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La guerra dei dazi promossa da Trump e il conflitto tra le grandi multinazionali

Dietro la crociata economica scatenata da Trump, si può vedere la volontà di rivoluzionare a suo favore gli equilibri politici mondiali

Donald Trump, dazi

Dopo molti anni di guerre combattute sul campo militare in diverse parti del mondo, ancora in corso, si sono accese le guerre economiche tra le Potenze più importanti per mezzo dei dazi e provvedimenti intesi a risanare la propria economia a danno di quelle altrui.

Tutto è iniziato con la guerra dei dazi scatenata dal Presidente americano Trump il 2 aprile 2025, dieci settimane dopo la sua rielezione, contro Europa, Cina, India e Sudamerica: in pratica, contro il resto del mondo.

La filosofia dei dazi di Trump

Il suo ragionamento è questo: siccome i Paesi esteri sono stati favoriti dalla norma che esentava da dazi le spedizioni di valore inferiore a 800 dollari (norma detta de minimis), le merci straniere hanno invaso gli USA, conquistando il mercato e quindi riducendo al minimo le vendite e i profitti delle imprese interne.

In particolare, i colossi cinesi del fast fashion Temu e Shein, anziché inviare grandi lotti della loro merce ai magazzini USA, avevano suddiviso le loro vendite in milioni di spedizioni, ognuna del valore di qualche centinaio di dollari o meno, dirette ai singoli consumatori.

In questo modo hanno realizzato profitti astronomici, esenti dal minimo aggravio fiscale.

Ma anche le altre grandi imprese di vendita online di qualsiasi prodotto hanno fatto lo stesso; in particolare, le Big Tech americane come Microsoft, Apple, Facebook etc., hanno fatto la stessa politica, invadendo i mercati europei, sudamericani e asiatici.

Tanto che da noi, in Italia e nei principali Paesi dell’UE, si ripete spesso la proposta di imporre forti tasse sulle suddette multinazionali, senza arrivare mai ad una decisione effettiva. La globalizzazione si fa beffe della vecchia economia basata sulle frontiere, sui dazi e sulle tasse. Non soltanto le merci, anche il denaro si può inviare in qualsiasi angolo del mondo con un semplice click: così i grandi capitalisti spostano la loro ricchezza nei cosiddetti paradisi fiscali, dove non pagano tasse.

Ciò comporta, per il paese da cui il capitale viene allontanato, una mancanza di introiti che potrebbe alimentare migliori servizi sociali.

Dazi sui prodotti cinesi fino al 145% e in Europa del 20 e 40%

Secondo l’analisi riportata su Affari Internazionali, rivista dell’omonimo Istituto di ricerca italiano, è vero che nel corso degli anni l’UE ha accumulato un surplus commerciale sugli Stati Uniti, se si guarda soltanto l’esportazione.

Però, considerando l’intera bilancia dei pagamenti, il saldo complessivo USA/UE risulta in equilibrio.

Pertanto, dietro la crociata economica scatenata da Trump, si può vedere la volontà di rivoluzionare a suo favore gli equilibri politici mondiali; ciò è ancor più evidente se si considera anche il suo desiderio di accaparrarsi la maggior quantità possibile delle risorse minerali del pianeta, soprattutto quelle necessarie alla tecnologia avanzata (cobalto, litio,…).

Queste volontà e desiderii non sono solo di Trump, ma di tutti i capi di governo dei Paesi più grandi e popolati e meglio armati, soprattutto Russia e Cina.

La prima, governata in modo autocratico da Putin, è impegnata a rafforzare la coesione tra le sue diverse etnie, con la supremazia di quella russa; anche a tale scopo ha invaso l’Ucraina, rivendicando la Crimea e i territori del Donbass e Donetsk.

Le grandi Potenze in conflitto per il predominio politico e le risorse del pianeta

La Cina, diretta da Xi Jinping, capo del Partito Comunista Cinese (l’unico che ha resistito alla storia), sta rafforzando la sua influenza sul mondo con l’occupazione militare di alcuni paesi (per es. in Africa) e con gli accordi di collaborazione economica con altri, per un migliore sfruttamento delle risorse di essi.

Al disegno di spartizione del mondo tra USA, Cina e Russia si oppongono i cosiddetti Paesi emergenti: India, Argentina, Brasile.

Per l’Europa, si vogliono imporre la Gran Bretagna, ancora leader del CommonWealth, e la Francia di Macron, che pretende di perseguire una politica neogollista.

Il resto dell’Europa Occidentale invece, nonostante le reiterate dichiarazioni di unità e indipendenza, è succube della potenza americana, sia in senso economico che militare. Il nostro Paese è occupato militarmente dal 1955, quando si istituì la NATO, di cui ospitiamo un centinaio di basi militari, che rispondono tutte al governo americano; noi sappiamo di esse soltanto quando fanno le esercitazioni sul nostro territorio.

