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Il vaticanista Schiavazzi: “Il virus acuisce il conflitto tra natura e cultura”

“Il Papa deve scegliere: o noi radicalizziamo l’interpretazione francescana del ‘Laudato sì’ e cantiamo un ‘fratello virus’, oppure accettiamo la non concialibilità tra natura e cultura”

Il professor Piero Schiavazzi, vaticanista di Huffington Post e Limes, giornalista, docente dell’unica cattedra di geopolitica vaticana al mondo, la Link Campus University, ci ha offerto una sua preziosissiama analisi relativa al modo in cui Papa Bergoglio e la Chiesa stanno affrontando l’emergenza sanitaria e le sfide metafisiche, teologiche ed evangeliche che essa pone.

In questo momento ci sono attori sulla scena politica che accendono il dibattito tra chiese aperte e chiese chiuse; come conciliare la minaccia materiale di ordine scientifico rappresentata da un contagio virale con l’esigenza interiore di preghiera, di raccogliersi nella comunità di fedeli, di esprimere un’istanza spirituale in un momento così drammatico, che ha un sapore quasi millenaristico?

“Si tratta di un dilemma a tre salvezze: la salvezza terrena, la salvezza spirituale e la salvezza di Salvini che è intervenuto in questo dibattito. Sulla possibilità di conciliare esigenza evangelica e diligenza civica la Chiesa è stata oscillante, la domanda che lei sta ponendo a me se l’è fatta il Papa e ha risposto in 24 ore in manierea diversa. Il 12 marzo, nel giro di 24 ore, Bergoglio ha aperto e chiuso le chiese. O diagnostiachiamo una schizofrenia o ammettiamo che la Chiesa è stata toccata nel suo nervo vitale; il Papa, nervo dei nervi di Dio, è portatore di questa tensione che lui vive in modo lacerante. La salvezza terrena e ultra terrena confliggono e questa condizione ontologica ambigua si esprime nella ‘schizofrenia’ di queste decisioni opposte ed estremamente sofferte che si sono susseguite repentinamente”.

Papa Franceso ha portato un vento nuovo in Vaticano e ha vissuto anche la situazione anomala di un pontificato a due, l’era dei “due Papi”, i cui diversi approcci teorici e liturgico-dottrinali sono stati strumentalizzati da diverse fazioni politiche.

“Torniamo indietro: Papa Beroglio aveva esordito nel suo pontificato con lo slogan ‘porterò la Chiesa fuori da sé stessa’ e il 12 marzo, alla vigilia del suo settimo anniversario, si trova finalmente ad aver condotto la Chiesa fuori da se stessa. Ma cosa accade? che non trova nessuno. La Chiesa è fuori ma le persone sono dentro. Il cardinale Bergoglio ha fondato il suo pontificato sul ‘sogno di una Chiesa che esce da se stessa’. Bergoglio il 25 novembre del 2013 scrive infatti l’Evangelii gaudium, La gioia del Vangelo, che è un po’ la Magna Carta del suo pontificato, e all’interno è contenuta la teologia delle città e lì si è capito che la ‘chiesa fuori da sé’ non era uno slogan ma un rovesciamento ontologico di rapporti: il terreno consacrato non è il pavimento delle basiliche, ma il suolo dei vicoli, delle piazze e delle vie dove la gente si incontra e dove la vita della metropoli genera di continuo culture, nuovi organismi antropologici, come una rigogliosa foresta urbana. Durante gli anni del pontificato di Bergoglio per la prima volta nella Storia, la popolazione mondiale che abita nelle città e nelle realtà urbane ha superato quella che abita i contesti agrari e le campagne. Questo ha colpito molto Bergoglio. Perciò quando noi diciamo che oggi il mondo è chiuso in casa significa effettivamente che 4 miliardi di persone sono confinate e arginate senza poter accedere alle vie, a quei luoghi urbani dove esplode la ricchezza delle espressioni umane che ha affascinato Bergoglio. Insomma questo virus è il nemico peggiore che potesse capitare al pontefice, intacca le vie respiratorie del suo pontificato”.

Bergoglio nella sua seconda enciclica ‘Laudato sì’ aveva glorificato il creato richiamandosi a San Francesco. Aveva celebrato la natura in quanto creato. Santificando gli animali, le foereste e i mari, e questo appare paradossale e doloroso oggi, dato che questo virus sembra essere il frutto patologico di una nostra relazione perversa con la natura; natura che non viviamo più come creato, ma che esaltiamo solo nel suo aspetto terreno, ecologico ma quasi asettico dal punto di vista spirituale.

“Si tratta di un discorso pericoloso, perché c’è chi ha dato una lettura estremistica di questa argomentazione: un gesuita di nome Benedict Mayaki, il quale nei giorni scorsi ha scritto un articolo sul sito del Vaticano, ritirato dopo alcune ore, perché ha definito il virus ‘alleato’. La natura si sta riprendendo il mondo. Stando ai dati che abbiamo e a ciò che ci dicono gli scienziati questo virus non è stato prodotto in laboratorio e non ha a che fare con quegli esperimenti in provetta che sappiamo essere svolti da diversi laboratori. E allora il Papa deve scegliere: o noi radicalizziamo l’interpretazione francescana del ‘Laudato sì’ e cantiamo un ‘fratello virus’, oppure accettiamo la non concialibilità tra natura e cultura. La natura sta mostrando il suo lato oscuro, la verità insanabile tra cultura e natura. Il vicario di Cristo, Il quale lo lascia vicario di una istituzione terrena ma che al tempo stesso deve dire ‘il mio regno non è di questo mondo’, il Papa quindi, già come istituzione da Pietro in poi è portatore sano della dicotomia tra mondanità e regno di Dio. Il virus ha portato tragicamente allo scoperto questa contraddizione ontologica della Chiesa”.

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