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Pensare al tempo del tramonto: addio a Roberto Calasso, scrittore ed editore di Adelphi

L’intellettuale nato a Firenze è morto a Milano all’età di 80 anni dopo una lunga malattia

roberto calasso

Roberto Calasso

“Una virtù dei Grandi è di essere sordi / a tutto il molto o il poco che non li riguardi”. Così scriveva Montale nel “Diario del ’71 e del ’72”, volendo commemorare Benedetto Croce a vent’anni dalla sua scomparsa. Roberto Calasso – che ci ha lasciato in questa torrida fine di luglio del 2021 – è stato, tra gli intellettuali italiani contemporanei, certamente uno dei più fecondi e interessanti.

Da decenni alla guida di una realtà editoriale come Adelphi, ha contemporaneamente scritto saggi di una lucidità visionaria, a cavallo tra pensiero filosofico, antropologia e mito. Tra le altre cose, è stato tra i pochi pensatori italiani a padroneggiare, con pari abilità, la cultura occidentale e la cultura orientale. Se si vuole avere un’idea dei temi della sua riflessione, oltre al catalogo Adelphi, occorre meditare su un libro come “I quarantanove gradini”.

Uscito, come tutti i suoi libri, per Adelphi nel 1991, esso raccoglie la maggior parte dei suoi articoli e dei suoi saggi (almeno per quanto concerne la prima stagione della sua produzione). Da “Ecce homo” di Nietzsche, al suo maestro Roberto Bazlen, a Robert Walser e Karl Kraus, all’opinione, ad Heidegger Benjamin e Adorno, a Stirner e al Presidente Schreber, a Simone Weil, Flaubert, Céline, Gottfried Benn. Fino ad arrivare al mito, che è stata la quintessenza di tutte le sue ricerche. 

Certo non si tratta di nomi adatti a un’epoca che sta drammaticamente disimparando a leggere. Ma così voleva la natura di una mente, che non ha mai abbandonato la sfida della complessità.

Un’opera che abbraccia il mondo

Ma il suo vero capolavoro è un’opera-mondo, di cui finora sono usciti undici volumi e che non ha ancora un titolo complessivo.

I singoli volumi che la compongono sono: “La rovina di Kasch”, “Le nozze di Cadmo e Armonia”, “Ka”, “K.”, “Il rosa Tiepolo”, “La Folie Baudelaire”, “L’ardore”, “Il Cacciatore Celeste”, “L’innominabile attuale”, “Il libro di tutti i libri”, “La Tavoletta dei Destini”. Si va dalla contemporaneità, al mito greco e indiano, a Kafka e alla pittura di Tiepolo, allo spirito francese all’epoca di Baudelaire, alla Bibbia, ad aspetti generali e particolari del mito. Sempre con un’attenzione particolare alla dimensione delle storie, che già affascinava Elias Canetti.

“La rovina di Kasch” (1983)  – cui fa da pendant “L’innominabile attuale”, uscito trentaquattro anni dopo, nel 2017 – è un libro profondo, radicale, con dei segreti e una concezione piuttosto innovativa anche sul piano formale. Tanto da attirare l’attenzione di Italo Calvino, che ad esso dedicò una meditata recensione. Calvino disse che uno degli argomenti trattati nel libro è Talleyrand e l’altro è tutto il resto. Ma si potrebbe anche dire che, oltre a Talleyrand, il tema fondamentale del libro è il sacrificio rituale.

O, ancora meglio, che Talleyrand e il sacrificio sono due lenti, attraverso cui guardare un unico oggetto: la dimensione del contemporaneo.

Una situazione complessa

Calasso ha il pregio, nella linea di grandi pensatori come Heidegger e Adorno, di non offrire facili ricette per uscire dalla crisi contemporanea, che dura dal tempo della Rivoluzione industriale e della Rivoluzione francese. Ossia lo sguardo sulla tragedia contemporanea non subisce, nella sua analisi, nessuna edulcorazione di sorta.Perché tragedia? Perché il nostro tempo è stato testimone di eventi come le due Guerre mondiali, la Shoah e la bomba atomica, Hitler e Stalin, la guerra fredda e la caduta dell’Urss, il crollo delle Torri gemelle e il Coronavirus.

