Prima pagina » Cronaca » Israele-Palestina: per giudicare serve una informazione occidentale più libera

Israele-Palestina: per giudicare serve una informazione occidentale più libera

Rendere la nostra informazione più libera e ricca di elementi, per giudicare senza preconcetti: sui misfatti di Hamas siamo informati su quelli di Israele meno

Soldati che corrono nel deserto

Sono decenni che Israele non rispetta le risoluzioni delle Nazioni Unite e sfrutta le ricchezze dei Territori palestinesi occupati. Per esempio le cave di materiali da costruzione, le estrazioni petrolifere, il gas. Impedendo che i palestinesi possano sfruttarne altre. Tutto in contrasto con la Carta dei diritti dell’uomo e che non minaccia la sicurezza dello Stato d’Israele.

Per giudicare su Palestina e Israele bisogna avere notizie

Per fornire a chiunque materiale informativo documentato e verificabile sul tipo di gestione da parte di Israele della occupazione dei territori palestinesi in Cisgiordania, riporto di seguito una serie di notizie che non troverete nei notiziari tv e sulla stampa occidentali, schierati a favore del Governo di Israele. Con questo articolo non intendo parteggiare per nessuna delle due entità in conflitto ma vorrei contribuire a rendere l’informazione occidentale più libera e ricca di elementi, per poter giudicare senza preconcetti. Come è nella nostra più genuina tradizione. Sui misfatti di Hamas siamo informati puntualmente su quelli di Israele meno.

Israele ha diritto ad esistere ma anche il popolo Palestinese ha diritto ad una Patria. Chi vuole radere al solo l’opponente è comunque in torto e spesso si macchia di crimini di guerra, sia che si chiami Hamas o Netanyahu, dei quali crimini verrà chiamato a rispondere prima o poi. Per noi dovrebbero contare solo i fatti.

Hamas è il miglior alleato di Nethanyahu e viceversa

L’attacco inatteso di Hamas del 7 ottobre ha interrotto gli accordi tra Israele alcuni stati arabi sotto l’egida di Biden, presidente degli Stati Uniti. Forse è stato realizzato proprio per questo e sta dando i suoi frutti. Secondo alcuni Hamas è il miglior alleato di Netanyahu nel volere la guerra. Il Governo israeliano era in difficoltà e la guerra lo tiene in piedi. Entrambe le fazioni vogliono la distruzione del nemico e, in questo senso, si sostengono rispettivamente.

Come dicono gli analisti più attenti (Dario Fabbri, Alessandro Orsini, Lucio Caracciolo), non è distruggendo l’intera Gaza che Netanyahu estirperà Hamas. I capi del movimento sono altrove e protetti. In tutta la Cisgiordania gli episodi di ingiustizie contro la popolazione palestinese è la migliore promozione delle affiliazioni ad Hamas e sappiamo bene che il terrorismo è un mostro con tante teste, che un esercito professionale e supertecnologico non riuscirà mai a sconfiggere. Lo dicono gli stessi esperti di intelligence e di geopolitica.

Dall’altro lato, nel governo israeliano i falchi come Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich hanno dichiarato di volere una guerra totale contro i palestinesi per il loro annientamento. Vogliono distruggere Gaza. Netanyahu si trova tra l’incudine e il martello.  Deve andare avanti ma più stermina civili e bambini a Gaza e più si troverà contro l’opinione mondiale, con conseguenze per le sue alleanze internazionali e possibili allargamenti del conflitto con Hezbollah e l’alleato iraniano.

Poche sono le risorse di idrocarburi ma Israele impedisce ai palestinesi di sfruttarle

Le iniziative di Israele nei territori occupati non si limitano all’apartheid verso i palestinesi e a ogni tipo di coercizione e sopruso. Sul sito geopop.it si documenta la situazione energetica nei due Paesi e lo sfruttamento da parte di Israele di risorse appartenenti al territorio palestinese, in sfregio alle risoluzioni dell’Onu e alla Carta dei diritti umani.

I territori palestinesi sono economicamente dipendenti da Israele per le importazioni di beni e anche per la raccolta delle imposte che, in base agli accordi degli anni ’90, sono in gran parte gestite dal governo israeliano e poi trasferite all’Autorità Nazionale Palestinese (ANP).