Il rapporto italiano con gli USA

La nostra subalternità agli USA si è mantenuta fino ad oggi, condivisa trasversalmente da tutti i partiti e da ogni governo, di destra o di sinistra.

Dopo l’apertura della guerra dei dazi e le dichiarazioni velenose di Trump sulle imprese italiane, la presidente Meloni ha prontamente ribadito l’amicizia e l’alleanza con gli Stati Uniti. Quindi, il 17 aprile di quest’anno è volata a Washington, dove ha incontrato Trump alla Casa Bianca, di fronte alla stampa americana.

Il giorno dopo il vicepresidente Vance è andato a Roma per incontrare la Meloni a Palazzo Chigi.

I due politici hanno espresso l’intenzione di rafforzare le relazioni bilaterali dei loro Paesi, anche al fine di garantire il commercio tra USA ed Europa.

Le guerre combattute sul campo e l’utilizzo dei micidiali ordigni forniti dalla tecnologia avanzata. Ripercussioni sugli schieramenti politici e sulla vita dei popoli

Inoltre, hanno ribadito l’impegno comune nella NATO e la volontà di cercare insieme una soluzione politica alla guerra in Ucraina.

Come si sa, questa dura ormai da più di tre anni, da quando la Russia invase l’Ucraina, nel febbraio del 2022, entrando nel Donbass.

In quella regione si erano costituite due Repubbliche filorusse, avverse al governo centrale di Vladimir Zelenski; perciò la Russia intervenne per proteggerle ed occupò anche altri territori, per primo quello della Crimea.

Quest’ultimo era da sempre considerato russo ed inoltre costituiva l’unico sbocco al mare; infatti, il Mar Caspio permette di entrare nel Mediterraneo, perciò è fondamentale per poter svolgere i commerci con i Paesi dell’Occidente, fin dai tempi degli Zar. E’ ovvio che la Russia non potesse permettersi di perderlo.

Gli Stati Uniti hanno subito dichiarato di appoggiare l’Ucraina, inviandole grandi quantità di mezzi bellici ed hanno spinto i Paesi occidentali (noi compresi) a fare altrettanto. L’Unione Europea, con la retorica dell’integrità e della libertà di una nazione, è giunta al punto di dichiarare che la difesa dell’Ucraina sia anche nostro interesse, paventando il timore che Putin voglia ricostituire il grande Impero russo a danno dell’Europa. Come se, dopo l’Ucraina, volesse invadere i paesi europei, partendo da quelli del Patto di Varsavia!

La Nato e i suoi confini verso la Russia

In realtà invece è stata la NATO che ha esteso i suoi confini verso la Russia, senza rispettare il precedente impegno preso con essa.

Le conseguenze immediate per i paesi dell’UE sono state micidiali : rialzo esponenziale del costo dell’energia e delle materie prime, crescita del prezzo dei prodotti di consumo, anche di quelli alimentari.

Inoltre, diminuzione della produzione, inflazione e perdita del potere d’ acquisto dei salari. A ciò ha contribuito anche la politica delle sanzioni economiche verso la Russia.

A questo quadro va aggiunto la ripresa e l’incremento orribile del conflitto israelo-palestinese, in seguito all’attacco terroristico del 7 ottobre 2023 portato da Hamas lungo il confine tra Israele e la striscia di Gaza.

L’operazione fu chiamata Alluvione Al-Aqsa, dal nome della moschea dove, secondo il gruppo terrorista che dal 2007 governa Gaza, erano state compiute violenze da parte dei militari israeliani contro i civili palestinesi. Nella notte migliaia di missili furono scagliati su Gerusalemme; al mattino, centinaia di militanti di Hamas attaccarono i kibbutz israeliani ed alcune città di confine, massacrando la popolazione ebraica.

Il festival pop di Nova

I luoghi di confine furono penetrati via terra con mezzi motorizzati e per via aerea con deltaplani a motore; i militanti scesero sulla zona dove si svolgeva il festival pop di Nova, sparando sui giovani partecipanti. Molti furono uccisi e circa 270 furono catturati per essere usati come scambio con i prigionieri.

La reazione dell’Idf (esercito israeliano) fu tardiva, per cui rimasero uccisi più di 1200 persone, circa 820 civili e 320 militari.

Già nella tarda mattinata però la controffensiva israeliana fu avviata in modo massiccio e prima delle 13 il presidente del governo, Benjamin Netanyau, emanò la dichiarazione di guerra contro Hamas; è stata la prima dopo quella della guerra del Kippur del 1973.

Come sempre, la reazione israeliana fu pesante, facendo più di 10.000 vittime in una settimana, provocando la rabbia delle piazze arabe, la preoccupazione dei Paesi occidentali e la perdita di consenso di Israele presso di questi.

