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La ripresa: “Un nuovo miracolo economico sarebbe possibile?”

La ripresa: la vera sfida che attende l’Italia e il Governo è sconfiggere la burocrazia parassitaria, mettendo lo Stato al servizio dei cittadini

La ripresa economica

Lavoro, industria

Per la ripresa economica i leader politici hanno la capacità di sintetizzare concetti e argomenti che altrimenti sarebbero molto complessi. E di materializzare, con parole efficaci, “immagini” che siano seduttive agli occhi di chi li segue. Ad esempio, per convincere gli elettori che il futuro sarà radioso, non potendo mostrare la sfera di cristallo, molti evocano il ricordo di un passato felice. Il futuro sarà addirittura migliore di quel passato, ma il semplice richiamo ai “bei tempi andati” ha già un notevole appeal. L’immagine che viene spesso evocata è quella degli anni del “boom economico”, quella meravigliosa età dell’oro che potremmo tornare a vivere. Silvio Berlusconi, ormai tanti anni fa, nell’illustrare agli italiani le ragioni della sua “discesa in campo” richiamò quella immagine, promettendo agli italiani il ritorno a quegli anni felici.

Il sogno della ripresa, distrutto dal Covid 19

La promessa di tornare a rivivere il miracolo economico è rimasta intatta e ribadita da altri leader, incluso Conte, in questo ma anche nel precedente Governo giallo-verde, prematuramente scomparso per la dabbenaggine di Salvini. L’arrivo del Covid 19 ha fatto archiviare bruscamente tutti i sogni, per sostituirli con la cupa e drammatica realtà di quella che in molti hanno voluto assimilare a una guerra. E la guerra, si sa, comporta restrizioni, sacrifici e limitazioni della libertà personale. Questa “guerra” prima o poi finirà e come tutte le altre lascerà delle macerie che stavolta, fortunatamente, sono solo economiche. Le lascerà ovunque, ma forse di più in Italia.

Ha senso evocare il boom economico per la ripresa?

Pensare alla ripresa non solo serve a guardare oltre il momento contingente, ma anche a infondere la fiducia nel futuro. Senza fiducia è più difficile combattere e accettare i sacrifici. E quale immagine del passato rappresenta il futuro meglio del “miracolo economico” dell’Italia del dopoguerra? Ed ecco, allora che in tanti ci dicono che dobbiamo ritrovare lo spirito del “boom economico”. Anni felici, di crescita, di riscatto sociale, di innovazione e di benessere. Ma vogliamo davvero rivivere quella esperienza? E sarebbe oggi possibile riprodurre quel risultato? La risposta è no, perché le condizioni sono completamente diverse e il richiamo al boom economico è ingannevole.

Un miracolo costruito sulla sofferenza

Dopo le atrocità della seconda guerra mondiale, si tornava alla vita. La pace, la democrazia, ma soprattutto la fame, spingevano tutti a darsi da fare. Pur di lavorare e dare da mangiare alla famiglia si era pronti a tutto. Gli straordinari risultati dell’economia italiana del dopoguerra, che ci fecero apparire un po’ come i cinesi di oggi, furono determinati da un insieme di circostanze. Quello straordinario sviluppo non fu solamente il frutto di capacità produttiva, genialità e innovazione, ma anche, come per i cinesi, di altri fattori. Il divario mostruoso tra il nord industrializzato e il sud depresso, che provocò una drammatica emigrazione di massa. Lo sfruttamento brutale della manodopera non qualificata. La crescita caotica delle grandi città, con la speculazione edilizia, la corruzione e la realizzazione di immensi quartieri dormitorio. L’assenza di diritti dei lavoratori, con discriminazioni, politiche, sessuali e sociali. La mancanza di sicurezza sul lavoro, con morti nelle fabbriche e nei cantieri. Per non parlare delle mafie. Un bel tempo andato, non c’è che dire. Un incubo, altro che sogno!

Sviluppo economico e diritti sono incompatibili?

