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MAGA, lo slogan mendace di Donald Trump

Lo slogan ha il potere di colpire e aggregare immediatamente coloro che, per qualche ragione, in esso vogliono identificarsi e credere

Donald Trump, Iran

Gli slogan hanno sempre grande efficacia, perché si agganciano ai simboli archetipici nel nostro inconscio, immagini simboliche delle esperienze collettive dell’umanità. Nella loro estrema sintesi, gli slogan visualizzano immediatamente concetti che, altrimenti, avrebbero bisogno di molte parole per essere rappresentati compiutamente.

Il potere degli slogan

Tutti noi ne abbiamo scanditi o sentiti nella nostra vita, il più delle volte senza domandarci o approfondire se dietro lo slogan ci fosse un concetto preciso. Lo slogan è straordinariamente convincente quando chi lo ascolta è profondamente convinto del suo contenuto, a prescindere dagli effetti che quel contenuto, se applicato, avrebbe nella realtà. “Lavorare meno, lavorare tutti!” lo slogan degli anni ’70, convince facilmente tutti: sia chi lavora e gradirebbe lavorare meno, che chi non ha un lavoro e vorrebbe averne uno

La realtà dietro gli slogan

Ma dietro quello slogan, scandito da chi combatteva contro lo sfruttamento dei lavoratori per una migliore qualità della vita, c’era un’illusione: quella di poter tutti lavorare, lavorando tutti meno, ma senza cambiare le regole del gioco. Calato nella realtà dell’economia capitalista, quello slogan significa, però, che se tutti ottengono il diritto a lavorare, tutti guadagneranno meno di quello che guadagnano coloro che già lavorano. Perché una società nella quale tutti indistintamente abbiano un lavoro ben retribuito, lavorando poche ore a settimana, non sarebbe altro che la mitica “isola che non c’è” di Peter Pan e della canzone di Edoardo Bennato.

Quello slogan in realtà significa: “bisogna abbattere il sistema capitalista, per sostituirlo con quello collettivista, dove a tutti viene dato un lavoro e una retribuzione”, bassa, ovviamente. Quanti, di quelli che già lavorano, vorrebbero quel tipo di cambiamento e quanti, nel gridare quello slogan, hanno avuto chiaro il cambiamento radicale della società che esso sottintendeva?

Fare nuovamente grande l’America

Ma lo slogan ha il potere di colpire e aggregare immediatamente coloro che, per qualche ragione, in esso vogliono identificarsi e credere. E’ quello che è successo agli elettori americani, che hanno voluto credere al M.E.G.A. “Make America Great Again” di Donald Trump. Rendiamo nuovamente grande l’America, o meglio, gli USA.

L’inganno dello slogan di Trump sta nel tentativo di convincere gli elettori che gli Stati Uniti possano tornare grandi, smettendo di fare gli USA. Basta con le guerre in difesa e in aiuto degli altri, basta con politica imperialista, che costa le vite dei nostri ragazzi, pensiamo ai fatti nostri, pensiamo alla nostra economia ed alla nostra sicurezza e che gli altri si arrangino. Benessere, sicurezza e tranquillità senza correre rischi; molto affascinante. Peccato che questo è l’esatto contrario di ciò che, in passato, ha reso “grandi” gli USA.

USA, gigante dai piedi d’argilla

Lo slogan trumpiano dimentica, innanzitutto, che gli USA non sono più l’unico gigante in circolazione. Ce ne sono altri e altri ancora ne stanno emergendo e quei giganti, primo tra tutti la Cina di Xi Jinping, sono figli della bulimia del capitalismo statunitense, sempre alla ricerca di manodopera da sfruttare e di nuovi mercati da invadere con i propri prodotti, da vendere a quella stessa manodopera, certamente sfruttata ma, proprio per questo, un po’ più ricca di prima e quindi pronta a diventare consumatore, in un ciclo capitalisticamente perfetto.

Una bella tigre da cavalcare! Una tigre che gli USA, hanno cavalcato per anni, dimenticando che tutte le tigri, prima o poi, si fermano e divorano il loro cavaliere.

La Cina, da mercato è divenuta rapidamente mercante, inizialmente grazie al basso costo della manodopera, ma poi anche grazie alle tecnologie apprese dalle aziende che volevano sfruttarla ed alle capacità di un popolo laborioso e intelligente, capace di riprodurre il boom economico italiano degli anni ’60, elevandolo all’ennesima potenza.

L’ibrido cinese

La Cina è il più incredibile ibrido della storia dell’economia e per questo si sta divorando i mercati mondiali, incluso quello americano: un Paese dalle immense risorse naturali e manifatturiere, governato da un sistema politico comunista, dirigista e incontrastabile, che stimola l’iniziativa privata, indirizzandola verso uno sviluppo economico di stampo oggettivamente capitalista.

