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Roma, a San Lorenzo una ragazza muore avvelenata dal cianuro

I sospetti per la morte della ragazza cadono sulla minestra preparata dalla coinquilina. Però c’è anche la moglie dell’amante rom, che l’aveva minacciata

Polizia

Il 22 febbraio 2000, nel quartiere San Lorenzo, una ragazza muore avvelenata dal cianuro. I sospetti cadono sulla minestra preparata dalla coinquilina. Però c’è anche la moglie dell’amante rom, che l’aveva minacciata. Infine la madre brucia il diario della vittima, per salvaguardare la sua immagine. Insomma è un giallo complicatissimo, di cui non si riesce a venire a capo, anche a distanza di anni.

Con soli 300 milligrammi di cianuro si può uccidere una persona. Lo stesso Adolf Hitler si sarebbe tolto la vita con una pastiglia di questo potente veleno, anche se altri dicono che abbia passato la pastiglia di gomma, contenente cianuro di potassio, all’amante Eva Braun, mentre lui si sarebbe sparato. Questo avvenne nelle loro ultime ore nel bunker di Berlino, prima della disfatta.

Da notare che se la pastiglia di gomma viene ingerita intera non causa la morte del soggetto, ma viene espulsa in seguito, così come viene ingerita. Solo rompendo la protezione di gomma con un morso, il veleno ha il suo effetto. Questo dettaglio è importante perché la sorella di Francesca troverà sotto il letto della sorella morta, una fiala vuota. Ma la fiala è di vetro, come quella delle iniezioni, non di gomma. Quella fiala poteva aver contenuto cianuro? O era lì per caso? Perché non venne analizzata?

Gli effetti del cianuro sono devastanti

Una volta ingerito, dolori atroci trafiggono il corpo da una parte all’altra, poi arrivano le convulsioni, il coma e, infine, la morte per arresto circolatorio. È un veleno silenzioso e crudele, come un cecchino. Per questo forse lo scelsero vigliaccamente, com’erano vissuti, i gerarchi nazisti. Uccide senza dare nell’occhio, a parte i dolori atroci che non si possono nascondere, ma che avvengono nella più completa privacy. Ha un odore di mandorle amare ma non lo si avverte, neanche a concentrazioni letali, che tuttavia non sono necessarie. Ne basta poco.

Eppure non è così facile da reperire, tanto che nessuno lo usa più per uccidere o per suicidarsi. Allora come fu che venne usato per uccidere Francesca Moretti, di anni 29, operatrice interculturale, laureata in sociologia e morta tra atroci sofferenze a Roma, nel 2000, a casa con le sue coinquiline?

La vita di tre amiche a San Lorenzo

Francesca abitava in un piccolo appartamento nella via Scalo San Lorenzo, nel cuore del popolare quartiere di Roma. Occupava una stanza singola accanto alla doppia in cui stanno le coinquiline Daniela Stuto, studentessa di psicologia, di Lentini, e Mirela Nistor, di origini rumene, cameriera in un bar. La loro vita è quella di tutti i giovani fuori sede che si trovano per caso sotto lo stesso tetto: turni per la spesa, per le pulizie, divieto di fumare in casa, chiacchiere e complicità.

Francesca era innamorata di un operatore scolastico, già sposato, con 5 figli, con impegni con la sua comunità rom

La vita scorre tranquilla fino a quando Francesca non progetta di trasferirsi nella città natale Urbino. Vuole allontanarsi da Roma per ricominciare insieme a Graziano Halilovic, un ragazzo rom di cui si è innamorata lavorando con lui nei campi nomadi. I due non possono vivere la loro storia d’amore perché il 26enne bosniaco, figlio del capo rom Vajro Halilovic e suo erede designato, è già sposato.

Quella relazione aveva messo in discussione la figura di Graziano, non tanto per la trasgressione al matrimonio (nella cultura rom la poligamia è tollerata), ma perché si era innamorato di una donna di etnia diversa. Fatima, moglie di Graziano e madre dei suoi cinque figli, aveva cercato di intralciare quella relazione, prima con una educata telefonata, poi con insulti e minacce sempre più dure. Tanto che Francesca ne era spaventata, a detta delle amiche.

Il dissidio con la famiglia di Graziano, il futuro sarebbe stato difficile con lui

Lascialo, lui vuole stare con me“, le aveva detto Francesca, ma Fatima non era disposta a perdere suo marito seppur lui aveva deciso di andarsene. Graziano però era stato nominato erede da suo padre, come capo della comunità, e per questo non poteva pensare di abbandonare il campo tanto facilmente, per andare poi con una donna non “sinti”. In questo senso le comunità zingare sono molto razziste. Viene accettata una relazione adultera con una donna di altra etnia ma non il matrimonio o la fuga.