Quando le lotte politiche e sindacali degli anni ’60 e ’70, fecero conquistare ai lavoratori alcuni diritti e un pizzico di giustizia sociale, quel “miracolo” svanì per incanto. Perché non fummo capaci di mantenere la parte positiva di quella esperienza, costruendo un paese moderno ed efficiente, basato sul senso civico e il rispetto della legge, buttando a mare la zavorra delle cose negative. Decine di studi hanno analizzato le cause, ma a me basta rammentare gli effetti di quella mancata “rivoluzione”, per capire a quale futuro dobbiamo aspirare.

Un nuovo Piano Marshall con questi presupposti?

Abbiamo chiesto all’Europa, per riemergere dalle macerie economiche del Covid 19, di mettere in campo risorse immense, avviando una sorta di nuovo “Piano Marshall”, un’altra l’immagine del bel tempo andato. Ma saremmo capaci di utilizzare quelle risorse per una ripresa basata su presupposti migliori di quelli, fragili o ripugnanti, del “miracolo economico” del dopoguerra? Vorrei dire di si, ma i segnali che provengono dall’attuazione dei primi provvedimenti del Governo in materia economica, non mi fanno essere ottimista. Mentre tutti gli altri Paesi europei hanno immediatamente liberato le risorse disponibili per sostenere le imprese e le famiglie, da noi tutto si è complicato, come al solito. La Germania, tanto vituperata, ma che invece dovremmo imitare, ha quasi immediatamente accreditato, versandoli direttamente sul loro conto corrente, i contributi a sostegno delle imprese e delle famiglie. Noi, invece, dobbiamo pregare che la banca dove teniamo il nostro conto corrente sia d’accordo a prestarci i soldi che il Governo ha stanziato. E semmai dovesse dirci di si, dovremmo fornire decine di documenti.

La burocrazia canaglia ostacola la ripresa

Inefficienza, parassitismo, oppressione burocratica? Le ragioni possono essere molte. Claudio Togna, in un articolo del 25 aprile su “L’Occidentale” attribuiva la responsabilità di questa situazione a una classe dirigente la cui natura è una miscela di “marxismo male inteso, di socialismo reale e di pauperismo, ingenuo e senza basi finanziarie, di matrice cattolica” nella quale “non vi è una adeguata rappresentanza del mondo produttivo” e che ha generato “un apparato statalista, elefantiaco e parassitario, odiatore delle libertà individuali e di impresa” non concentrato sull’efficienza dell’apparato economico ma sulla sua “ procedimentalizzazione, cioè sul rito burocratico fine a se stesso fatto di certificazioni, bolli, controlli, sanzioni”. Una sorta di Gioco dell’Oca nel quale intervengono anche i burocratismi bancari, che sono feroci quanto quelli pubblici, quando devono prestarti i soldi. Anche se i soldi sono dello Stato.

La rivoluzione civile da compiere

Non so fino a che punto abbia ragione Togna, ma è certo che altri Paesi, guarda caso gli stessi che nell’Unione Europea non vogliono condividere il rischio delle nostre inefficienze, abbiano scelto da tempo la strada della semplificazione del sistema pubblico, affiancando a coloro che vogliono generare ricchezza con la loro impresa, un sistema amministrativo di efficace servizio e leale assistenza, basato su regole rigide, ma senza l’esercizio del potere. Il Premier Conte presentando la “fase due” ha detto che questa deve essere anche l’occasione per affrontare i nodi irrisolti della nostra burocrazia. Purtroppo, mentre auspica il cambiamento anch’egli cade nell’errore di nominare commissioni su commissioni, magari chiamandole task force, che fa più fico. Ecco la vera sfida che attende l’Italia e il Governo: sconfiggere la burocrazia parassitaria. Mettendo lo Stato al servizio dei cittadini e di coloro che onestamente vogliono creare ricchezza col lavoro. Un’impresa titanica, persino più grande di quella di sconfiggere il Covid 19.
Quello sarebbe davvero il nuovo “miracolo economico italiano”.

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