Può sembrare soltanto passato se, sociologicamente, si è schiacciati sull’attualità, non se, come Calasso, si abita il piano dell’analisi teorica. Un livello di distruttività inaudita, rispetto alla passata storia umana, è stato liberato e si fatica a comprenderne le ragioni. La contemporaneità racchiude la dismisura, coltiva in modo sistematico la disgregazione, la perdita di centro e il disequilibrio. Questa è la verità del nostro tempo. 

Come Heidegger ha insegnato a tutta la cultura contemporanea, la tecnica mira al dominio e al controllo sulle cose. In particolare, allo sfruttamento sistematico delle energie naturali. Come Adorno e Horkheimer hanno messo in luce, al culmine del progresso reso possibile dalla cultura dell’illuminismo, si trovano le tenebre del mito. Ovviamente, per Calasso, il mito ha una valenza assai più positiva, che non per Adorno e Horkheimer. 

Viceversa, nelle culture antiche e tradizionali, l’atto rituale del sacrificio garantiva un equilibrio con il mondo, che oggi è stato perduto. Particolarmente nell’India vedica. Ma anche in Grecia e a Roma. Lo snodo profondo di queste civiltà antiche non è l’armonia del classicismo e dell’umanesimo, ma, ci dice Calasso, il sacrificio. L’antichissima civiltà dell’India, quella del Veda – che già incantava Schopenhauer – prima dell’apparire del buddhismo, è il paradigma dello splendido equilibrio che il politeismo delle civiltà antiche aveva saputo stabilire con il mondo. E che, oggi, si rimpiange a calde lacrime.

Il puntello della precisione

Il mondo che Calasso ha di fronte, in “La rovina di Kasch”, è ancora quello della guerra fredda. Un mondo fatto di potenze economiche, militari, materiali. Ossia una realtà che è l’antecedente di quella che viviamo oggi, in cui la globalizzazione informatica, ossia legata a internet, ha preso il sopravvento. Eppure la ricchezza di questo tipo di libri, risalendo indietro fino ai ‘maestri del sospetto’ Marx Nietzsche e Freud, è che parlando dello ieri e dell’altro ieri, si articola un discorso che vale, inevitabilmente, anche per l’oggi.

In altre parole, internet costituisce certamente, al di là del giudizio di valutazione che se ne vuole dare, la grande trasformazione intervenuta nel nostro tempo. (Questa espressione, ‘grande trasformazione’, riprende il titolo di una grande opera di Karl Polanyi).

Eppure, ciò non toglie che la diagnosi di Nietzsche sulla nostra epoca come caratterizzata dal nichilismo e dalla morte di Dio, continua ad avere la sua straordinaria efficacia. Analogamente a quella di Marx relativa all’esperienza dell’alienazione, di fronte ad un mercato che si è affermato come dimensione totale e globale. Lo stesso può dirsi per il pensiero di Freud sul disagio della civiltà.

In più si aggiunga che, con “L’innominabile attuale”, Calasso salda il conto anche con le evoluzioni più recenti della globalizzazione. Non solo, ma come ha messo in luce Walter Benjamin, attraverso uno straordinario passo epistolare, il vecchio Goethe, nel 1825, era perfettamente cosciente di tutto di questo. In una misura in cui, gli odierni alfieri del neo-liberismo – che vivono nella persuasione, di derivazione hegeliana, che il reale sia anche razionale – non potrebbero nemmeno sospettare.

“La tracotanza, è necessario estinguerla ancor più che il divampare di un incendio” (trad. it. di G. Colli), dice il frammento 43 di Eraclito, già addestrato sui pericoli della dismisura. Si tratta di un merito del pensiero di Calasso, quello di guidarci in questo faticoso cammino di consapevolezza.

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