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Incinta, non vuole più rubare. Borseggiatrice picchiata a Termini dai suoi protettori. Basta!

Avrebbe chiesto ai suoi protettori di cambiare vita, ma loro non volevano concederglielo. E per questo è stata massacrata senza pietà

Stazione Termini, Polizia Roma Capitale

Borseggiatrice picchiata in metro a Termini dai suoi protettori. Un gesto di una violenza inaudita, insopportabile per la nostra coscienza. I meccanismi istintivi che soggiacciono a quelli sociali del nostro modo di vivere. La stessa violenza la applichiamo in altri modi, nelle nostre società evolute, contro chi rompe le regole collettive.

La vittima è una rom di 39 anni, incinta all’ottavo mese, portata al policlinico Umberto I per far nascere il bambino che ora sta bene, ma lei è stata sottoposta alle cure mediche per le botte subite soprattutto al volto. Avrebbe avuto una lite con altre donne e uomini provenienti dallo stesso campo in cui abita, per via degli scarsi risultati del suo “lavoro”. Lei si è giustificata gridando: “Sono incinta, non voglio più rubare, non ce la faccio più”.

Avrebbe chiesto ai suoi protettori di cambiare vita, ma loro non volevano concederglielo. E per questo è stata massacrata senza pietà. Sbattuta in terra e presa a calci sul volto. Dietro la scena del pestaggio di ieri pomeriggio sul convoglio della metro B c’è la storia dei ricatti cui sono sottoposte donne e bambini dei campi rom. C’è la storia della nostra natura violenta.

Questa violenza non è solo nella comunità rom, anche nella nostra società la viviamo ogni giorno, con modalità poco differenti

Il fatto che sia accaduto a una donna rom non significa che non possa accadere anche a una cittadina italiana. Quanti sono i delitti e le violenze e gli stupri che ogni giorno la cronaca riporta e che riguardano donne italiane e straniere? “Non vuoi più stare con me allora ti ammazzo!”

Una volta dimessa dall’Ospedale chi aiuterà questa donna a smettere di rubare? Chi le consentirà di cambiare vita come lei desidera? Sulla sua buona fede non ci metto la mano sul fuoco ma che vantaggio avrebbe avuto a dichiararlo? Lei sa benissimo che quello è il suo destino, se se ne vuole affrancare, troverà gli strumenti per farlo nella sua comunità? Niente affatto, lei è sola, come una ribelle, senza speranza. Già condannata. E noi “civili” non alzeremo un dito. Cosa vi fa più orrore? Il suo mondo o noi che non siamo in grado di aiutarla?

Le comunità sociali si danno delle regole che il singolo non può rompere se non a rischio della sua stessa sopravvivenza

La donna rom ha 13 figli, alcuni dei quali sono giunti al suo capezzale all’Umberto I. Che vita ha fatto fino ad ora questa persona? Che vita faranno i suoi figli e le sue figlie? Quali e quante privazioni ha subito lei e la sua famiglia? Cosa l’aspetta una volta tornata al suo campo, con i 14 figli da accudire e tutte queste bocche da sfamare? Che tipo di società è mai questa? Quando mi capita di guardare dei documentari sui primati vedo scene di promiscuità, di serenità tra i membri della comunità animale che sfocia in momenti di violenza estrema.

Noi umani siamo primati, esattamente come loro, abbiamo gli stessi istinti, mitigati dalla cultura in cui siamo cresciuti e che ci impone di adeguarci a regole di vita sociale. Altrimenti scoppia la stessa violenza e la stessa sopraffazione. Una femmina deve solo procreare. Quante volte si sente questo richiamo alla “natura” , in certi comizi e in certe posizioni politico-religiose? E infatti la signora rom procrea, 14 volte di seguito. In pratica saranno 15 anni che non farà altro che crescere bambini, se ha avuto tutti parti felici, senza aborti naturali o procurati.

Ma che vantaggio le dà questa procreazione continua, come una vacca di allevamento, come una scrofa, per la sua dignità personale, per sé stessa? Anche se si sentisse realizzata nella maternità continua, pensate voi che la sua voglia di procreare sia una libera scelta?

Questa divisone dei compiti tra maschi e femmine non esiste solo tra i rom, è una regola sociale diffusa in tante etnie con differenze a volte minime, altre marcate

La donna rom deve provvedere a mantenere una casa, alimentare la famiglia, sottostare alle voglie del marito e procurarsi i soldi borseggiando i viaggiatori della metro a Roma. E l’uomo che fa? Dispone, controlla, decide, fotte e picchia se ti ribelli. Che c’è di diverso con un babuino alfa, un capo del suo clan? Lungi da me l’idea di paragonare i rom a una comunità di babuini, sto facendo un parallelo tra umani e altri primati, a prescindere dall’etnia.

Il comportamento assolutista, padronale, violento dei rom lo si ritrova in altre comunità umane alla stessa maniera. Siamo tutti esseri umani, nel bene e nel male. Certe comunità del nostro paese, specie negli anni passati, non avevano atteggiamenti diversi. In tante etnie che definiamo arretrate, con una buona dose di etnocentrismo, l’uomo comanda e la donna è poco più di una schiava. I bambini poi non contano niente.

In molte società moderne le regole che dettano la supremazia patriarcale sono applicate con la stessa determinazione e violenza dei rom

Non solo per i Gitani della Camargue ma anche nelle comunità beduine del deserto, nelle steppe più marginali della Russia, nelle distese del Kosovo, nell’Anatolia più orientale, forse anche nelle isole greche più sperdute o tra i nomadi della Mongolia e nelle campagne interne della Cina e forse anche negli stati centrali americani, dove ogni famiglia ha in dotazione pistole e fucili in quantità industriali, per farsi giustizia da soli o sulle montagne peruviane o nelle bande dei narcotrafficanti colombiani, troviamo comunità in cui alle donne viene riservato un triplo lavoro, mentre l’uomo non fa nulla se non comandare, uccidere, violentare.

