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Non Bezos, ma opere di bene. Jeff Bezos, primo civile nello spazio

L’assonanza fra i “baci” in spagnolo e quel cognome suggerisce, alla luce dell’evento di questi giorni, una rivisitazione della pia esortazione una volta in uso, poi assurta a modo di dire. E qualche considerazione sulla portata dell’impresa

Jeff Bezos e il razzo vettore, dopo il volo nello spazio

Tra i fatti che in questi giorni hanno occupato le prime pagine dei giornali – d’estate sempre affamate di notizie vere – brilla l’impresa spaziale del magnate di Amazon, Jeff Bezos. Come sapete è volato nello spazio con l’apposita sua navicella New Shepard con l’obiettivo di varcare quell’immaginario invisibile confine: la cosiddetta linea di Kármán, a 100 chilometri dalla superficie terrestre, che la Fédération Aéronautique pone come valico da e verso lo spazio profondo; in altre parole, se la passi sei stato davvero “nello spazio”. Con lui un ristretto manipolo di audaci privilegiati: il fratello Mark, l’ultraottantenne recidiva Wally Funk, e il figlio diciottenne di un miliardario che gli ha pagato 28 milioni di dollari per il biglietto (unico passeggero pagante; oltre il padron di casa, naturalmente).
Il volo è riuscito. Ed è durato ben 11 minuti, di cui – ascoltate – 3 vissuti in condizioni di microgravità! Come veri astronauti. Non vi dico il panorama; volete mettere l’esperienza dal vivo a confronto con quei lunapark delle sale Imax o addirittura con le riprese viste in televisione dagli Angela?

Note a margine

Sarebbe una notiziola innocua, il miliardario di turno che, giacché lo può, vuole togliersi anche questo sfizio (“Il giorno più bello di sempre” ha dichiarato sul predellino); su altri palcoscenici, da che mondo è mondo, si era già visto.
Ma per i media è molto di più, è un invito a nozze: l’abilissimo e capillare marketing orchestrato dalla Blue Origin di Bezos ha approntato per loro – a partire dalla diretta planetaria – un menu goloso, con una quantità di piatti ghiottissimi. E volete che tv e testate giornalistiche di carta e in rete non si buttino a capofitto sui piatti, come Totò e famiglia in Miseria e nobiltà? L’hanno fatto, ed è il tono che non ci piace: poca ironia, molta enfasi.
A parte la brillantezza dell’organizzazione, si è esaltato il valore simbolico (la data scelta del 20 luglio celebra l’anniversario dell’allunaggio dell’Apollo 11!); lo sfondamento dei record generazionali (la persona più giovane e la più vecchia mai portate nello spazio). Non si è trascurata la notazione – sempre opportuna – di genere: la signora Funk negli anni ’60 era stata pioniera di un programma privato, elaborato a dispetto della NASA, per aspiranti astronaute.
E infine, non da poco, il messaggio alluso oggi a me, domani a te: la navetta è riutilizzabile! Al crescere del numero e della frequenza dei viaggi, il biglietto diventerà un giorno alla portata della gente comune. O quasi. E non basta: agli uomini d’affari si fa sapere che questi primi voli spaziali fungeranno da test per nuove modalità di spostamento – più economiche e ugualmente fulminee – da un capo all’altro del pianeta.

Un’ultima considerazione

In questo coro di testimonial, quasi nessuna delle testate che contano ha fatto notare la povertà etica dell’impresa e dei suoi intenti: l’inaugurazione del turismo spaziale, un divertimento per nababbi e poco più. Nel momento in cui il pianeta fronteggia crisi non da poco, con un futuro allarmante se non si cambia rotta.
Da qui il titolo, forse criptico, che la vicenda ci ha suggerito: più che lustrini (fiori, baci-besos), sarebbe il caso di volgersi ad opere di bene, come investimenti sull’ambiente, attenuazione delle tensioni sociali…

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