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La riforma della scuola di Valditara: non ci sarà più la bocciatura, l’insegnante diventa un maggiordomo

In molte scuole gli studenti pretendono di dare un voto all’insegnante sulla singola lezione, come l’insegnante lo dà nell’interrogazione

Ragazzi a scuola sui banchi seduti di spalle che scrivono

Riteniamo opportuno, come insegnanti, discutere le varie proposte di Riforma della scuola e confrontarci con esse. Il discorso dovrebbe riguardare l’intero percorso di formazione del cittadino, dall’infanzia agli studi universitari, ma sarebbe troppo impegnativo e magari confuso, non potendo certo delinearsi in poche pagine.

La riforma della scuola, istituti tecnici e professionali e i licei

In effetti, un progetto di un qualsiasi governo su una porzione dell’istruzione si svolge in centinaia di pagine. Pertanto restringeremo la nostra attenzione alla riforma del ciclo secondario di II grado, che del resto oggi è l’argomento più scottante.

Il Governo in carica, fin dal suo insediamento ha dichiarato la volontà di modificare profondamente il corso di studi che va dall’uscita della terza media all’ingresso dell’università, cioè riformare sia gli istituti tecnici e professionali che i licei.

A questo scopo per i primi ha elaborato un progetto, approvato in Commissione Cultura al Senato alla fine di novembre, che ha suscitato molte critiche dalle forze di opposizione e da qualche intellettuale.

Esso si fonda sulla concezione di uno stretto rapporto tra l’istruzione scolastica e quella impartita ai giovani dalle aziende al loro ingresso nel mondo del lavoro, modificando i contenuti e la durata dei curricola scolastici.

Competenze teoriche e pratiche

Il percorso formativo è costituito di quattro anni in un istituto tecnico o professionale, dove si dovrebbero studiare le materie generali, già però orientate alle applicazioni. Successivamente, lo studente accederebbe ad un biennio di specializzazione nei cosiddetti Its Academy.

Questi ultimi, dal nome alquanto pretenzioso (Accademia degli Istituti Tecnici Superiori!) sarebbero un programma di studio concepito in partenariato tra scuola e azienda, che trasformerebbero le conoscenze dei giovani in competenze pratiche.

Le lezioni si dovrebbero tenere per lo più nella stessa struttura scolastica, a volte nell’azienda; parte di esse sarebbe impartita da dirigenti aziendali, introducendo così la figura del docente aziendale.

Inoltre la riforma introduce le nuove figure del docente orientatore e del tutor: il primo avrebbe il compito di indirizzare lo studente alla scelta dell’indirizzo di studio a lui più congeniale; il secondo, consigliarlo riguardo ai liberi percorsi di apprendimento a lui più adatti.

Non ci sarà più la bocciatura

Da qui deriva che la valutazione dello studente andrà sempre fatta seguendo la sua crescita, per cui non si parlerà mai di bocciatura, tranne che con il 5 in condotta. Novità della riforma, che non comporterà comunque la ripetizione dell’anno o esami di riparazione in qualche materia, ma soltanto un banale scritto di educazione civica all’inizio dell’anno successivo.

Di questa parte della riforma il ministro Valditara va fiero, avendo dichiarato : “Avremo una filiera di formazione tecnica e professionale di serie A”.

I licei si chiameranno “Licei del made in Italy”

Il percorso formativo di questi è centrato su competenze giuridiche, tecniche, economiche e imprenditoriali con lo stretto rapporto tra scuola e filiere produttive, sia locali che nazionali.

Dopo i 4 anni in cui si studiano Lingua e Letteratura Italiana, Storia e Geografia, Matematica con Informatica, Lingua e Letteratura Straniera,… si passa al biennio in cui le materie di specializzazione sono: Diritto, Economia Politica, seconda Lingua Straniera, rivolte ai problemi aziendali.

Particolare attenzione è posta sulle materie STEM (Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica).

Lo scopo sarebbe quello di formare giovani preparati per entrare in aziende, o costituirne di nuove, che diffondano nel mondo i prodotti specifici della tradizione italiana nel settore agroalimentare, in quelli dell’arte e della moda, nelle costruzioni con la valorizzazione energetica e paesaggistica.

La figura dell’insegnante gravemente stravolta dalla Riforma Valditara e sottomessa alla direzione del docente aziendale

Il lavoro dell’insegnante sottoposto alla valutazione degli utenti, sulla base arbitraria delle loro esigenze e dell’economia del territorio.

Da quanto detto è facile capire che l’architettura della nuova scuola si basa sulla concezione utilitaristica delle singole conoscenze, cioè sulla loro funzione applicativa; anzi, si afferma pure che una conoscenza valida possa derivare direttamente da una pratica ripetuta.

In questo contesto, cambia completamente la figura dell’insegnante.

Infatti, dopo l’affermazione generica sulla valorizzazione della sua funzione, si afferma che per poter trasmettere competenze agli allievi, il docente dovrà prima aver acquisito un certo numero di CFU (credito formativo universitario) da un tirocinio pratico, sul quale dovrà svolgere un esame.

Nello svolgimento della lezione dovrà sempre partire dalle esigenze dello studente, peraltro mai ben esplicitate, salvo i casi di handicap. Infine, soprattutto negli ultimi anni dovrà relazionarsi con il docente aziendale, in pratica accettarne la direzione.

