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Moschee e palazzine a Roma con i fondi dello sceicco del Qatar

Prevista a breve l’apertura di nuovi luoghi di culto nella Capitale, il mecenatismo è il nuovo business del mondo arabo

Da sempre amante delle griffe più prestigiose e dei prodotti d'eccellenza del nostro paese,  il business arabo ha più volte manifestato grande apprezzamento per lo stile italiano. Solo per citare alcuni degli affari più noti conclusi con l'aquisizione di noti marchi e simboli del "made in Italy" da parte di holding del mondo arabo: nel 2011 il Paris Group di Dubai ha acqusitato l'intera Maison Gianfranco Ferrè;  nel 2012 il marchio Valentino, insieme a Missoni viene ceduto ad una società del Qatar per 700 milioni di euro; un fondo statale di Abu Dhabi ha acquistato dalla Fiat il 5% del marchio Ferrari; degli ultimi mesi è invece l'aquisizione di una quota del 47% de capitale di Alitalia da parte di Ethiad (compagnia di bandiera degli Emirati Arabi).

Negli ultimi anni il business arabo ha scoperto anche la necessità di investire nella creazione di luoghi di culto in Italia. Ogni anno cospicue somme  giungono nel nostro Paese per finanziare l'apertura di luoghi di culto, solo nell'ultimo anno sono state all'incirca venti le associazioni che avrebbero goduto di ingenti fondi provenienti da un noto Sheikh del Qatar. Le comunità sono selezionate dai finanziatori, principalmente sceicchi del Qatar ,sulla base della loro pedissequa osservanza della dottrina wahabita.

Dietro queste opere di mecenatismo, i più maliziosi scorgono l'intento di voler aggirare i vincoli normativi in materia di regolamentazione dei luoghi di culto: acquisendo un intero immobile, attraverso un esborso sostanzioso sosteuto da finanziatori stranieri si otterrebbe la possibilità di poter decidere liberamente sull'impiego della struttura. Infatti, una cosa è la destinazione principale o esclusiva di un immobile all’esercizio del culto religioso, altra cosa è l’utilizzazione, accessoria o marginale, a fini religiosi e di culto da parte di un’associazione culturale, nell’ambito dei suoi scopi statutari. In quest’ultimo caso, non sarà nemmeno necessaria una specifica destinazione urbanistica dell’immobile (lo ha ribadito di recente il TAR Lombardia, in una vicenda che interessava il Comune di Pioltello).

A Roma sta accadendo una situazione analoga, nella zona est della Capitale sulla via Casilina, dove sono già presenti diversi garage in affitto o acquistati da associazioni culturali di religione islamica: è stato aquistato un intero immobile, attualmente in ristrutturazione per essere adibito, almeno al suo interno, a moschea. D'altronde la costruzione di una moschea in piena regola necessita di permessi e iter burocratici molto più lunghi.

Risulterebbe più agevole mantenere dall'esterno le sembianze di una normale palazzina, priva di minareti o altri simboli riconoscibili, al cui interno, grazie alla copertura legale dell'associazione culturale, nulla vieterebbe la creazione di una vera e propria moschea con annessa scuola coranica.

In tutta Italia i luoghi di culto islamico, effettivamente censiti, sono circa 800,  di cui una cinquantina solo a Roma. La domanda che molti cittadini e comitati di quartiere si pongono è quanti di questi spazi rispecchino i requisiti  necessari per essere riconoscibili come luoghi di culto.

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