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L’occasione del Recovery Fund per qualificare il ruolo delle carceri italiane

Con la pandemia in corso è grave la piaga del sovraffollamento dele carceri e le conseguenze sulle condizioni di prigionia

Recovery Fund, carceri

Recovery Fund, carceri

Il momento è storico. Storico perché oltre il difficile presente, si sta per decidere il futuro. I soldi che il Fondo Europeo, attraverso il Recovery Fund, ha stanziato per ogni singolo Stato membro sono un bel gruzzolo. In particolar modo la cifra che il nostro governo è riuscito a concordare è davvero importante, 209 miliardi di Euro. Unica clausola, presentare un programma di investimenti funzionale e che risponda alle linee guida del modello rinnovativo già ampiamente disegnato dall’Unione stessa. Si parla di digitalizzazione, green, ricerca e investimento sulle nuove tecnologie.

Investire sul futuro del cittadino

Ma l’uomo? L’essere umano come persona rientra in tutti questi investimenti? Forse l’occasione è talmente unica che non possiamo assolutamente non coglierla per dare nuova dignità alle persone. C’è un luogo oggi, più di altri, dove l’essere umano diviene un numero e dove l’esclusione dalla società lo rende ancor meno funzionale. Il carcere. Le ultime notizie di cronaca, messe in luce soprattutto dal dilagare della pandemia, mostrano ancora una volta la piaga dei sovraffollamenti carcerari e delle cattive conseguenze che si ripercuotono sulla condizione di prigionia. Per questa situazione, l’Italia era già stata condannata sette anni fa (2013) dalla Corte Europea.

Secondo l’AGI e le statistiche riportate dal Ministero della Giustizia, il sistema carcerario italiano può rispondere ad numero massimo di 50.000 detenuti. Ma dal 2010 il numero sembra stabilmente al di sopra della soglia massima, raggiungendo picchi di quasi 70.000 detenuti nel 2011.
Malgrado gli ultimi anni abbiano visto una lieve flessione dei dati, resta comunque molto scoraggiante la percentuale di sovraffollamento che ad Aprile 2020 risulta essere del 119,4%.

Il sovraffollamento delle carceri

Sovraffollamento significa anche fallimento del ruolo rieducativo del carcere che al contrario di quello che l’immaginario collettivo pensa, si fonda sul recupero del reo e non solo sulla punizione e la detenzione.
Tracciando una panoramica comparativa, si nota come al momento l’unico sistema detentivo che tiene in piena considerazione i diritti umani in un’ottica di autentica rieducazione è il sistema norvegese, nello specifico la prigione di Halden (Norvegia), considerata “la prigione più umana al mondo”, per concezione degli ambienti, organizzazione dei trattamenti e ancor più gli strumenti di recupero utilizzati. Insomma possiamo affermare, il vero modello di una riforma da tempo profondamente auspicata.

L’approccio usato ad Halden è quello dell’incoraggiamento dei detenuti a svolgere continue attività, tenendoli occupati in qualcosa che li interessi veramente e che li spinga a fare e a farsi del bene, il tutto proiettato al recupero e alla ristrutturazione degli stessi in funzione di un reinserimento nella società alla fine della pena. Il primo indicatore che fa del modello Norvegese un prototipo da seguire, è il percentuale bassissima di reiterazione del reato una volta fuori dal carcere. A fronte di percentuali altissime ( circa il 70% ) già nel primo mese per ciò che riguarda i nostri ex detenuti, si scende al 20% nel caso degli ex detenuti di Halden.

L’esempio della prigione più umana del mondo

L’isolamento in sé non dimostra di essere uno strumento di successo, ma sterile nella sua applicazione visto che i tassi di recidiva ammontano al 68% per i reclusi nelle strutture carcerarie, a differenza dei tassi di coloro affidati a sistemi alternativi che si fermano al 19% (dati 2018 de Il Sole 24 Ore). Probabilmente le celle carcerarie sovraffollate rappresentano il fallimento di un sistema che in qualche modo ci vede tutti protagonisti. La reclusione dovrebbe offrire una chance oltre la punizione. Il carcere dovrebbe essere rieducazione, riscoperta di sé stessi e delle proprie priorità. Consapevolezza dei propri errori, demolizione di essi e ricostruzione dal basso, riqualificazione del sé psichico. Il tutto grazie a diverse figure come tutor, educatori, autorità competenti e professionisti del settore.