Francesca voleva comunque partire il 23 febbraio, Graziano l’avrebbe raggiunta in seguito. Ma il 21 muore Vajro. Cambia tutto. Quattro giorni prima della partenza,  il 18 febbraio, Francesca aveva cominciato a stare male. Accusa un forte dolore alla schiena, così chiama il medico che in due anni a Roma non aveva mai disturbato. Per il dottore è una semplice lombosciatalgia che va curata con antinfiammatori e antidolorifici.

Francesca però peggiora di giorno in giorno, finché il medico ne ordina il ricovero, che lei rifiuta. Sul diario scrive: “Sto male e so che non è una semplice influenza“. Il cianuro quando lo prendi agisce subito. Ora non ho ben chiaro se una persona possa essere avvelenata a piccole dosi, giorno dopo giorno, accusando dolori come successe a Francesca ma non lo credo possibile. Se fosse così non potrebbe che essere stata una delle sue amiche. Oppure si è sovrapposto un malessere lombare a un avvelenamento dell’ultima fase?

Graziano deve prendere il posto di suo padre deceduto, non può lasciare la moglie

Al campo rom intanto il 21 febbraio, abbiamo detto, è morto Vajro, papà di Graziano. Questo può mettere in pericolo la relazione tra i due giovani. Qualcuno pensa che ci sia addirittura la stessa mano dietro la morte di Vajro e di Francesca. Per bloccare la fuga dei due innamorati e far si che Graziano non lasci il campo rom.  Ma potrebbe anche essere una sfortunata coincidenza che favorisce Fatima. In fondo poteva essere sufficiente la scomparsa del capo rom per far desistere Graziano dal suo proposito.

Ora è lui il capo dei rom: lascerà la moglie e la guida della comunità per fuggire con Francesca o resterà dov’è e prenderà il posto di suo padre? Francesca questo non lo saprà mai. Il 20 febbraio le sue condizioni si aggravano, non si alza nemmeno più dal letto. Sono le coinquiline, Dani e Miry a prendersi cura di lei. All’una di quel mercoledì Daniela cerca di invogliare la sua amica malata a mangiare qualcosa: “Ti preparo un po’ di minestra con il formaggino?“, chiede. Di solito quelle minestrine le facevano con due formaggini ma la ragazza ricorda perfettamente che in frigo ce ne fosse rimasto solo uno. Francesca acconsente a mangiare qualcosa:  consuma la minestrina, una mela e poi si rimette a letto.

Suicidio? Lo escludono tutti quella che la conoscevano

Daniela esce per fare la spesa e rifornire il frigo, intanto a casa torna Mirela. “Che faccia che hai, Francy” commenta vedendo il volto sfatto dell’amica. Intorno alle 17 inizia uno strano travaglio: le gambe e il ventre di Francesca si gonfiano, sulla pelle appaiono grossi ematomi, dopo poco comincia a urlare di dolore. Non le stavano più i pantaloni dice Mirela. “Oddio le mie gambe!”  grida Francesca che le vede gonfie come la pancia. Nel panico, Mirela telefona al fidanzato poliziotto, che la raggiunge immediatamente, insieme chiamano l’ambulanza. Intanto rientra Daniela, quando i paramedici caricano sulla lettiga Francesca, sarà proprio lei ad accompagnarla.

La madre pensa subito a un omicidio, perché aveva letto il diario di Francesca

Al pronto soccorso Francesca entra in coma, alle 19 il suo cuore smette di battere. È una morte inspiegabile, assurda, orrenda. Si pensa a uno choc anafilattico dovuto all’antidolorifico assunto la mattina, ma la morte è sopraggiunta a troppe ore di distanza per essere effetto di un’intolleranza al farmaco. Maria Assunta Berloni, la madre di Francesca, si precipita a Roma. Davanti alle amiche della figlia sbotta in uno strano: “Me l’hanno uccisa“. Spaventate, le ragazze chiedono perché sospetti una cosa del genere: “Me l’ha detto Francesca, ho letto il suo diario“. Quello stesso diario verrà bruciato dalla signora Berloni per sottrarlo alla polizia. Anche questa è una questione poco chiara.

Chi ha somministrato il cianuro a Francesca?  Una delle amiche o qualcuno che è entrato in casa di soppiatto?