Inoltre, il lavoro del docente sarà valutato periodicamente da una commissione presieduta dal Preside o da un Vicario di esso, composta da una rappresentanza mista di colleghi, alunni e genitori; ovviamente, la parte degli utenti sarà maggioritaria.

Facile quindi immaginare come dovrà aver lavorato il docente per ottenere un giudizio minimamente positivo. Ma c’è di più: in molte scuole gli studenti hanno espresso la pretesa di dare un voto all’insegnante sulla singola lezione, come egli lo dà nell’interrogazione, giustificando la richiesta nel nome di un rapporto democratico paritario!

Insomma, l’insegnante diventa il maggiordomo di tutti

Le critiche dell’opposizione e degli intellettuali di sinistra sanno di malafede, o almeno di colpevole dimenticanza. Qualsiasi governo vorrebbe cittadini privi di una vera base culturale, l’unica che può dare senso critico.

Come ci si doveva aspettare, un tale progetto ha sollevato un coro praticamente unanime di critiche da parte delle forze politiche di opposizione e della loro intellighenzia.

Si è detto che la didattica proposta è prona agli interessi economici, abbassa il livello di apprendimento ed aumenta quello delle disuguaglianze sociali, poiché soltanto i figli dei ceti più abbienti potrebbero accedere alla formazione universitaria.

Tali forze, che sono quelle definite genericamente di sinistra, dimenticano (o fingono) però che furono le loro concezioni a svalutare l’istruzione, con i criteri da essi propagandati ed imposti degli standard di uguaglianza nell’apprendimento e dell’inclusione, che appiattirono verso il basso la formazione culturale dei giovani.

Basti ricordare l’esame di diploma garantito con il voto in 60-simi e l’istituzione dei Decreti Delegati del 1977 .

La svalutazione della funzione docente

Ma furono proprio i succitati Decreti che, dando importanza alle esigenze dell’Utenza, sottomisero la categoria docente al giudizio ed al ludibrio di tutti.

Il colpo di grazia ci fu inferto poi con l’ultra demagogico Statuto delle Studentesse e degli studenti, imposto dal ministro Luigi Berlinguer nel 1997.

In questo decreto, poi divenuto legge, si stabilisce che all’inizio dell’anno il docente deve contrattare con gli studenti il programma da svolgere (il contenuto della materia) ed il metodo che userà; inoltre, stabilire insieme agli alunni metodi e cadenze delle verifiche e della valutazione.

Il tutto con un linguaggio mutuato dalla contrattazione aziendale ed applicato alla scuola come se fosse un opificio.

Dulcis in fundo (in realtà, amarissimo) la valutazione della scuola, trasformata con la cosiddetta autonomia scolastica in una serie di Istituti che si fanno concorrenza offrendo agli utenti i percorsi formativi più allettanti, si fa sulla base quantitativa del rendimento della scuola stessa, e cioè sul numero dei giovani promossi e diplomati. Più promuovi, più vali.

Questa trasformazione della scuola, assimilata ad un qualsiasi settore produttivo di beni o servizi, non è stata mai modificata dai successivi governi di centro o centro-destra.

Possiamo anzi affermare che trova la sua naturale esaltazione nella riforma Valditara, in cui si mette la formazione pratica al centro di tutto. Per cui lo stesso ministro ha dichiarato con orgoglio:

“Era necessario superare il concetto novecentesco di intelligenza e la concezione gentiliana della scuola, che vedeva la piramide scolastica con in cima il liceo classico, seguito dal liceo scientifico e infine dagli istituti tecnici e professionali. L’idea del merito non è elitaria o aristocratica, ma consiste nella valorizzazione dei talenti delle abilità di ogni studente “.

Gli Insegnanti devono costituirsi come Associazione autonoma da ogni potere economico e politico, a garanzia della libertà loro e dei cittadini.

La riforma della scuola e il concetto di intelligenza

In realtà, secondo noi qui si supera, anzi si stravolge il concetto stesso di intelligenza (dal latino intelligo, metto insieme), che è proprio di ogni individuo ma in gradi diversi, come la Natura ha fatto in tutte le caratteristiche degli esseri viventi.

La concezione di Valditara, come anche quella dei suoi critici di sinistra, è pseudodemocratica e fuorviante. Sulla base di essa si vorrebbero “costruire” cittadini mediamente uguali, dotati di conoscenze pratiche acquisite passivamente e perciò privi di senso critico.

A questo punto potrei ricollegarmi al concetto dell’uso strumentale della scuola per un indottrinamento di massa, funzionale agli interessi di chi ha il vero potere dietro i governi, cioè la Finanza globale internazionale.

E’ quello che ho affermato alla fine del mio precedente articolo:

Morto Toni Negri, uno degli ultimi teorici rivoluzionari, pubblicato il 6 Gennaio scorso.

Se ci rendiamo conto di ciò, dobbiamo concepire una Scuola libera da manipolazioni politiche, sindacali ed economiche, locali o no.

L’indipendenza della funzione intellettuale

Ciò si può tentare soltanto affermando con forza l’indipendenza della funzione intellettuale, per sua natura rivolta all’insegnamento, cioè ad educare discenti alla ricerca laboriosa della verità.

Qui si aprirebbe un lungo discorso.

In sintesi, vorrei accennare alla necessità di costituirci come Associazione Autonoma, o meglio un Ordine Professionale degli Insegnanti, per ogni grado scolastico, che rimetta il Docente al centro del dialogo educativo.

Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi Valditara, che appartiene ad un ceto politico che ha sempre tenuto in buona considerazione le associazioni di categorie professionali.