Vi sono scarsi giacimenti di petrolio nell’intera Palestina. Quello di Meged, scoperto negli anni ’80, viene sfruttato dal 2010 ma è a ridosso del confine tra Israele e Cisgiordania. Secondo l’Autorità palestinese l’80% si troverebbe nel loro sottosuolo. Proposte di sfruttamento congiunto sono rimaste inapplicabili e lo Stato d’Israele utilizza il giacimento senza coinvolgere i palestinesi. I quali sono costretti a importare carburanti per poter vivere.

Ho trovato anche una notizia su Infopal dell’11 gennaio 2021 in merito alla città di Rantis, posizionata a nord-ovest di Ramallah, che avrebbe nel sottosuolo una grande quantità di risorse naturali di cui si è avvantaggiata l’occupazione israeliana.

In alcune dichiarazioni alla stampa risulterebbe che la città si trovi su enormi giacimenti di petrolio e gas naturale. Tuttavia non ho potuto trovare conferme in altri articoli su riviste non di parte. Inoltre non mi risulta che l’area del conflitto disponga di giacimenti rilevanti.

Nel caso del gas esistono due giacimenti nel mar Mediterraneo

Per il gas invece sono stati individuati giacimenti offshore nel Mediterraneo e si è realizzato un programma di sfruttamento congiunto fra Israele, Cipro e Grecia.

Anche la Palestina avrebbe disponibilità di un giacimento offshore e nel 1999 concesse una licenza di ricerca di idrocarburi alla British Gas Group a largo di Gaza. Il giacimento potrebbe risolvere l’intero problema di fabbisogno di gas e darebbe la possibilità di esportarne una parte. Però da quando Hamas è al potere a Gaza, Israele ha messo un blocco navale intorno alle coste della città e impedito lo sfruttamento di questa risorsa. Prima della guerra attuale a Gaza la corrente elettrica era disponibile solo alcune ore al giorno, su discrezione dello Stato di Israele. È un’altra delle ragioni di conflitto che esaspera le tensioni in atto tra palestinesi e israeliani.

Queste notizie sono tratte da:

Natural Gas in the Palestinian Authority: The Potential of the Gaza Marine Offshore Field

Ana-s Antreasyan, Gas Finds in the Eastern Mediterranean. Gaza, Israel, and Other Conflicts in “Journal of Palestine Studies” 42, 3, 2013

Sei milioni di palestinesi espulsi dalle loro terre

Si chiama Nakba ovvero catastrofe, l’esodo forzato dei palestinesi da Gaza e dalla Cisgiordania. È dal 1948 che vengono fatti allontanare con ogni mezzo di coercizione, spesso anche brutale, i palestinesi dalle loro case, villaggi, città, senza nessuna speranza di potervi fare ritorno, se non con la eliminazione totale del nemico. Così cresce l’odio reciproco e mentre gli israeliani vorrebbero, alcuni non tutti, la Grande Israele, senza nessun arabo al suo interno, i terroristi di Hamas lottano per la eliminazione dello Stato di Israele.

Evidentemente due obbiettivi irraggiungibili e folli entrambi. Al momento son o quasi 6 milioni i palestinesi rifugiati senza speranza di poter tornare. Quelli che ancora restano sono costretti a un complesso sistema di controllo composto da barriere fisiche, muri di separazione, checkpoint, blocchi stradali, controlli dei documenti. Hanno limiti alla libertà di movimento nelle loro stesse città e spesso anche nei palazzi in cui vivono, quando negli appartamenti vicini vi siano famiglie israeliane. 

In qualsiasi momento possono arrivare i militari e sbattere fuori una famiglia palestinese per sostituirla con una israeliana di coloni, anch’essi armati. Questo accade dal 1948 e dopo ogni guerra e non si riesce a fermare. Gli arabi non possono costruire, ristrutturare, svolgere attività lavorative. Le loro abitazioni possono essere sequestrate o distrutte, così le scuole, i negozi, gli uffici. Nei Territori Palestinesi Occupati, sono stati segnalati e verificati episodi di negazione dell’accesso umanitario. Si registra il secondo più alto numero di incidenti di questo tipo, con 1.582 negazioni all’accesso umanitario registrati nel 2021. 

