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L’angolo dell’umanista: Lo specchio della Storia

“Le sue argomentazioni dialettiche sono dure, assertive, la verità esiste e Marx l’ha scoperta, non ci sono margini per il dubbio”

Breviario di un credo di cui rimangono pochi adepti, il libro che Lukács dedicò a Lenin nel 1924 – “Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario” – poco dopo la sua morte, è la testimonianza di una cultura politica, il comunismo, che forse ha ancora qualcosa da insegnare al mondo di oggi. 

Scritto prima di Stalin, del comunismo cinese, delle democrazie popolari dell’est dell’Europa, prima della rivoluzione castrista a Cuba, di Pol Pot e della guerra in Vietnam, esso costituisce l’appendice pratica di “Storia e coscienza di classe”, il grande libro di György Lukács (1885 – 1971) del 1923, che tanto peso ebbe sullo sviluppo del marxismo europeo del Novecento. 

Anche l’edizione italiana riveste un suo interesse: la copia in mio possesso reca la dicitura “Einaudi 1970”. Erano anni in cui questi libri si leggevano, in cui il movimento studentesco mondiale coltivava il sogno di un mondo redento dall’ingiustizia e dalla violenza, che poi concluse le sue speranze nella follia terrorista. Filosofo, sociologo, politologo, storico della letteratura e critico letterario ungherese, Lukács è il sacerdote del culto. 

Le sue argomentazioni dialettiche sono dure, assertive, la verità esiste e Marx l’ha scoperta, non ci sono margini per il dubbio, che tanto Socrate che Cartesio conoscevano come l’autentica essenza del pensiero. 
Tuttavia rimane, per stare al piano del pensiero, che la prestazione speculativa è di prima grandezza. Marxismo e comunismo hanno compreso, del nostro mondo, qualcosa di importante: che il modo in cui il capitalismo imposta la questione dei rapporti di lavoro, coincide con lo sfruttamento.

Che il capitalismo ha un’ambizione di tipo globale e imperiale, che è innata. Che le democrazie parlamentari svuotano, molto spesso, i diritti dall’interno, per consegnare i singoli alla disuguaglianza sociale più feroce. 
Ma c’è un punto che ha consegnato il sogno comunista alla più dolorosa delle sconfitte storiche: la violenza, la repressione, la dittatura non sono cavalli da cui si scende a proprio piacimento e, poco dopo la pubblicazione del libro di Lukács, Stalin lo avrebbe dimostrato in modo definitivo.

Tuttavia, di quel sogno, qualcosa di positivo rimane e arriva fino a noi: il senso della solidarietà e della giustizia sociale, la coscienza radicale che gli uomini nascono, vivono e muoiono, rimanendo uguali. 
 

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