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Parola d’ordine: fermare Putin con ogni mezzo e regalare a Kiev gli asset russi

I costi della guerra contro la Russia sono stimati in dieci miliardi di dollari al mese e sia per la Ue, sia per gli USA, proseguire i finanziamenti è sempre più oneroso

Vladimir Putin

Vladimir Putin

Per l’Occidente, e in particolare per la UE, la parola d’ordine è diventata questa: fermare Putin con ogni mezzo. Nelle intenzioni dovrebbe essere una prova di forza. Di fatto, è quasi l’esatto contrario. Il frutto di un malcelato nervosismo che spinge a una serie di fughe in avanti.

Il futuro prossimo dell’Europa

Per lo più in chiave militare, nel presupposto che in un futuro piuttosto prossimo l’Europa e la Nato possano dover combattere una guerra aperta e a tutto campo, ma non solo.

L’altro grande versante è quello finanziario. E l’ipotesi di cui si parla già da tempo è tanto straordinaria quanto irta di rischi: trasformare in una requisizione definitiva l’attuale congelamento degli asset della banca centrale russa, il cui importo è stimato in circa trecento miliardi di euro, per metterli a disposizione dell’Ucraina. O forse, più precisamente, di Zelensky.

I vantaggi, nelle intenzioni di chi caldeggia l’operazione, sono ovvi. I capitali necessari per sostenere il conflitto in corso sono enormi e l’esproprio consentirebbe, in un sol colpo, di avere un’impennata nei fondi a disposizione. Per capirci: i costi della guerra contro la Russia sono stimati in dieci miliardi di dollari al mese e sia per la Ue, sia per gli USA, proseguire i finanziamenti è sempre più oneroso. L’ultimo pacchetto approvato a Bruxelles è stato di cinquanta miliardi e quello tuttora all’esame del Parlamento americano arriva a sessanta.

L’idea di acquisire gli asset russi nasce da questo stato di cose. Ma un conto è parlarne, magari sbandierandola come una minaccia che spinga il Cremlino a venire a patti, e tutt’altro è realizzarla.

Oplà: la difesa ucraina la paga Mosca

A tavolino può sembrare il classico uovo di Colombo. E i sostenitori di spicco non mancano.

Meno di un mese fa, a margine della Prima riunione dei Ministri delle Finanze e dei Governatori delle Banche Centrali del G20 a San Paolo del Brasile, un personaggio del calibro di Janet Yellen ha cercato di dare alla confisca una legittimazione ad amplissimo raggio.

“Credo – ha detto la segretaria al Tesoro dell’Amministrazione Biden, nonché ex presidente della Federal Reserve USA tra il 2014 e il 2018 – che ci siano gli estremi legali, economici e morali per proseguire. Sarebbe una risposta fondamentale alla minaccia senza precedenti della Russia alla stabilità globale. Renderebbe chiaro alla Russia che non può vincere prolungando la guerra e la incentiverebbe a venire al tavolo per negoziare una pace giusta con l’Ucraina”.

A sua volta, nel gennaio scorso e sulle colonne del Financial Times, l’ex presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick aveva affermato che “gli amici dell’Ucraina devono mandare un segnale per dire che Mosca non può durare più a lungo di Kiev”. Per poi aggiungere, con quella che gli sarà sembrata una considerazione brillante, “è giustizia elegante farlo con gli asset stessi della Russia”.

Appunto: a tavolino il libro dei sogni, o del wishful thinking per dirlo in inglese, si scrive benissimo.

Chi spadroneggia e chi giudica

Nella realtà, semmai questa clamorosa decisione venisse presa davvero, le cose stanno in modo assai diverso. E assai meno rassicurante.

La partita, infatti, non è solo tra il blocco atlantista e la Russia. E accanto ai benefici ci sarebbero le conseguenze.

Innanzitutto la possibilità, per nulla teorica, che Mosca adotti misure analoghe sugli asset occidentali presenti nel proprio territorio. Un patrimonio che secondo fonti russe ammonta a 288 miliardi di dollari. Oltre 220 dei quali, ossia più del 75%, appartengono a nazioni europee.

Ma il pericolo ancora maggiore è altrove. È nelle ripercussioni a catena che potrebbe avere una scelta così forte, e sostanzialmente arbitraria, sulla finanza globale.

L’azzardo, più che mai strategico, è che venga messa a repentaglio la credibilità dell’euro. Come ha scritto recentemente Leonardo Sala, in un articolo pubblicato sul sito geopolitica.info, “Dando vita ad un importante precedente reputazionale, l’esproprio degli asset russi rischierebbe di spingere molte banche centrali di vari Paesi stranieri a ridurre le loro riserve in euro come misura cautelare, indebolendo così la valuta dell’eurozona”.

Alle solite: USA e UE continuano a illudersi di avere lo stesso predominio che avevano in passato. Con la stessa facoltà, unilaterale, di rimodellare a piacimento gli standard dell’economia e della politica planetaria.

Le trasformazioni in atto vanno in direzione opposta. E la prima lezione che ne andrebbe tratta è che per sconfiggere gli avversari di turno non basta più demonizzarli ex cathedra e trattarli da paria, privi di qualsiasi diritto.

Loro non sono vittime designate, per “manifesta” inferiorità morale e indegnità democratica, e il loro destino dipende da tanti altri fattori. Ivi inclusi, o in primis, i giudizi e le risposte delle nazioni non direttamente coinvolte nelle contese in corso: la Cina, i restanti membri dei Brics, chissà quanti altri Stati disseminati per il mondo che non ne possono più dell’egemonia occidentale e che premono per raggiungere, invece, un assetto diverso e multipolare.

Gerardo Valentini – presidente Movimento Cantiere Italia