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Il dark tourism: il fascino dei luoghi macabri attrae i vacanzieri

Il dark tourism attrae sempre più persone che vogliono visitare luoghi in cui sono avvenute tragedie

Chernobyl

Il dark tourism è un modo di viaggiare che può sembrare strano, illogico e forse lo è. Secondo alcuni sarebbe anche poco etico. Però attrae sempre più persone che vogliono visitare luoghi in cui sono avvenute tragedie come ad Hiroshima, Auschwitz, Pompei, Ground Zero o Chernobyl.

Il dark tourism, che possiamo tradurre con turismo nero, turismo oscuro o anche turismo del dolore, è una forma di turismo associata alla morte o alla tragedia, dove il turista vuole entrare in contatto con quel determinato posto, dove il fatto è successo e dove la disperazione ha preso il sopravvento sulla pietà. Anche chi visita il Colosseo non crediate che lo faccia per motivi architettonici o culturali. È il massacro dei cristiani che li attira nell’arena. Come visitare il set di un film, cui si è assistito dal salotto di casa, per sentirsi protagonisti per 5’, calcando lo stesso terreno sul quale tanta sofferenza s’è riversata e che adesso ci vede coinvolti.

Con il dark tourism l’uomo guarda in faccia la tragedia

Dalla notte dei tempi l’uomo è attratto, affascinato, sedotto dalla morte. Incuriosito dai luoghi in cui sono avvenuti disastri, esecuzioni, battaglie epiche, uccisioni violente.

Si è vero la morte è l’ultimo spettacolo, come nel film del 1971 di Peter Bogdanovich, e gode di un’attenzione spropositata, perché è il mistero dei misteri, il confine superato con l’al di là. Il popolo riempiva le arene per assistere ai macelli tra gladiatori, alle fiere che sbranavano i cristiani, per arrivare al momento in cui il pollice verso dell’imperatore decretava la condanna del disgraziato perdente.

Per cui non c’è da stupirsi se hanno tanto successo i viaggi dell’orrore, il dark Tourism. L’incontro tra l’estremamente piacevole, il viaggio e l’estremamente orribile, la morte. Cosa c’è di meglio per far salire l’adrenalina? Le agenzie turistiche hanno scoperto questo filone e ci si sono gettate a pesce, per organizzare tour di pochi giorni, viaggi organizzati, privi di ogni rischio. Perché bisogna vivere l’emozione del proibito ma nel comfort e nella sicurezza. Come se fossimo davanti alla tv o al Luna Park.

I disastri del passato, meta del turismo horror di oggi

I luoghi sono quelli dell’olocausto, per esempio, ad Auschwitz-Birkenau, con visita ai forni e alle baracche dove venivano ammassati, nudi e scheletrici, milioni di ebrei rastrellati in tutta Europa, per essere spediti nelle camere a gas. I luoghi dei grandi genocidi sono anche in Africa, al Kigali Genocide Memorial, dove si ricordano i massacri dei tutsi e degli hutu moderati avvenuti in Ruanda dal 6 aprile al 16 luglio 1994 per mano dell’esercito regolare e delle milizie paramilitari. Un massacro per odio, verso la minoranza tutsi, l’élite sociale e culturale del paese. Oppure i Killing Fields in Cambogia, dove 1,7 milioni di cambogiani vennero sterminati dai khmer rossi in circa 300 differenti campi.

Luoghi in cui sono avvenuti disastri naturali, come terremoti o eruzioni vulcaniche. Il più gettonato è ovviamente Pompei, la città distrutta nell’eruzione del Vesuvio del 79 a.C. con la vicina Ercolano. Nel 2019 ha registrato 4 milioni di visitatori. Voi credete che siano stati attirati dagli affreschi delle pareti e dalle maioliche dei pavimenti? No, dai calchi in gesso dei poveri abitanti soffocati e poi bruciati sotto una pioggia di ceneri incandescente.

Corpi rattrappiti, oppure nel momento dello slancio in cerca di salvezza, abbracciati, colti di sorpresa. Che morte sarà stata? Avranno provato dolore? Si saranno resi conto? Questo è ciò che muove il turista, per la gran maggioranza, non certo l’interesse per la storia di Roma antica. Così come Pompei ha molto successo anche la visita a New Orleans, nei luoghi dei danni dell’uragano Katrina nel 2005 o la famosa eruzione del Eyjafjallajökull in Islanda, che oscurò i cieli di mezza Europa nel 2010.

Dark tourism: noi responsabili dei disastri e spettatori più accaniti

Io sono dell’idea che i disastri sono sempre e comunque responsabilità dell’uomo, anche quando sono apparentemente delle fatalità. Tuttavia sembra che non impariamo niente dalla visione dei tristi spettacoli.  Si poteva immaginare che costruire una città nei pressi di un vulcano determinasse quella tragedia. Così come si può logicamente supporre che costruire case nel letto di un fiume in secca, ci espone a rischi di possibili esondazioni e disastri per le troppe piogge.

