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Purtroppo non sono Ebreo quindi potrei essere malvagio e ignorante. Ecco perché

Anche se in valori statistici esilissimi, ciò aumenta la probabilità che io possa essere malvagio, persecutorio, paranoico, ignorante o cretino

Soprattutto nel Cinquecento, nello Stato Pontificio ma anche in altri paesi, gli Israeliti furono costretti a sostituire il loro nome di famiglia con quello della città o del luogo di provenienza, o con un nuovo cognome imposto dai pubblici poteri. Il cognome del sottoscritto giornalista per caso, graficamente e foneticamente identico a quello di un’antica e nobile città, deriva da una maldestra italianizzazione tardo-medioevale del cognome siciliano “Arizz’” riferito alla tecnica di battaglia “a riccio” di cui i miei antenati guerrieri furono -documentatamente- specialisti. I miei avi, tutti formalmente cristiani, non hanno dunque subìto alcuna angheria di quel genere. Ma naturalmente le ottuse false certezze di certi antisemiti non mi hanno risparmiato, nel corso del tempo, qualche molesta allusione o qualche ingiuria. E a tale riguardo non posso neppure ritenermi sfortunato, confrontandomi con ciò che purtroppo è tuttora riscontrabile nelle cronache quotidiane del nostro Paese.

Dichiaro solennemente la mia convinta solidarietà con le comunità ebraiche, come con qualsiasi altra comunità ingiustamente diffamata e discriminata. Sentirmi Ebreo onorario mi pone su un livello di dignità morale incommensurabilmente più elevato rispetto a quello degli smidollati persecutori che fanno d’ogni erba un fascio, colpendo alla cieca un gruppo sociale formato da singole persone (in carne ed ossa, con pregi e difetti affini a quelli di tutti gli altri esseri umani), tra le quali per ovvia condizione statistica prevalgono ampiamente le persone degne di rispetto e non certo i soggetti mal disposti o devianti. Incidentalmente: quanti Ebrei oggi in Italia risultano coinvolti, ad esempio, in spaccio di droga, attività mafiose e rapine?

Ma le riflessioni doverose sulla questione ebraica risalgono per forza di cose a due millenni fa, allorché il continuo impari conflitto tra Ebrei e Romani dominatori approdò a stragi senza fine, a due successive distruzioni del Tempio di Gerusalemme e alla forzosa fuga e dispersione (“diaspora”) degli Israeliti verso altre terre: dell’est, dell’ovest e del nord, con diffusione in molti paesi dell’Europa. Solo una piccola comunità si insediò a sud in territorio etiopico-eritreo, là dove non incontrò reazioni ostili. In quasi tutti gli altri siti di insediamento, invece, questi gruppi di famiglie immigrate, con la loro strana religione monoteistica, con la pratica della circoncisione, con la loro troppo stretta solidarietà reciproca, con la loro estraneità ai riti, ai miti e alle usanze locali, suscitarono diffidenza e vennero sottoposti a restrizioni vessatorie su diversi piani: quello lavorativo, quello dei diritti di proprietà e quello religioso.

Cominciamo da quest’ultimo. La dottrina dei Padri della Chiesa cristiana li accusò subito di “deicidio”, ovvero di “assassinio di Dio” richiamando, oltre alla figura di Giuda, sia la perfida volontà eliminatoria del Sinedrio, sia la folla inneggiante a Barabba. Qui però balza evidente all’occhio un’insanabile contraddizione: se dichiaratamente il Dio-Figlio preordinò il suo destino di sacrificio in quel contesto, astenendosi dall’esercitare la sua onnipotenza per mutare in meglio gli animi del popolo ebraico, ebbene, allora che senso ha l’accusa di deicidio? Oltre che illogica, l’attribuzione della presunta colpa appare ottusamente malevola e meschina. Eppure ancora oggi c’è chi ci crede.

