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La guerra Russia-Ucraina nel libro-diario di Edoardo Crisafulli

33 ore: Diario di viaggio dall’Ucraina in guerra, il racconto del conflitto nel libro del Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Kiev

Edoardo Crisafulli e la copertina del suo libro

Il conflitto Russia-Ucraina vissuto dagli occhi di un italiano. La storia raccontata attraverso la forma del diario per scardinare le più ingarbugliate questioni, trovando una forma, una verità. Edoardo Crisafulli è l’autore di 33 ore: Diario di viaggio dall’Ucraina in guerra, edito da Vallecchi.

Prima e quarta di copertina del libro

Il racconto in presa diretta

Il libro è una testimonianza in presa diretta di quei giorni drammatici, all’indomani del conflitto tra Russia e Ucraina, vissuto sulla pelle del Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Kiev evacuato dalla capitale e  riportato in Italia dopo i primi attacchi dei russi.

33 ore: Diario di viaggio dall’Ucraina in guerra è un lavoro a metà tra il reportage e il saggio che mette per iscritto il rumore dei pensieri affastellati in un arco temporale intenso e coinvolgente. Che intende approfondire riflessioni, esperienze, semplici storie tratte da un contesto lacerato, capovolto. Dove fratelli si incontrano e scontrano. Tra terra e sangue, ma soprattutto tra domande e risposte ancora da comprendere a fondo.

Abbiamo intervistato Edoardo Crisafulli, per conoscere meglio il suo lavoro letterario.

Qual è stata e qual è la necessità di approfondire una tematica così delicata?

“Io ero tornato da poco in Italia, per via della temporanea chiusura dell’Istituto Italiano di Cultura. Francamente dopo aver visto molti programmi televisivi in cui sedicenti esperti sciorinavano sciocchezze in libertà, mi sono sentito in grado di fare una cosa innanzitutto catartica per me, perché scrivere razionalizza una psiche un po’ sconvolta. Ma poi in grado di raccontare, anche se in modo narrativo, cose vere in merito all’Ucraina”.

Per esempio?

“Questo è un conflitto legato alla difesa di un’identità culturale, di un’identità linguistica. Gli ucraini hanno questo problema da moltissimo tempo. Sia durante lo zarismo, sia durante la dittatura bolscevica, hanno subito forme di oppressione e tentativi di definirli una sorta di lingua e cultura dialettale, regionale, nell’ambito della cultura russa. Russi e ucraini hanno un rapporto come quello tra italiani e francesi. I francesi non sono certo i ‘piccoli italiani’, solo perché la lingua latina parte da Roma. Si formano delle nazioni distinte anche se hanno radici comuni”.

Il suo libro è una summa di esperienze, riflessioni. Si parla di drammaticità e tenerezza. In altre parole, si narra semplicemente della storia dell’uomo…

“Certo. Ho scelto la via narrativa perché non volevo fare un saggio politico in senso stretto. In appendice c’è anche qualche mio articolo. E’ un’opera narrativa che ti consente di spaziare, di far capire la drammaticità della situazione. Ma anche il lato umano. Cosa significa per esempio quando incontri dei profughi, o che cosa vuol dire amore e difesa della propria terra. Cosa vuol dire per esempio vedere un nonno con il nipote e un fucile da caccia, pronti a difendersi dagli invasori. Il testo narrativo ti consente di fare questo, non arrivando a forme schematiche di condanna. Magari in modo superficiale.

Cosa ha trovato che noi non sapessimo della vicenda e cosa non ci è stato proprio detto all’interno di tutta questa storia?

“Sul piano storico questo è un conflitto in cui l’identità e la memoria sono importanti. E solo ultimamente si inizia a parlare dell’Holodomor, un genocidio voluto da Stalin e dai bolscevichi per mettere in ginocchio la nazione ucraina negli anni trenta. Un genocidio che conta dai 4 ai 7 milioni di morti. Ai tempi l’Ucraina era recalcitrante nei confronti di una collettivizzazione forzata delle campagne. Intendevano invece mantenere una piccola proprietà contadina. Al tempo stesso avevano una propensione all’indipendenza, Holodomor è stato un mezzo efferato, crudele e disumano di decapitare una classe dirigente e intellettuale”.

Una pratica che prevedeva anche l’inflizione della morte attraverso la fame…

“Sì, ma era anche dovuto a una politica economica che era quella di requisire il grano, venderlo nell’Europa occidentale e con i relativi proventi finanziare l’industria pesante sovietica. C’è ancora in corso un dibattito in tal senso. Non è stato certo un genocidio come quello nei confronti degli ebrei, tuttavia è stato un massacro di proporzioni immani, di cui si serba ancora la memoria. I giornalisti e gli intellettuali, spesso critici verso il mondo occidentale non hanno messo tutto sul tavolo. Il memorandum di Budapest non viene mai menzionato. Con esso, negli anni ’90, l’Ucraina cede le proprie armi nucleari alla federazione russa in cambio della promessa e del riconoscimento di quei confini della sovranità nazionale. Di questo non si parla. Un’altra cosa di cui si parla pochissimo è l’articolo di Putin uscito nell’estate del 2021 sull’unità storica dei russi e degli ucraini. E’ un articolo in cui non si parla della N.A.T.O. come causa del conflitto. Per dirla in modo schematica si dice che l’Ucraina è una parte della Russia, seppure con una sua autonomia. Ognuno può esporre le proprie idee, ma per favore parliamo dei fatti”.

Quali risvolti può avere una dinamica del genere, ancora da risolvere?

“Questo io non lo so, mi occupo di cultura. Non sono esperto di questioni militari o di geopolitica. Mi auguro che prima possibile si arrivi ad un processo di pace. Un conflitto protratto per così tanto tempo, creerebbe un solco che è troppo profondo con la Russia. Questo sarebbe un male. E’ impossibile pensare alla storia del romanzo europeo, senza pensare alla storia del romanzo russo di autori come Dostoevskij e Tolstoj. E’ una cosa tragica per l’Europa”.