Ad oggi invece risulta essere luogo di umiliazione, teatro di cameratismo, bullismo, spesso con esiti anche drammatici, come stupri e violenze di ogni genere. Un discorso a parte andrebbe rivolto poi agli ambienti di detenzione per minori, che in tutta questa rovinosa situazione, più di altri, hanno ancora bisogno di figure e modelli che li possano guidare al meglio. E che possano accompagnarli verso attività di formazione vera e propria come ad esempio l’arte, la pittura, la musica. Sono i figli di ieri e gli uomini di domani, i figli di tutta la comunità e la loro condanna appartiene a tutti. La maggior parte dei minori che finiscono negli istituti carcerari minorili appartengono a quartieri e zone degradate culturalmente.

La detenzione dei minori da trattare con cura

Essi nascono già immersi in un contesto difficile che non hanno scelto, e men che meno hanno la consapevolezza che proprio attraverso le scelte, possono cambiare il proprio presente e futuro. Cosi è facile finire imbrigliati in situazioni di violenze, furti o spaccio, come se non ci fosse per loro un’alternativa.

La società sembra non potere, o non voler, garantire la possibilità di riscattarsi né a loro né alla “classe reclusa” in genere. Perché forse è più facile nascondere lo sporco sotto il tappeto invece di lavorare seriamente al recupero e alla valorizzazione dell’essere. Ecco allora che parte di questa enorme montagna di soldi che sta per arrivare potrebbe essere dirottata verso il mondo del carcere. Partendo in primis dalla costruzione di nuove strutture più idonee e all’ammodernamento di quelle esistenti, ma ancora all’assunzione e alla formazione di nuovo personale che veda le diverse figure ben integrate e opportunamente inquadrate all’interno della nuova dimensione umana.

Il valore del supporto psicologico

Sono molteplici gli strumenti con cui intervenire. Il supporto psicologico (psicologia penitenziaria) è uno dei principali, per dare un riassetto a tutto il sistema carcerario. Ma ancora la carenza cronica di guardie penitenziarie e personale per la gestione dei vari laboratori.

Già oggi sono moltissimi gli strumenti utilizzati nel tentativo di recupero del detenuto, specie nei carceri minorili. Un esempio interessante è il progetto che ha preso vita nel 2018 nell’istituto penale per minorenni di Acireale. Il progetto in questione ha coinvolto i musicisti di Jacaranda (Piccola Orchestra giovanile dell’Etna) sotto forma di laboratorio di collaborazione coi giovani detenuti.

Un’iniziativa che ha conciliato la musica e la scrittura, dando vita a testi scritti direttamente dai minori del penitenziario in dialetto locale, lingua con cui possono ancora di più identificare se stessi e che ha costituito i brani per il primo album di Jacaranda. Tutto il progetto è stato guidato da una spinta terapeutica e di vicinanza a chi vive la realtà carceraria in prima persona con tutti i disagi, le paure e le incertezze che implica, e che nel laboratorio ha trovato un’atmosfera di libertà, espressione, e riflessione personale poi condivisa e ma scevra da pregiudizi.

Ecco allora che fra le tante linee guida per l’utilizzo del Recovery Fund non può non essere inserita la voce Diritti Umani. E’ ora che l’investimento può davvero essere funzionale alla società e ancor più all’essere umano. Stiamo vivendo un passaggio importante e la politica, mai come in questo momento, ha la responsabilità sul futuro. Questa montagna di soldi non può solo essere proiettata alla stessa economia che ha portato il mondo lontano dal valore umano. Non sprechiamo l’occasione.

In collaborazione con Federica Vinci,
Dottoressa in psicologia

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