Inoltre, le vittime degli israeliani sono quasi del tutto civili, come gli obiettivi da essi colpiti. Per esempio, a novembre l’Idf fece irruzione nel grande ospedale Al-Shifa di Gaza, sostenendo che quello fosse un centro di comando di Hamas, da cui i miliziani andavano e venivano attraverso i numerosi tunnel sotterranei di Gaza.

Frequenti attacchi sono stati portati anche alle scuole e altri edifici pubblici

A metà aprile del 2024, in risposta all’attacco subito da un suo Consolato a Damasco, l’Iran inviò molti droni e missili su Gerusalemme.

Ad inizio maggio, Israele occupò Rafah, la città più meridionale di Gaza, prendendo il controllo del valico di frontiera con l’Egitto, verso cui si dirigevano colonne di profughi palestinesi.

In luglio fu attaccato anche lo Yemen, per rappresaglia contro l’azione degli Houthi, ribelli sostenuti dall’Iran che appoggiano Hamas.

A metà agosto il governo USA presentò un accordo di tregua, ma Israele continuò la sua offensiva nel territorio del Libano; a Beirut fu ucciso Hassan Nasrallah, leader del gruppo Hesbollah, per il quale l’Iran ha promesso vendetta.

La guerra di Israele contro il terrorismo islamico ha ormai il carattere di genocidio del popolo Palestinese. Il pericolo Islam

In un anno di guerra Israele ha fatto più di 42.000 vittime, in una reazione esagerata che non ha più niente a che vedere con l’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Perciò molti Stati accusano Israele di genocidio del popolo palestinese; anche gli alleati giudicano sproporzionata ed inaccettabile la sua reazione, come ha detto recentemente anche Tajani, ministro degli Esteri del governo Meloni.

In effetti, se consideriamo la storia, l’attuale Stato di Israele fu fondato dopo la fine del secondo conflitto mondiale, trasformando il Protettorato costituito dalla Gran Bretagna, per risarcire il popolo ebraico dalle persecuzioni subite nel corso dei duemila anni successivi alla diaspora, in particolare al tentativo scientifico di annientamento perpetrato nei confronti di esso dal Nazismo.

Il guaio è che la cosa fu eseguita espropriando il popolo palestinese di un’ampia parte del suo territorio, la Striscia di Gaza e parte della Cisgiordania,senza nessuna trattativa.

Così parte degli Ebrei, che si erano diffusi in tutto il mondo, occupando posizioni di rilievo nell’economia combattendo la discriminazione che li accompagnava ovunque, si ritrovarono ad avere realizzato lo Stato nella terra promessa loro dal Signore del loro testo sacro, la Bibbia.

Cacciando da quella terra il naturale storico residente, il popolo arabo della Palestina che, ricordiamo, era (ed è ancora) di religione cristiana.

La politica perseguita oggi da Benjamin Netanyau, riferimento interno della destra ultra-ortodossa(i barbuti che si recano sempre a battere la testa sul muro di Gerusalemme), è quella di avere uno Stato del tutto ebraico.

Pertanto, è essenziale eliminare completamente i palestinesi, ed inoltre estromettere gli arabi che hanno occupato il territorio con la Jihad predicatadal Corano.

In sostanza, sembra che si voglia ripercorrere la Storia al contrario

Non a caso, tutti coloro che vorrebbero realizzare Stati teocratici e società fondate sul diritto della Sharia,hanno dichiarato di voler combattere la nuova guerra santa contro gli infedeli, a partire da Osama Bin Laden, che parlava di guerra agli stati crociati.

Nel recente passato alcune di queste organizzazioni di fanatici ha fatto comodo al prevalere di una potenza occidentale su un’altra (ricordiamo la rivalità USA-URSS in Afghanistan). Allora però era una setta contro l’altra, per il predominio.

Oggi invece l’estremismo islamico è divenuto attivo all’interno delle nostre società, dove vuole imporre i suoi usi e costumi a livello pratico, ma anche difeso dalla legge.

Ed è molto pericoloso, poiché trova il sostegno da parte dei cosiddetti progressisti, difensori della cultura degli altri a danno della nostra; come si verifica nelle nostre scuole pubbliche, dove certi insegnanti non citano più la nostra religione di pace, fondata sull’amore insegnato da Gesù, ma conducono gli alunni alla preghiera nei luoghi islamici, con la scusa della conoscenza e del rispetto degli altri.

Proprio questi fenomeni sono da combattere, riaffermando la nostra origine storico-religiosa, che ci può riavvicinare anche ai fratelli separati: ortodossi, protestanti, magari anche eretici, purché cristiani.

Soltanto così potremo perseguire lo scopo di portare la pace al posto della guerra.