Come fossimo di fronte a un branco di leonesse che accudiscono i cuccioli, vanno a cacciare le prede e sottostanno alle disposizioni del Re Leone.  Questa è la regola istintiva che si ripete nelle comunità animali e in alcune società umane, con le dovute differenze.

Attenzione però: il Re ha tanti privilegi ma può essere spodestato con la stessa violenza che egli stesso usa per essere Re

Già nel Ramo d’oro, uno studio sulla mitologia e la religione, dell’antropologo scozzese George Frazer raccontava la storia dei Re di Albalonga, la comunità che dette i natali a Roma. Dove il Re non viveva sereno, scappava nel bosco sempre con la paura di essere assassinato da chi voleva rubargli il potere. In quello studio l’autore si proponeva di dimostrare che tutte le religioni primitive hanno caratteristiche comuni, per cui la giustificazione dei principi di certe usanze magiche o religiose è servito a comprendere l’origine e il significato di altre forme religiose analoghe. Ma a noi ora interessa un aspetto, quello della violenza sui più fragili. 

Noi pensiamo di esserci affrancati dal livello primitivo così spietato e ingiusto. Che avrà però un fondamento, perché la vita del Re deve essere sempre in bilico. È il Re ma può essere spodestato da un esemplare più giovane e più forte. La stessa violenza si verifica nelle comunità umane che si fondano appunto sulla legge del più forte, del più valente, del più capace a dominare, come quella fascista. Il rischio di perdere tutto è dietro l’angolo. Mentre una società paritaria, che tenga in conto i diritti dei più deboli, che li difenda, chiedendo al più forte di mettersi a disposizione della legge e difendere questa e non la sua prepotenza, è un notevole passo in avanti e chiunque lo comprenderebbe.

Ma non certo i bruti. Non i bulli, non chi usa pugni e calci per far capire che è più forte. Questi personaggi, e ce ne sono tra noi, come tra i rom, non ragionano perché disabituati a farlo. Perché non sanno farlo. Credono solo nella legge del più forte e di questo periscono essi stessi prima o poi.

La stessa violenza del branco lo Stato la ripropone sotto forma di legge con punizioni ipocritamente accettabili ma che poi contengono la stessa violenza

Può sembrare azzardato ma il parallelo che mi viene da fare è sulla punizione che si vuole infliggere a Julian Assange, il giornalista australiano in carcere a Londra, che con Wikileaks ha pubblicato documenti segreti del Pentagono sui crimini di guerra dell’esercito americano in Iraq e in Siria e in Afghanistan. Uno dei fondamenti della nostra società è la libertà di stampa, ma un altro fondamento dello stato è che non si possono rivelare i segreti militari pena la condanna più terribile: l’ergastolo o la morte o anche l’esilio forzato.

Queste sono le punizioni peggiori che si possono infliggere a chi si pone fuori del contesto sociale infrangendone le leggi che lo tengono in piedi. Siccome una buona dose di ipocrisia democratica pervade il diritto americano come il nostro, si prospetta di comminare ad Assange qualcosa come 175 anni di reclusione, sommando i reati che avrebbe commesso, che equivale a una condanna all’ergastolo senza dirlo.  Nella comunità dei babbuini, il babbuino Julian verrebbe semplicemente massacrato di botte e di morsi. Nella comunità di una civiltà evoluta, futuribile, verrebbe invece premiato e verrebbero reclusi i capi che quei crimini di guerra hanno voluto e realizzato di nascosto.

Noi non apparteniamo a questa società evoluta ma a una via di mezzo. Dove gli interessi economici contano più dei principi civili. Allo Stato è permesso tutto, al cittadino no. Ma non lo si dichiara. Si dice il contrario. Che la legge è uguale per tutti, ma non è così.

Il vero “Mondo al contrario” è quello di chi proclama principi di democrazia e di civiltà e invece usa violenza per sopraffare altri popoli e trarne vantaggi

Questo è il vero Mondo al contrario non quello immaginato dal povero Vannacci. La verità è ciò che fa crescere una comunità, non la difesa della menzogna. Tutti gli eserciti compiono crimini, non solo gli americani. Ma se si dimostra che lo fanno anche gli americani, cade “il castello dei buoni che salvano il mondo”. Di buoni, tra gli eserciti del pianeta, non ce ne sono. Sono le guerre che andrebbero evitate ma siccome producono lauti profitti e mettono in moto l’economia di un Paese, devono essere fatte e dal 1945 in poi, non ci sono mai stati periodi di pace, sempre c’è una guerra da qualche parte del mondo… voluta e alimentata per interessi economici.

Non esistono guerre giuste. Come minimo si provoca l’avversario perché diventi un nemico. I nazisti incendiarono il Reichstag nel 1933 per dare la colpa ai comunisti. George W. Bush nel 2003 si inventò le armi di distruzione di massa per attaccare l’Iraq di Saddam. Non ci sono i buoni che salvano la democrazia ma un groviglio di interessi, con alla base la volontà di esercitare il potere. Per tornare al nostro tema della violenza insita in noi, nel nostro DNA, la violenza alla donna incinta che ci fa tanto orrore è la stessa che la nostra società usa contro gli ultimi, per trarne profitti e vivere al di sopra dei propri mezzi, continuando a perpetrare spreco e danno all’ambiente per il proprio egoismo. Noi siamo come quei rom e ciò che prendiamo a calci è il pianeta in cui viviamo, sono gli ultimi, i più fragili.