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Toni Negri, uno degli ultimi teorici rivoluzionari. Il fallimento di un ciclo decennale di lotte

La morte di Toni Negri, leader di Autonomia Operaia. Il processo 7 aprile. Il fallimento di un ciclo decennale di lotte

Toni Negri

Toni Negri

Il 16 dicembre scorso i giornali hanno dato la notizia della morte di uno dei più importanti filosofi sovversivi dell’estrema sinistra degli anni di piombo.

Nella notte si è spento a Parigi, dove viveva, il prof. Toni Negri, considerato uno tra i più grandi teorici marxisti della seconda metà del secolo scorso, animatore di riviste filosofico politiche e di gruppi extraparlamentari degli anni ’70-’80.

Docente di Filosofia Politica nell’Università di Padova dalla metà degli anni ’60, era noto nella sinistra extraparlamentare per la qualità delle sue analisi teoriche e per l’impegno militante, che lo aveva condotto al rapporto con gli operai di Porto Marghera.

Il 7 aprile 1979 fu arrestato insieme a molti altri intellettuali e militanti dell’Autonomia Operaia, con le accuse di organizzazione sovversiva, costituzione di banda armata e insurrezione contro i poteri dello Stato. La data di quel giorno divenne il nome con cui i giornalisti indicarono sia il pugno duro che il governo usò per stroncare definitivamente le residue voglie di ribellione nel Paese, che il processo giudiziario agli imputati.

Per questi ultimi, i loro compagni ancora attivi e i sostenitori, fu la denominazione della repressione generalizzata contro tutte le lotte condotte per affermare la giustizia sociale, anche con il ricorso a metodi violenti, come gli scioperi selvaggi o l’intimidazione di figure dirigenti avversarie.

Il Parlamento dell’epoca votò a grande maggioranza un insieme di leggi speciali che limitavano molto le garanzie degli imputati, ad esempio con la carcerazione preventiva. Inoltre si giustificava l’intervento più pesante delle forze dell’ordine per stroncare le manifestazioni ritenute violente.

Breve storia dei fenomeni sociali rilevanti degli anni successivi al dopoguerra

Rivendicazioni operaie e lotte degli studenti. Convergenza nell’idea operaista di centralità del ruolo operaio nella società del capitalismo maturo.

Tutto ciò era il risultato necessario seguito alla tragica conclusione del sequestro Moro (9 maggio 1978), che aveva commosso e indignato tutto il Paese, che perciò era disposto anche ad accettare dei limiti alla propria libertà in cambio di tranquillità.

Bisogna ricordare e cercar di capire come si era arrivati a quel punto.

Agli inizi degli anni ’60 la società italiana viveva un ciclo di espansione, come conseguenza storica delle energie profuse nella ricostruzione del dopoguerra che avevano prodotto quello che fu chiamato il boom economico. Le condizioni di vita erano generalmente migliorate, anche se persistevano grandi differenze sociali, inerenti alla struttura stessa della società capitalista.

Anche le condizioni per il miglioramento erano molto diverse a seconda dell’appartenenza a una classe sociale o all’altra, come è ovvio.

In più, la retribuzione o salario operaio, a parità di mansioni, era diversa a seconda del luogo di lavoro; cioè, lo stesso tipo di lavoro era retribuito diversamente a Torino, Napoli o Palermo.

Il sistema denominato gabbie salariali

Diverse erano anche le possibilità di accesso all’istruzione per i figli di operai e contadini, rispetto a quelli delle classi medio-alte. Perciò, già dalla metà degli anni sessanta gli operai, oltre a rivendicare maggiori salari, cominciarono a contestare il sistema delle gabbie.

Da parte loro gli studenti iniziavano a reclamare la possibilità per tutti di arrivare al grado più alto dell’istruzione, l’università.

Inoltre esprimevano idee di maggior libertà e democrazia, influenzati dai movimenti giovanili di protesta angloamericani. Per noi italiani si poneva in più il problema di contrastare il soffocamento delle libertà dei Paesi dell’Est perpetrato dall’URSS con l’aggressione militare. Tutti eravamo commossi e indignati per il sacrificio di Jan Palach, che nel 1967 sulla piazza di Praga si arse come una torcia nell’estrema protesta contro i carri armati sovietici. Probabilmente si era ispirato ai bonzi, i preti buddisti che avevano fatto la stessa cosa in Vietnam per l’invasione americana.