Anche il naufragio del Titanic rientra in questo genere di disastri. La difettosa costruzione, il non aver dato ascolto al messaggio di pericolo e il non aver rallentato la corsa, per guadagnare un premio all’arrivo a New York, sono state le cause umane del naufragio.

Il Titan, la tragedia durante una escursione di dark tourism

È dal 1912, anno della tragedia, che se ne parla e se ne discute. Il ritrovamento del relitto e poi il film e adesso la nuova tragedia del batiscafo Titan che implode a 3.700 metri di profondità con 5 passeggeri di cui 3 turisti milionari, a pochi metri dal relitto della nave inaffondabile, continua ad alimentare la fantasia del viaggio più emozionante di sempre.

Anche lì sapevano del pericolo, erano stati messi in preallarme ma non hanno voluto ascoltare. Bisognava incassare. Avevano messo i biglietti a 250.000 dollari, e li hanno pagati per vedere da vicino dei ferri arrugginiti, che puoi osservare meglio in 4k su Youtube. Fra qualche decina d’anni il Titanic sparirà, si dissolverà nell’oceano con tutto il suo passato di ricordi e di prosopopea grandiosa. Da qui la corsa a vedere, a non mancare, a fare di tutto per esserci.

Per motivi meno drammatici molto turismo è stato attirato sull’Isola del Giglio, nell’arcipelago toscano, per visitare la Costa Concordia incagliata di lato, sugli scogli. Le vittime di quel naufragio sono quasi il corollario che dà enfasi all’avvenimento. Nella tragedia deve avere la sua parte la grande livellatrice, senza questo elemento non c’è mordente.

Un’altra destinazione del genere si trova in Islanda. Si tratta della spiaggia Sólheimasandur, dove giace la carcassa dell’aereo C-117 della US Navy precipitato nel 1973. Nonostante sia un luogo piuttosto difficile da raggiungere, il relitto abbandonato attira sempre più visitatori. 

Il memoriale delle vittime di Ground Zero

Ci vorranno 30.000 anni prima di poter tornare a vivere a Chernobyl

Poi c’è il turismo più folle di tutti. Quello nucleare. Sono iniziati subito, nel 1986, poco tempo dopo l’esplosione, le richieste di viaggi a Chernobyl e alla località di Pripyat, la città evacuata e abbandonata, meta del turismo più dark di tutti, il turismo che corre sul filo. Pripyat ospitava 50.000 abitanti, fino al 26 aprile 1986, quando alle ore 1.23 del mattino, si verificò il disastro. L’esplosione della Centrale Nucleare cambiò la storia di questo posto e del mondo. Tutto accade durante un test di sicurezza in cui diverse cose andarono per il verso sbagliato causando l’esplosione nel reattore 4. La reazione sfuggì al controllo e, dato che i sistemi di sicurezza erano stati disattivati, ci fu un’esplosione nel nucleo radioattivo la cui conseguenza fu la fuoriuscita di iodio e cesio nell’aria.

Da allora Pripyat è una città fantasma, un monumento alla follia umana, che pensa di poter gestire qualcosa che è infinitamente più potente di noi, qualcosa che può distruggere e contaminare per sempre ogni zolla, ogni muro, ogni animale, ogni pianta. I livelli di radiazione a Pripyat ora sono tra i 15 e i 300 microroentgen e non superano la dose letale di oltre 300. Ben più gravi furono le minacce portate dal cesio-137 e dallo stronzio-90, che hanno una presenza rispettivamente di 30 e 28 anni. Lo stronzio-90 segue una chimica come quella del calcio, quindi è facilmente assimilato dalle ossa e nei denti, mentre il cesio-137 ha una chimica simile a quella del potassio e viene subito assorbito nel sangue e accumulato nei tessuti di persone e animali. Questo ha causato problemi a lungo termine.

Solo la metà del materiale radioattivo è decaduto

Ad oggi solo la metà circa del materiale radioattivo è decaduto. Si presuppone che Chernobyl e Pripyat non saranno abitabili ancora per minimo 3.000 anni. Ma gli scienziati dicono che in realtà questo significa che potrebbero volerci anche 30.000 anni prima di poter tornare a vivere in quei posti senza pericolo. Nessuno lo sa con certezza.

Le prime vittime furono i pompieri di Pripyat , mandati allo sbaraglio a spengere il fuoco iniziale. Senza nessuna protezione. Morirono tutti, chi subito chi più tardi tra dolori atroci. Gli hanno dedicato un monumento. Funziona sempre così. Chi comanda crea le premesse per il disastro o per una guerra, poi manda dei disgraziati a risolvere i problemi e quando crepano li chiama “eroi” e dà una medaglia alle famiglie.  Ci sono ancora punti critici radioattivi nella zona: in particolare nelle aree della foresta rossa e nelle crepe del terreno intorno a Pripyat, dove si sono accumulate particelle radioattive.

Pripyat è un laboratorio a cielo aperte, volete essere le cavie?