I diritti di proprietà furono drasticamente limitati e talora azzerati. Le comunità immigrate, salvo sporadiche e temporanee eccezioni, non poterono acquisire proprietà né rurali né urbane, finendo con il chiudersi nei ristretti quartieri (i “ghetti”) in cui erano autorizzate a risiedere. Una tale situazione aggravò il clima di separazione tra Ebrei e Gentili, fomentando ulteriore vicendevole diffidenza e rancore. A completare l’opera, lo Stato Pontificio ed altri Stati europei procedettero a periodiche perquisizioni spoliatorie a sorpresa nei ghetti. Gli Ebrei non dovevano accumulare danaro né oggetti preziosi! Dovevano espiare le loro colpe e non essere minimamente invidiati dai sudditi cristiani.

Sul piano lavorativo, molte attività vennero interdette agli Israeliti. Qualche Stato consentì le professioni liberali, qualche altro solo certe attività commerciali e finanziarie, strettamente controllate e fortemente tassate, onde non intaccare i proventi delle corporazioni mercantili e bancarie già operanti sul territorio. L’imprenditore ebreo si accollò allora gli oneri commerciali e di finanziamento più rischiosi e meno garantiti, facendo innalzare di conseguenza i tassi di interesse. Dai costosi prestiti degli Ebrei ai Gentili conseguì una prevedibile cattiva fama di avidità usuraria implacabile che più d’ogni altro pregiudizio marchiò indelebilmente la figura-tipo dell’Ebreo. Una certa situazione condizionata da evidenti fattori storici e socio-politici fu dunque spacciata per “tendenza” connaturata, in un’ottica palesemente razzistica.

Anche a quest’ultimo proposito, quale può essere la plausibilità dell’attribuzione di una connaturata tendenza mentale e comportamentale ad un’etnia profondamente trasmutata rispetto alle sue caratteristiche originarie attraverso le bimillenarie incessanti evenienze incrociate, inter-etniche, di matrimonio (là dove  consentito), di convivenza nota o clandestina, di adozioni, di affidamento e scambio di bambini in caso di devastanti epidemie e calamità o di morti premature dei genitori, di rapporti sessuali occasionali o perduranti, e chi più ne ha più ne metta?

Infine, quale mentecatto schizofrenico potrebbe oggi prestare fede al famigerato e falso “Protocollo dei Savi di Sion” e alla connessa teoria, illogica e insostenibile, di una cospirazione giudaica mondiale intenzionata a sottomettere il mondo mediante una sinergia aggressiva “a tenaglia” tra capitalismo bancario e (!!!) comunismo, entrambi generati dallo “spirito ebraico”?

E’ lo stesso folle, ottuso tipo di pregiudizio dogmatico che porta al negazionismo, ovvero alla negazione della palmare evidenza dell’Olocausto e alla sottovalutazione delle responsabilità del nazismo: responsabilità che si differenziano aberrantemente da ogni altra orrenda storia di feroce violenza politica, perché nel caso nazista non ci si rivolge contro veri o presunti agguerriti nemici motivatamente meritevoli di odio, ma si è invece stati capaci di pianificare cinicamente a freddo lo sterminio di categorie del tutto inermi, comprendenti i bambini nati con malformazioni o deficit, i disabili fisici e mentali, gli zingari, gli omosessuali. Né altri regimi ferocemente oppressivi hanno consentito gare di sfracellamento di crani di neonati o esperimenti medici insensati e letali come quelli di Mengele o realizzazioni di paralumi con ossa e pelle tatuata di prigionieri o di “saponi di puro grasso ebreo”.

Utile esercizio culturale vivamente consigliato: data la percentuale degli Israeliti, in Europa e in America, nel corso della storia sempre nettamente inferiore al 5% della popolazione complessiva di ogni paese ospitante e assai spesso inferiore all’1%, prendere nota del numero di grandi intellettuali, artisti, scienziati, filosofi, inventori, imprenditori innovativi appartenenti alle esigue comunità ebraiche. Buon lavoro.

*Articolo curato da Gaetano Arezzo.

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