate erano riusciti a spegnere.
Alvaro Vitali era e resterà un volto inconfondibile, un attore che ha attraversato decenni di cinema popolare con la sua maschera buffa, ma sempre profondamente umana.
Alvaro Vitali, gli inizi di carriera
Alvaro Vitali non aveva mai pensato di diventare attore. Faceva l’elettricista, aveva il volto furbo e gli occhi da ragazzaccio di Trastevere, e sembrava uscito da uno di quei racconti di Gadda o Pasolini. Ma era il 1969 quando il destino, travestito da Federico Fellini, bussò alla sua porta. Un provino per Satyricon bastò al regista riminese per intuirne l’istinto comico, quella naturalezza disarmante che lo avrebbe poi portato a trasformarsi in una maschera del nostro immaginario collettivo.
Non fu un esordio da protagonista, ma fu la scuola migliore. Fellini lo volle anche ne I Clowns, e poi in Roma, dove Vitali si muoveva sul palco come un ballerino d’altri tempi, ironico e malinconico. Lo stesso ruolo lo ricoprì in Polvere di stelle (1973), accanto a due giganti come Alberto Sordi e Monica Vitti. Apparizioni brevi, ma piene di quel timbro che da lì a poco avrebbe segnato la sua carriera: fisicità spiazzante, tempi comici perfetti, un talento grezzo e verace che non si poteva insegnare.
Negli anni Settanta, il cinema italiano si specchiava nei suoi vizi e nelle sue virtù. Era il tempo della commedia sexy all’italiana, genere tanto popolare quanto criticato, ma innegabilmente figlio del suo tempo. Ed è lì che Alvaro Vitali diventò un fenomeno di massa. Il personaggio di Pierino, scolaro insolente e sessualmente irrequieto, irruppe sugli schermi come un piccolo terremoto.
Il personaggio di Pierino
Il primo Pierino contro tutti uscì nel 1981 e incassò più di ogni altra pellicola di quell’anno. Il successo fu immediato e travolgente, tanto che il personaggio venne replicato in sequel, spin-off e imitazioni. Ma Pierino era solo la punta dell’iceberg: Vitali interpretò ruoli in oltre 150 film, dando vita a una serie di personaggi grotteschi e surreali, sempre in bilico tra l’ingenuità infantile e l’oscenità da barzelletta.
Il suo era un umorismo fisico, istintivo, popolare, che non cercava la satira ma si muoveva nei territori più grezzi della comicità. Eppure, a suo modo, raccontava un’Italia senza filtri: provinciale, maschilista, rumorosa e a tratti tenera, dove l’irriverenza era una forma di sopravvivenza.
Con la fine degli anni Ottanta e il declino del filone erotico-comico, anche Alvaro Vitali uscì lentamente dalle scene principali. Ma non sparì del tutto. Comparve a Striscia la notizia nei panni caricaturali di Jean Todt, ironizzando sulla Formula 1, e partecipò nel 2006 a La Fattoria, reality show che fu costretto ad abbandonare per motivi di salute legati all’asma.
In anni più recenti aveva raccontato spesso con amarezza il suo allontanamento dal cinema, lamentando di essere stato dimenticato da un sistema che, dopo averlo celebrato, lo aveva messo da parte. Eppure il pubblico non lo ha mai dimenticato. Vitali continuava ad essere riconosciuto, salutato con affetto, e citato in mille battute da chi era cresciuto con le sue gag, in un’Italia che cambiava ma non del tutto.