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Referendum ATAC. No quorum: solo il 16,38. Polemiche dei promotori

Dalla scarsa informazione alla gestione dei seggi, fioccano le lamentele. Ma la scarsa affluenza è un fatto

Come si dice a Roma: nun ce vonno sta’. Hanno voluto fare il referendum nella speranza di ottenere un successo che mettesse sotto pressione la Giunta Raggi e spianasse la strada alle liberalizzazioni, nonostante il voto abbia valore soltanto consultivo, e di fronte al mancato raggiungimento del quorum stanno sollevando tutte le questioni possibili e immaginabili.

Uno: non c’è stata un’informazione adeguata. Due: i seggi erano organizzati male. Tre: ci sono stati cittadini (quanti? boh) ai quali non è stato permesso di votare perché non avevano con sé la tessera elettorale, che invece non era necessaria. Quattro: il quorum non avrebbe dovuto proprio esserci.

Al di là degli aspetti prettamente legali, però, su quest’ultimo punto hanno completamente torto. Hanno politicamente torto. Quando un referendum è consultivo, il suo scopo è sondare la volontà popolare e quantificarla in cifre. Se la partecipazione è molto esigua, l’esito del voto diventa irrilevante e perde la propria ragion d’essere.

A ben vedere, del resto, neanche la soglia del 33,3 per cento avrebbe conferito un valore perentorio a un’eventuale prevalenza dei sì ai quesiti anti Atac. Poniamo, per dire, che quella prevalenza fosse stata non solo netta ma ‘trionfale’, attestandosi all’80 per cento dei votanti. Avrebbe voluto dire, comunque, che a essere favorevoli alle liberalizzazioni era un quarto dei romani. Non pochissimi, ma pur sempre assai lontani da una maggioranza effettiva.

Non avere nessun quorum equivale a togliere senso ai risultati. E il fatto che oggi si sia espresso meno del venti per cento degli aventi diritto spazza via ogni dubbio: la generalità dei romani non vuole che i servizi di trasporto finiscano nelle mani dei privati.

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