Poiché da giovani si coltivano (come è giusto) grandi ideali, noi condannavamo anche quella guerra e lo sfruttamento coloniale del Terzo Mondo.

Già dal 1966 si attuavano proteste in varie università del nostro Paese, con assemblee, cortei e blocchi della didattica: l’obiettivo era il potere dei baroni e l’autoritarismo in tutta la società.

Nel 1967 si verificò il primo scontro fisico tra studenti e polizia davanti alla facoltà di Architettura di Valle Giulia; episodio che resta nella storia come battaglia di Valle Giulia, nella quale si ebbe appena qualche ferito.

Il Movimento degli studenti

Nel frattempo, il Movimento degli studenti aveva fatto cadere le vecchie rappresentanze legate ai partiti politici e si era epurato da alcune frange di destra. Quando l’anno successivo si mise in atto una lunga occupazione della città universitaria (la Sapienza) di Roma, si verificò una cosa mai successa prima.

Un fitto corteo di estremisti di destra, picchiatori abituali reclutati da varie sedi del territorio, partì dalla facoltà di Legge verso quella di Lettere e Filosofia con lo scopo dichiarato di liberare l’università dai rossi.

Alla guida c’era Giorgio Almirante, presidente dell’MSI, insieme ad altri dirigenti di quel partito che sedeva in Parlamento, pur ispirandosi agli ideali della Repubblica di Salò.

Dopo duri scontri nel Piazzale della Minerva, i fascisti si ritirarono a Legge, dove erano tollerati dagli accademici. Ci fu un tentativo di assalto al portone richiuso della facoltà, durante il quale i neri buttarono dall’alto sedie e banchi, un banco ruppe la spalla di Oreste Scalzone, leader di Potere Operaio.

Gli scioperi selvaggi

Intanto nelle fabbriche, soprattutto in quelle più importanti del nord: Fiat, Sit-Siemens, Magneti Marelli…, gli operai contestavano la direzione dei sindacati tradizionali e attuavano scioperi improvvisi, o prolungavano quelli già proclamati; oppure bloccavano le merci in entrata o uscita dai magazzini. Questi tipi di agitazione divennero noti sotto il nome di scioperi selvaggi; in essi però si aveva anche una nuova presa di coscienza da parte dell’operaio del proprio ruolo e della sua importanza nella società, cioè in termini marxisti un arricchimento della coscienza di classe.

Quest’ultimo elemento era ciò che maggiormente interessava alla parte più operaista del movimento degli studenti, che intanto aveva dato vita a formazioni di gruppi come Potere Operaio e Lotta Continua e a vari Collettivi di tipo autonomo.

Molti esponenti di rilievo del Movimento o dei gruppi cercò di stabilire contatti di collaborazione con gli operai. Tra questi, Adriano Sofri, prima di divenire leader di Lotta Continua, ricordava l’emozione provata nello scavalcare i cancelli di Mirafiori.

Toni Negri, docente ordinario di Filosofia Politica a Padova, già da quando nel 1963 collaborava alla rivista Quaderni Rossi insieme a Mario Tronti e Alberto Asor Rosa, aveva instaurato rapporti con gli operai di Porto Marghera.

In seguito fondò il mensile Classe Operaia, al quale collaborò anche Massimo Cacciari; questi, molto più giovane, ricorda oggi di aver imparato molto da Negri.

Si racconta che Negri si recasse di mattina a Porto Marghera in tuta blu; la sera, lui e Cacciari leggevano agli operai passi del Capitale, poi discutevano cercando di interpretare le esperienze di lotta di lotta da quelli vissute secondo la teoria di Marx.

Reazione delle forze dominanti e deriva violenta delle lotte per la giustizia sociale.