Un paese che punta decisamente all’innovazione, con lo sviluppo di tecnologie che richiedono conoscenze scientifiche e genialità che, per la legge dei grandi numeri, sono facilmente reperibili tra una popolazione immensa, che si sta sempre più istruendo nel campo delle biotecnologie e dell’intelligenza artificiale. Una potenza impegnata nella conquista del mondo, senza guerre e violenza, ma con lo strumento della cooperazione internazionale con i paesi più poveri, aiutati a crescere, ma anche ad essere, irreversibilmente legati ad essa.

Una locomotiva inarrestabile, con la quale gli USA, prima o poi, dovranno fare i conti e non saranno conti facili né pacifici. Un gigante che è diventato l’esempio da seguire per Paesi come l’India o il Brasile pronti ad irrompere sulla scena economica mondiale con gli stessi strumenti concorrenziali.

Lo stanco gendarme del mondo

L’altra cuspide della grandezza statunitense è storicamente rappresentata dalla leadership, assunta nel dopoguerra, come potenza militare ed economica, impegnata soprattutto a contrastare, con ogni mezzo e dovunque, l’influenza sovietica. Decidendo le composizioni dei Governi aderenti alla NATO o favorendo, con la sapiente e brutale regia della CIA, la nascita di odiosi regimi dittatoriali in tutti quei Paesi che tentavano di liberarsi dalla colonizzazione capitalista, per sperimentare vie diverse da quelle gradite a Washington, oppure sostenendo governi fantoccio con guerre non dichiarate, come quella sanguinosa del Viet-Nam, peraltro alla fine anche persa.

Poi, crollato il sistema sovietico, assumendo il ruolo di gendarme del mondo, dettando le regole del gioco, “esportando democrazia” a colpi di bombe e bugie e perseguendo, fino all’inverosimile, l’accerchiamento della Russia di Putin. Una politica che per di favorire gli interessi americani, ha spesso e pericolosamente destabilizzato intere regioni, alterando i già precari equilibri mondiali.

Il fallimento dell’illusione Trumpiana

Trump, con il suo “M.A.G.A.”, ha illuso gli elettori americani di poter uscire senza danni da questa spirale, facendo credere che uno slogan, da solo, potesse fare nuovamente grande l’America, ma ha poi minato la credibilità del suo slogan oscillando tra le smargiassate contro il povero Zelensky, abbandonato ormai al suo destino, le offese ai Paesi europei, accusati di essere “parassiti” della potenza militare americana – come se questo non avesse anche significato una sudditanza politica ed economica verso gli USA – e, infine, con la pantomima dei dazi minacciati e ritirati, che alla fine sono solo serviti a favorire le operazioni speculative sui mercati finanziari, dei suoi amici.

Il fallimento dell’illusione trumpiana è ora sotto gli occhi di tutti, plasticamente rappresentato dai B2 statunitensi che attraversano il pianeta per bombardare i siti nucleari iraniani, sospettati, senza alcuna prova, di essere i luoghi dove si prepara la bomba atomica degli Ayatollah e che rappresenterebbero un pericolo per Israele, che l’Atomica però già ce l’ha.

La connivenza di Trump con il criminale governo di Netanyahu, che affama e stermina l’indifeso popolo di Gaza, lascia indifferenti tanto l’Unione europea, per la quale solo alcune invasioni sono da condannare, quanto gli elettori di Trump, contenti del fatto che “quel lavoro” infame non richieda l’impegno militare degli USA. Per punire un popolo inerme bastano d’altronde i caccia sionisti.

I l vaso, atomico, di Pandora

Ma l’IRAN è un’altra storia e stavolta il “lavoro sporco” come l’ha definito quell’anima candida del cancelliere tedesco Merz, non può farlo Israele da solo, perché contro l’IRAN servono non solo le armi ma anche i piloti americani. Trump, seguendo ciecamente Netanyahu, si è imbarcato in un’avventura che mette a rischio non solo l’equilibrio del Medio Oriente ma la stessa pace mondiale, rischiando di scoperchiare, come ha detto Xi Jinping, il vaso di Pandora, con conseguenze inimmaginabili.

Trump si vanta di essere un grande mediatore, ma si sta rivelando come un pericoloso venditore di fumo, ingannando il mondo, ma soprattutto i suoi elettori, con uno slogan che si sta sbriciolando sotto i loro occhi. Noi, purtroppo, possiamo solo sperare che il fumo di Trump non assuma la forma di un fungo atomico.