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Lockdown del pensiero, il rischio oltre il coronavirus

In Italia la Costituzione pare diventata un optional, come dimostrano Conte e la pdl Zan. E negli Usa i social censurano un articolo scomodo per il candidato dem Biden

grande fratello

The Big Brother is watching you

È il lockdown del pensiero l’ultima frontiera di quella distorsione clinica del politically correct che ha preso il nome di pandemicamente corretto. Un’ulteriore deriva figlia di una compressione della libertà a cui ci stiamo pericolosamente assuefacendo. Malgrado le avvisaglie continuino a moltiplicarsi, dall’Italia agli Usa – spesso per interposti social.

La compressione della libertà

Che non siamo (quasi) più padroni neppure in casa nostra è ormai talmente assodato da essere dato per scontato. Diversamente non si spiegherebbe l’assordante silenzio davanti a una frase che, seppur pronunciata dal bi-Premier Giuseppe Conte con intenti probabilmente ludici, è di una gravità inaudita.

«Non manderemo le forze di polizia nelle abitazioni private» ha dichiarato il fu Avvocato del popolo, aggiungendo che «però dobbiamo assumere comportamenti prudenti per gestire la fase».

Giuseppi faceva riferimento al provvedimento che limita le feste private a un massimo di sei partecipanti, che tanta ironia sta scatenando presso il popolo social. Forse però sfugge all’insigne giurista che la sacralità della dimora è protetta dall’articolo 14 della Costituzione: che sancisce che “il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri, se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale”.

Non è, quindi, una concessione di qualsivoglia esecutivo. E infatti il leader del Carroccio Matteo Salvini ha commentato la boutade volturarappulese con tagliente sarcasmo.

Nessuna sorpresa, in ogni caso, che sul lockdown “fisico” il Governo rosso-giallo sia passato dall’esclusione categorica al possibilismo. È l’effetto rana bollita, la metafora chomskyana per cui un batrace, che fuggirebbe se gettato in una pentola d’acqua bollente, accetta invece il suo destino se si riscalda il recipiente lentamente.

Il lockdown del pensiero in Italia

Poi c’è il lockdown del pensiero, che può essere perfino peggiore del confinamento vero e proprio. Non foss’altro perché i danni che provoca rischiano di essere irreversibili.

In Italia ne stiamo avendo un assaggio con la pdl Zan di contrasto all’omotransfobia. Una norma inutile, perché fortunatamente i cosiddetti hate-crimes contro la comunità Lgbt sono irrisori, da dati ufficiali dell’Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori. L’OSCAD, che fa capo al Viminale e in otto anni ha segnalato appena 212 casi – fermo restando che anche uno solo è comunque di troppo.

D’altronde, è prassi comune del pensiero unico ammantare di buoni propositi subdoli intenti. Lo ha fatto anche con la Commissione Segre “per il contrasto ai fenomeni dell’intolleranza, del razzismo, dell’antisemitismo e dell’istigazione all’odio e alla violenza”.

Entrambi i provvedimenti hanno in comune la metodologia e l’obiettivo. Puntano infatti a censurare il libero pensiero col pretesto di tutelare delle minoranze già difese, tanto per dirne una, dal Codice Penale.

La proposta di legge Zan, ad esempio, imbavaglierebbe quanti pensano che l’utero in affitto sia un’aberrazione o che un bambino cresca meglio con mamma e papà. In barba alle libertà costituzionali di opinione, parola ed espressione.

Con un ulteriore corollario. Il fatto che questo orwelliano Miniver si autoproclamerebbe arbitro della verità, un po’ come ipocritamente stanno facendo i social media dopo aver respinto l’ipotesi.

Le propaggini estere del lockdown del pensiero

È infatti recentissima la notizia che Facebook e Twitter hanno imposto severi limiti alla diffusione di un articolo del New York Post. Un pezzo che poteva risultare molto scomodo per la famiglia del candidato democratico alla presidenza americana Joe Biden – soprattutto per il figlio Hunter.

Le due piattaforme si sono giustificate affermando di voler verificare la veridicità dello scoop, cosa che però non risulta abbiano fatto per vicende uguali e contrarie. Anzi, come ha evidenziato il senatore repubblicano Ted Cruz, permettono «di condividere articoli ben meno documentati e critici verso altri candidati».

Però il social dei 280 caratteri ha bloccato l’account della portavoce della Casa Bianca, Kayleigh McEnany, che aveva rilanciato la notizia del giornale newyorkese. Scatenando una volta di più la (comprensibile) furia del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Bavagli e psicoreati, insomma, paiono unidirezionali in tutto il mondo, e il lockdown del pensiero è allo stesso tempo il mezzo e il fine. Ma sarebbe più corretto dire “la” fine, della civiltà e della democrazia. Buono Stato di diritto a tutti.

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