Segregare, discriminare un popolo nel proprio territorio e derubarlo è una palese violazione della Carta dei diritti dell’uomo (1948)

Da anni Israele si appropria anche materiali da costruzione, sfruttando cave di proprietà del popolo palestinese, per fini economici. Anche se può sembrare secondario rispetto ad altri espropri, rubare dei beni di altri da parte di uno Stato non è accettabile. L’artista ebreo Moni Ovadia ci va giù duro contro il governo di destra: “Israele non è uno stato democratico”, perché altrimenti non occuperebbe territori altrui per edificarci case abusive e installarci coloni israeliani, difesi dai militari.

Uno Stato democratico non espelle cittadini dai propri territori e dalle proprie case, non attua un’odiosa apartheid secondo il modello del vecchio Sud Africa dei coloni Afrikaners, per altro condannata recentemente anche dallo stesso nuovo Stato Sudafricano, che ha rotto le relazioni diplomatiche con Israele in questi giorni (21 novembre 2023), proprio per questo motivo. 

ll presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha accusato Israele di “crimini di guerra” e di “genocidio” a Gaza (fonte: Ansa), nel corso di una riunione virtuale straordinaria dei Brics convocata per fare il punto sul conflitto nella Striscia e sulla situazione in Medio Oriente. Il Sudafrica detiene la presidenza dell’organismo che riunisce anche Brasile, Russia, Cina e India.

Una multinazionale collegata con Italcementi viola i diritti del popolo palestinese

La multinazionale tedesca HeidelbergCement è una delle principali multinazionali del cemento sul mercato mondiale, proprietaria dell’italiana Italcementi ed è complice della violazione dei diritti della popolazione palestinese che vive nei Territori Palestinesi Occupati.  A sostenerlo sono Al Haq, organizzazione impegnata in attività di denuncia degli abusi commessi da Israele, e Somo, centro di ricerca sulle multinazionali con sede ad Amsterdam.

Nel rapporto Violations set in stone, realizzato nel febbraio 2020 e consegnato a luglio alle Nazioni Unite, le due organizzazioni della società civile accusano il colosso del cemento di avere estratto materiali dalla cava di pietra di Nahal Raba, situata in un territorio sottratto illegalmente da Israele al villaggio di Al-Zawiya. Lo riporta il sito on line Altreconomia del  30 Luglio 2020 con un articolo a firma di Marta Facchini.

Hanson Israel è la società israeliana controllata dalla multinazionale tedesca

Le operazioni estrattive, effettuate attraverso la controllata Hanson Israel, “…hanno consentito di mettere a disposizione materiali poi utilizzati per espandere le colonie israeliane”, scrivono Al-Haq e Somo in un comunicato indirizzato all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Michelle Bachelet, chiedendo di inserire il gigante tedesco nella lista delle Nazioni Unite sulle aziende coinvolte in attività economiche negli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi occupati. Le attività delle multinazionali straniere in accordo con lo Stato di Israele mostrano il coinvolgimento e gli interessi di potenze occidentali nella occupazione dei territori palestinesi e le conseguenti violazioni dei diritti umani.

Le royalties sono state di quasi 70 milioni di euro nel 2009-2015

Le autorità israeliane rilasciano autorizzazioni edilizie alle aziende che lavorano nei terreni confiscati o espropriati ai palestinesi, da cui ricevono il pagamento di royalties per lo sfruttamento della terra. Solo tra il 2009 e il 2015, l’Amministrazione civile israeliana ha ottenuto royalties per oltre 285 milioni di shekel israeliani (quasi 70milioni di euro)  derivanti dalle attività delle cave nell’Area C,  ovvero la parte della Cisgiordania che comprende tutti gli insediamenti israeliani in territorio palestinese. I pagamenti sono direttamente trasferiti a Israele e non in un fondo separato così che, specifica il rapporto Violations set in stone, è difficile capirne il successivo utilizzo.

Ma sono immediatamente comprensibili le conseguenze sull’economia dei Territori occupati. Secondo la Banca Mondiale, le mancate entrate per le attività delle cave presenti nella West Bank, compresa Heidelberg Cement, ammontano a circa 3,4 miliardi di dollari annui e potrebbero aumentare di un terzo il Pil palestinese. Secondo il rapporto di un Ministro dell’interno israeliano, le cave nei territori occupati della Cisgiordania forniscono ogni anno 12 milioni di tonnellate di materiale da costruzione.