Il ruolo degli intellettuali. Storia politica e processuale di Toni Negri

Come si può giudicare, la situazione politica dell’epoca era molto ricca di ricerca teorica ma anche caotica a livello sociale. Agli inizi del 1969 c’erano stati degli attentati a Milano, senza vittime. Alla fine dell’anno, mentre gli operai erano in lotta per il rinnovo dei contratti e per le rivendicazioni di equità di cui si è detto all’inizio, il 12 dicembre scoppiò la bomba alla Banca dell’Agricoltura di Milano, che fece 17 morti e 88 feriti.

Le indagini furono subito indirizzate verso i gruppi di estrema sinistra, in particolare gli anarchici.

Furono arrestati Giuseppe Pinelli, ferroviere, a Milano e Pietro Valpreda a Roma. Dopo un giorno di fermo e continui interrogatori, Pinelli precipitò dalla finestra della questura.

Oggi, a distanza di più di mezzo secolo, le indagini successive e i vari processi hanno appurato la responsabilità dei fascisti nell’esecuzione dell’attentato, con la complicità dei Servizi Segreti (detti deviati), di vari apparati dello Stato e di gruppi dei partiti politici, in particolare della DC.

Questa verità è stata recentemente ribadita anche dall’attuale Presidente Mattarella, che pure proviene da quel vecchio partito.

Purtroppo, in quegli anni la rabbia e la delusione provate per la mancata giustizia esasperarono gli animi e spinsero i gruppi più oltranzisti a teorizzare e praticare la lotta armata come unico metodo per rovesciare lo stato borghese e instaurare la giustizia sociale.

Nacquero così le BR, le Brigate Rosse di Curcio, Prima Linea e altri mini gruppi, le cui caratteristiche comuni erano: 1) l’azione in clandestinità; 2) la volontà di imporre la loro azione di avanguardia alle masse, retaggio dello stalinismo.

Le azioni dimostrative delle BR

In breve tempo, tali gruppi, segnatamente le BR, passarono dalle azioni dimostrative come il rapimento e l’intimidazione di dirigenti aziendali, ai ferimenti (le tristemente famose gambizzazioni) e agli omicidi dimostrativi.

Al di là del necessario giudizio morale: “Non si può uccidere un uomo per affermare la validità di una tesi”, quegli atti andarono oltre il terrorismo classico. Nel secolo precedente, un anarchico o comunista attentava alla vita del Re, di un Generale, sempre di qualcuno che aveva grosse responsabilità nell’oppressione di un popolo.

Non solo. Certi metodi coincidono con quelli mafiosi, ovvero della criminalità organizzata. E infatti, spesso i combattenti rossi si sono alleati con qualche gruppo criminale per portare a termine un sequestro o per compiere una rapina per autofinanziarsi, come dicevano.

Perciò, se all’inizio la lotta armata aveva avuto un qualche potere di seduzione, questo si estinse quando la pistola colpì operai o funzionari dello stato sinceramente riformisti.

La fine inutilmente sanguinosa del lungo sequestro di Aldo Moro segnò la fine stessa delle BR. Anche se si ebbero ancora uccisioni e attentati, quell’utopia aberrante era morta.

Per chiudere definitivamente quella stagione, lo Stato varò leggi speciali, come detto all’inizio.

Il prof. Negri, imputato di costituzione di banda armata e tentativo di insurrezione verso i poteri dello stato insieme a molti altri compagni, fu accusato anche di essere lo stratega del rapporto tra le BR e l’Autonomia Operaia.

Inoltre gli fu addebitata la responsabilità della rapina di Argelato, nella quale fu ucciso un carabiniere, nonché il rapimento e l’omicidio di Carlo Saronio.

Il Fronte Armato Rivoluzionario

Entrambi i crimini erano stati compiuti dal FAR (Fronte Armato Rivoluzionario), un gruppo segreto di pochi elementi di P.O., che si proponeva l’azione illegale per il finanziamento della rivoluzione.

Nel 1974 tentò di fare una rapina nella banca di Argelato, ma furono costretti alla fuga dalle guardie; si scontrarono con una pattuglia di carabinieri, uccidendone uno e ferendone un altro.

Nell’aprile del ’75, un altro gruppo FAR, che aveva reclutato anche alcuni criminali comuni, sequestrò Carlo Saronio, figlio dell’imprenditore chimico Piero. Il giovane rapito era simpatizzante di P.O. e amico di Carlo Fioroni, che guidava il commando. Fu preso perciò con l’inganno e morì subito, poiché per stordirlo gli premettero sulla bocca un fazzoletto imbevuto di una forte dose di cloroformio.

