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Il gioco del mondo, Julio Cortázar‏

Il Sabato Lib(e)ro di Livia Filippi

Julio Cortázar, argentino naturalizzato francese, ha vissuto metà della vita a Parigi, conservando il suo cuore saldamente ancorato alle rive del Mar de La Plata. Dedica settant’anni della sua vita alla letteratura, nel 1963 ne stravolge la storia pubblicando il suo capolavoro che detto alla sudamericana ha segnato “un antes y un después”: “Rayuela” è il titolo originale del romanzo, non traducibile in italiano. Esso si riferisce alla variante argentina di un gioco molto simile a quello della Campana: delle caselle disegnate a terra, un sasso da lanciare con la punta del piede e da raggiungere saltando di casella in casella e ricominciare. La prima casella è la base di partenza, la Terra, da cui avvengono i lanci verso l’ultima, il Cielo. La Rayuela si vince quando una persona riesce a completare il percorso andando dalla Terra al Cielo. Questa è la via che spetta a quei lettori che sapranno saltare insieme al protagonista le caselle dell’esistenza come quelle del “gioco del mondo”; a questi accadrà di destrutturarsi in figure libere che ricomponendosi danno un nuovo senso alle cose.

Più importanti della trama di Rayuela sono gli universi psicologici di ogni personaggio e le relazioni che questi hanno con l’amore, la morte, le passioni e l’arte.

Cortázar traccia su carta una versione più intima e originale del gioco, crea un universo a sé e gli dà la forma di una Parigi labirintica. Il grande salto è nel buio della coscienza del protagonista Horacio Oliveira, in lui c’è l’inquietudine intellettuale del Novecento. Horacio è un eterno studente argentino che si trova a Parigi e tra momenti di vita quotidiana intrecciati a un’attenta e poetica analisi filosofica della vita, non resta mai fermo nello stesso punto e si muove alla costante ricerca di sé e di quello che lui definisce il Centro, ovvero quella dimensione dove eliminando il “non necessario” ogni essere umano può reinventare la realtà. Questo continuo viaggio è al tempo stesso reale e visionario e lo fa spostare da Parigi a Buenos Aires.

La sua relazione con Lucia “la Maga”, sarebbe riduttivo definirla “d’amore”, i due sono solitudini incomunicabili legate da amore profondissimo. Horacio parla della vita e la distrugge. La Maga è la vita; è una giovane donna emigrata dall’Uruguay insieme al figlio Rocamadour ancora in fasce, a Parigi, dove intraprende una breve carriera da cantante e vive alla giornata. E’ un personaggio singolare poiché è un’inconsapevole depositaria di ogni mistero e pienezza e racchiude in sé tutta la bellezza della donna. I due si conoscono per caso e si amano.

In una lettera alla Maga, Horacio scrive:

“Tocco la tua bocca, con un dito tocco il bordo della tua bocca, comincio a disegnarla come se uscisse dalla mia mano, come se per la prima volta la tua bocca si aprisse, e mi basta chiudere gli occhi per disfare tutto e ricominciare, faccio nascere ogni volta la bocca che desidero, la bocca che la mia mano ha scelto e ti disegna sulla faccia, una bocca scelta tra tutte, con la sovrana libertà che scelgo per disegnarla con la mia mano sulla tua faccia, e che, per un azzardo che non cerco di comprendere, coincide esattamente con la tua bocca che sorride sotto quella che la mia mano ti sta disegnando.

Mi guardi, da vicino mi guardi, sempre più da vicino e allora giochiamo a fare il ciclope, ci guardiamo tanto da vicino che i nostri occhi si allargano, si attaccano tra di loro, si sovrappongono e i ciclopi si guardano, respirano confusi, le bocche s’incontrano e lottano nel tepore, si mordono con le labbra, appoggiano appena la lingua tra i denti, giocano nei loro recinti là dove un’aria pesante va e viene col suo profumo antico e il suo silenzio. Allora le mie mani cercano di immergersi nei tuoi capelli, di accarezzare lentamente la profondità dei tuoi capelli mentre noi ci baciamo come se avessimo la bocca piena di fiori o di pesci, di movimenti vivi, di fragranze oscure. E se ci addentiamo, il dolore è dolce, e se affoghiamo in un breve e terribile assorbirsi dell’alito, quell’istantanea morte è bella. E c’è una sola saliva e un solo sapore di frutta matura, e io ti sento tremare su di me come una luna nell’acqua”.

Fondano insieme ad altri giovani bohémien un circolo culturale privato chiamato il “Club de la Serpiente”, con il quale ascoltano musica jazz, passano il tempo a dialogare di arte, filosofia, etica e letteratura, in compagnia dell’oppio. Ingaggiano delle memorabili conversazioni e discussioni che illustrano la visione di Cortázar riguardo la condizione umana come riflesso della condizione dell’artista.

Cortázar sovverte e cambia il concetto stesso di libro, rendendo l’oggetto in sé (e non solo quanto raccontato al suo interno), un’opera d’espressione artistica. Vuole coinvolgere fino a tal punto il lettore che nella prima pagina del romanzo, scrive una tavola d’orientamento in modo da dargli la possibilità di scegliere come leggere il testo. Rompe con tutto ciò che era stato scritto fino ad allora: la normale modalità di lettura sequenziale di un libro è in Rayuela solo una delle molteplici modalità di lettura e di interpretazione del romanzo. Secondo la disposizione dei capitoli, questo libro può essere letto in almeno tre modi regalando varie profondità di lettura e diverse interpretazioni del romanzo e dei suoi protagonisti.

La precisione di questo scrittore sorprendente, nel descrivere in maniera puntuale gli stati d’animo e le vicende dei personaggi, crea una strana magia secondo la quale i silenzi di Cortàzar sono addirittura più belli degli stupendi dialoghi di Horacio e i sotto testi parlano a voce più alta e chiara del testo stesso, alla parte più pura di noi, quella che non dimentica che in fondo “per arrivare al Cielo servono solo un sassolino e la punta di una scarpa”.

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