Una ditta tedesca e una messicana si occupano dell’ estrazione dal 2011

Nel 2011 su Bdsitalia.org in data 1°giugno, un articolo (a firma Adri Nieuwof) mostrava che fin da allora era evidente lo sfruttamento di cave in territorio palestinese (in Cisgiordania) da parte della tedesca Heidelbergh Cement e della messicana Cemex, su concessione illegale di Israele. Nell’articolo si stimavano in 530mila metri cubi il materiale sottratto dai territori occupati, per essere utilizzato e venduto in Israele.  Electronic Intifada, un sito on line con sede a Chicago e di parte palestinese, è riuscita a procurarsi prove documentali in merito, ossia video di camion che trasportano materiale sottratto nelle cave palestinesi diretti in Israele. Cercando il sito potrete visionare i video.

Il Diritto Internazionale proibisce lo sfruttamento da parte di Israele delle risorse naturali della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e delle Alture del Golan Siriano a proprio esclusivo vantaggio. Perché si tratta di zone occupate temporaneamente e illegalmente. Israele sostiene di occupare quelle zone per motivi di sicurezza interna. Cosa ha a che fare la sicurezza col furto di materiale sottratto dalle cave? Ovviamente nulla. Ma Israele in spregio alle risoluzioni Onu lo fa ugualmente, ricavandone dei vantaggi.

Il muro divisorio costruito col cemento sottratto ai palestinesi

Secondo lo studio di Women for Peace, Hanson Israel possiede due stabilimenti di cemento in Cisgiordania, negli insediamenti di Modiin Illit e Atarot e uno di asfalto a sud dell’insediamento di Elqana. Allo stesso tempo, ReadyMix gestisce stabilimenti in vari insediamenti israeliani. Compreso Mevo Horon, la zona industriale di Atarot e quella di Mishor Edomim, tutti situati nei territori occupati della Cisgiordania, e Katzerin sulle alture del Golan occupato.

La stessa ReadyMix ha fornito il calcestruzzo per la costruzione del muro da parte di Israele e dei posti di blocco militari in Cisgiordania, oltre al cemento per la costruzione della ferrovia leggera di Israele.

Sono 500 le multinazionali che operano in Israele nel settore tecnologico

In Israele la tecnologia ha fatto passi da gigante. Questo settore rappresenta da solo il 14%& dei posti di lavoro e un quinto del PIL. Per questo motivo sono molte le aziende multinazionali che operano in Israele, almeno 500 e soprattutto centri di R&D (scoprire e sviluppare nuovi prodotti) e start-up israeliane collegate a Intel, IBM, Apple, Microsoft, Google e Facebook.

Tra le aziende tecnologiche, Intel è diventata il più grande datore di lavoro ed esportatore privato del paese e leader locale nel settore dell’elettronica e dell’informazione. Ha tre centri di sviluppo ad Haifa, Petah Tikva e Gerusalemme. All’inizio di quest’anno, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva annunciato che Intel avrebbe investito 25 miliardi di dollari in un’altra fabbrica che sarebbe stata aperta nel 2027. Il più grande investimento internazionale mai effettuato nel paese, che si aggiungerebbe ai suoi impianti di chip e centri di design. Una fabbrica in costruzione di Intel è a 12km di distanza da Gaza.

L’altro aspetto rilevante è che da Gaza, una prigione a cielo aperto da cui uscivano pochissime persone, arrivavano in territorio israeliano migliaia di palestinesi per lavoro.

Anche l’interruzione dei trasporti, comprese le cancellazioni dei voli e i blocchi delle rotte marittime, ha avuto un profondo impatto sulle supply chain.

Difficile distinguere militari e civili tra gli adulti di entrambe le fazioni

Per via della situazione di guerra molti riservisti hanno lasciato il lavoro per andare a combattere. Si parla di almeno 300mila persone. In questo caso può essere fuorviante parlare di civili quando si parla di adulti israeliani, giacché ogni cittadino è pur sempre un riservista pronto a combattere e nel caso dei coloni, sono essi stessi armati e operativi come forze militari. Ciò è comprensibile, data la vicenda particolare di questo popolo, ma lascia perplessi parlare di civili, quando in sostanza sono tutti militari a parte vecchi e bambini.

Del resto anche per i palestinesi è difficile distinguere un cittadino qualsiasi da un terrorista o un combattente per la Liberazione della Palestina. Chiunque può essere militarizzato, anche un bambino, purtroppo. Questo non giustifica lo sterminio di oltre 6.000 minori in questi giorni. Non è con un genocidio che si elimineranno i capi di Hamas, anzi sarà molto difficile che riescano a prenderli tutti.