Negri mandante del sequestro

Nonostante ciò, i rapitori fecero richiesta di riscatto alla famiglia, fingendo che il ragazzo fosse vivo. Ottennero una prima rata di 470 milioni di lire; i numeri di serie delle banconote erano stati registrati, per cui furono tutti arrestati in breve tempo.

Nel 1979 Fioroni decise di collaborare e accusò Negri di essere il mandante dell’azione, godendo così dei benefici di legge che gli consentirono poi di trasferirsi all’estero.

Fioroni confidò ad un compagno in carcere che nel caso Saronio sarebbe stato coinvolto addirittura il SID (il Servizio Informazioni Difesa dell’epoca).

Come si vede, nei fatti riportati i sedicenti rivoluzionari avevano agito in modo contorto e immorale, mescolandosi con la malavita e approfittando di alcuni rapporti amicali.

Anni dopo, a seguito di altre testimonianze Toni Negri fu scagionato dall’accusa di aver organizzato o ispirato entrambi gli atti; eppure una sentenza successiva (1987) di giudici romani lo condannò per concorso morale a 12 anni.

Nel 1983, dopo 4 anni di carcerazione preventiva, Negri accettò la candidatura offertagli da Marco Pannella e fu eletto alla Camera. Secondo gli accordi con il leader radicale, si sarebbe dovuto impegnare per il miglioramento delle condizioni dei detenuti.

Toni Negri a Parigi

Preferì però fuggire e andarsene a Parigi, dove era protetto dalla Dottrina Mitterand, che non consentiva l’estradizione di imputati politici di sinistra. In Francia avevano riparato altri noti leader, quali Oreste Scalzone e Franco Piperno.

A Parigi Negri restò per 14 anni, lavorando come docente anche alla Sorbona.

Tornò in Italia nel 1997, dopo che il nostro parlamento aveva approvato una legge su amnistia e indulto. Gli era stata condonata la pena ricevuta in primo grado (30 anni) e gli restava da scontare quella di 12; rimase in carcere fino al 2003, poi fu messo in semilibertà.

Agli inizi degli anni 2000 scrisse i corposi volumi Impero e Moltitudine, insieme al giovane docente americano Michael Hardt.

In questi testi Negri affronta il problema della globalizzazione, che non ha più un centro politico in uno stato imperialista, ma nei grandi gruppi della finanza internazionale.

A fronte di essa, si propone un nuovo modo di produzione e di lavoro diffusi e controllati dal basso. Un argomento centrale è il ruolo della tecnologia avanzata.

La difficile situazione attuale

Si può anche giudicare il comportamento della persona non sempre coerente e a volte anche opportunista; non bisogna però dimenticare la quantità e la mole delle colpe, vere o presunte, poste sulle sue spalle.

Né queste potrebbero sminuire la profondità dei temi affrontati dal filosofo, che si può dire abbia lasciato come eredità; molti movimenti No Global si ispirano alle sue idee.

Oggi, a distanza di tanti anni da quei fatti, la situazione delle società occidentali, soprattutto quella del nostro Paese è molto peggiorata. Infatti, si è rafforzato molto il sistema di potere della finanza internazionale di cui i nostri governi sono una diretta emanazione, da Draghi in poi. Essi non hanno una vera autonomia verso i diktat dell’Unione Europea, come dimostrato anche dall’ultimo governo, quello della Meloni.

Però, pretenderebbero un potere assoluto sui cittadini per mezzo dell’incremento dei poteri dell’esecutivo, sia nei confronti del Parlamento che della Magistratura, spacciando le loro agognate riforme come necessarie nell’interesse dei cittadini stessi.

Oltre al danno, dobbiamo subire anche le beffe.

Purtroppo, non si vede nelle nuove generazioni, drogate dalle Tv e dai social, un centesimo della capacità di analisi di quelle del ’68.

Quindi, campi di battaglia fondamentali sono adesso l’informazione e la scuola usati per l’indottrinamento; soprattutto la scuola.