Ci vogliono circa cinque mesi per scoprire, dall’autopsia, che Francesca è stata uccisa da una potente dose di cianuro, 350 milligrammi assunti per ingestione: quindi, attraverso cibo e bevande. Esclusa l’ipotesi del suicidio, i sospetti si dirigono su Fatima, la moglie tradita, ma viene subito esclusa. Sembra improbabile che la donna possa essere penetrata in casa e aver avvelenato il cibo della ragazza senza essere vista. Ma perché questa ipotesi viene esclusa del tutto? Le chiavi erano state derubate giorni prima.

I sospetti così vengono stornati su Daniela e la sua minestrina. La studentessa siciliana viene arrestata e accusata di aver ucciso l’amica con la quale conviveva da tre mesi. Tanto più che un suo zio, contadino, usava quel veleno come antiparassitario sui pomodori. Daniela però affermò di non essere mai stata a conoscenza dell’uso del cianuro da parte dello zio nelle attività di campagna. Nonostante questo viene arrestata.

Chi aveva un movente non aveva l’opportunità. Chi aveva l’opportunità non aveva movente

Chi aveva un movente (Fatima o qualcuno della sua comunità), non aveva l’opportunità e chi l’aveva (Mirela e Daniela), non aveva movente. Il delitto di San Lorenzo è un rompicapo a cui gli inquirenti sembrano costruire su misura una soluzione. Daniela, avrebbe ucciso perché – sebbene eterosessuale e fidanzata con Fabrizio – sarebbe stata innamorata di Francesca e non avrebbe sopportato l’idea che se ne andasse. Il cianuro? Semplice, lo avrebbe trovato a Lentini, il suo paese natale, dove trent’anni prima veniva usato come pesticida per i parassiti della frutta. In sede processuale questa tesi non viene dimostrata, così come difficile risulta dimostrare che sia stata la minestra o la bevanda digestiva assunta dopo il pasto ad avvelenare Francesca.

Daniela viene messa agli arresti domiciliari per 4 anni e 4 mesi, poi viene assolta con formula piena e risarcita

L’imputata tuttavia passa un giorno in carcere e un anno e quattro mesi in regime di arresti domiciliari. Processata e assolta con formula piena in tutti i gradi di giudizio, chiede un risarcimento di 500 mila euro per l’ingiusta detenzione, ma la Cassazione respinge la richiesta di quella somma assegnandole 52.100 euro. Un altro colpo duro per Daniela che, se è davvero innocente, ha ingiustamente pagato fin troppo.

Il processo viene ripreso dalle telecamere di Un giorno in pretura. Daniela viene descritta

come manipolatrice dal passato difficile (era stata abbandonata dalla madre e rimasta orfana del padre) e quando viene chiesta una perizia psichiatrica, dopo un anno di indagini, l’avvocato grida di smetterla! Quando si cerca un colpevole a volte sembra che l’accusa passi sopra a qualsiasi segno di umanità pur di raggiungere il proprio obbiettivo. Una seconda perizia dimostra che gli effetti del veleno non potevano manifestarsi dopo ore dal pasto e infine, Daniela viene scagionata e risarcita, come detto, per l’ingiusta detenzione.

Non si sa ancora chi ha ucciso Francesca a distanza di anni

Dopo la fine della vicenda giudiziaria, Daniela Stuto si è laureata e sposata con il fidanzato di allora, dal quale ha avuto una bambina. Graziano Halilovic ha avuto altri due figli, oggi dirige la onlus Roma per l’integrazione dei rom ed è lo sfortunato zio delle tre bimbe morte bruciate in un campo rom di Centocelle. Dopo la assoluzione della Stuto, sulla morte di Francesca è calato un silenzio assurdo, nessuna pista diversa da quelle battute è stata percorsa. Niente di nuovo è emerso in questi anni.

Alla coinquilina Mirela era stata rubata la borsa e le chiavi di casa una settimana prima

Come al solito succede nei cold case, ci sono anomalie nelle indagini che potrebbero consentire di riaprire il caso. Non si è mai indagato sul fatto che una settimana prima della morte di Francesca, alla coinquilina Mirela venne rubata la borsa con le chiavi di casa. La serratura non era stata cambiata, dunque era verosimile che qualcuno avesse accesso alla casa. Non sappiamo perché non fu battuta quella strada né quali segreti custodisse il diario che la madre di Mirela ha bruciato o, ancora, cosa contenesse la fiala vuota notata dalla sorella di Francesca sotto il letto, dopo la morte della ragazza.

Le chiavi rubate, la fiala sotto il letto che non viene analizzata, il diario bruciato dalla madre per salvaguardare il suo onore. Sono tutte stranezze che potevano contribuire a chiarire questo giallo. Perché infine la madre di Francesca non ha svelato alle autorità inquirenti cosa c’era scritto nelle pagine del diario date alle fiamme?