La città venne costruita dal 4 febbraio 1970 per ospitare i lavoratori della centrale nucleare di Chernobyl e le loro famiglie. Si trova a circa 100 km a nord di Kiev e a 16 km dal confine con la Bielorussia. Era stata concepita come una città moderna perché comprendeva due ospedali (di cui uno di pediatria), due hotel, un centro commerciale e diverse altre attrazioni, diventando così una delle città con il più alto tenore di vita dell’intera Unione Sovietica.

Veniva chiamata la Città dei Fiori grazie alle moltissime aiuole e giardini presenti all’interno della città. Ora che le radiazioni ci sono ancora ma non sono letali, Pripyat è diventata una specie di paradiso per gli animali selvatici. Senza la presenza dell’uomo possono circolare liberamente e occupare le strutture e le abitazioni. Questo disastro ha creato i presupposti per un esperimento a cielo aperto su come reagiscono animali, uomini e natura a livelli così alti di radiazioni, cosa che in laboratorio e in un ambiente protetto non sarebbe mai potuta accadere. Da anni si studiano gli effetti sugli animali confrontandoli con soggetti che vivono al di fuori della zona di esclusione.

Così la città ora è meta del turismo dell’orrore e dei fotografi Urbex, gli esploratori urbani, che cercano di documentare lo stato dell’abbandono di edifici, chiese, fabbriche e ospedali nelle nostre città.

Ci si può andare per un tempo limitato ma gli animali ci vivono sempre

Subito dopo l’incidente, un’area di circa quattro miglia quadrate divenne tristemente famosa come la Foresta Rossa perché moltissimi alberi assunsero un colore bruno-rossastro e morirono, dopo aver assorbito altissimi livelli di radiazioni.

Le radiazioni provocano ancora malformazioni e difetti negli animali che nascono e vivono in quelle zone. Il problema è la durata dell’esposizione alla radioattività. Un turista ha un tempo limitato poi viene portato via. Ma gli animali ci vivono e alla fine restano contaminati.

Moltissime persone sono attratte dal mistero, dal pericolo e dal paesaggio post-apocalittico della Zona di Esclusione. Sebbene quella zona sia ancora inabitabile, le autorità ucraine hanno aperto l’area al turismo già dal 2011 e da allora molte guide accolgono regolarmente i visitatori per vedere la fauna selvatica e per esplorare la città fantasma di Pripyat. Le guide portano con se dosimetri e suggeriscono ai propri clienti di non mangiare o fumare all’aria aperta. Si stima che un numero di aborti tra i 100.000 e i 200.000 furono praticati sulle donne dopo il disastro di Chernobyl: i medici consigliavano loro questa soluzione perché a loro parere i feti che erano stati esposti alle radiazioni sarebbero potuti nascere con difetti e malformazioni. Si scatenò quella che fu chiamata Radiofobia.

Tra le altre mete le prigioni, luoghi infestati dai fantasmi e castelli stregati

Il turismo nucleare non va solo in Ucraina. Anche Fukushima, in Giappone, sta diventando una meta ambita. Altre forme, per me degradate, di turismo, portano le agenzie a organizzare tour nelle bidonville e nelle baraccopoli o favelas. Sapete che sono agglomerati di baracche di cartone e di lamiera, dove si ammassano milioni di esseri umani indigenti, dediti al furto e alla prostituzione. Sono luoghi senza condizioni igieniche accettabili, dove spesso la polizia non ha alcuna autorità, se vi si entra è a proprio rischio e pericolo. Ce ne sono in Sud America, in Africa e in Asia ma anche molte periferie europee non sono meno pericolose.

Di diverso aspetto sono invece le visite alle prigioni dismesse come la Spike Island in Irlanda o come l’isolotto di Alcatraz a San Francisco, set di numerose pellicole che raccontavano dei rocamboleschi tentativi di fuga, di cui alcuni con esisto positivo. Oppure la visita a largo di Città del Capo in Sud Africa alla Robben Island, dove venne incarcerato per 17 anni Nelson Mandela. Molto istruttivo invece il turismo attirato dai fantasmi, veri o presunti, come quelli della Casa delle Bambole vicino a Città del Messico. Qui viveva una bambina il cui spirito ha infestato la casa, dove si vedono bambole impiccate alle finestre anche prive di arti. Oppure il , il castello stregato irlandese e a Poveglia, nella laguna veneta, l’isola del male. Un ex lazzaretto di malati di peste, poi ospedale psichiatrico dove si dice che venissero praticate torture ai pazienti.

Si abbassa il livello della proposta culturale e la domanda si adegua

In molti si chiedono perché siamo così? Perché ci piacciono questi luoghi e se sia etico e giusto lucrare sulle disgrazie altrui, divertirsi nei posti delle sofferenze di altri esseri umani. Certamente non ha niente che possa definirsi etico.

Come molte cose del presente è un’attività che risponde a una domanda del pubblico, cui si dà una risposta organizzata per fini economici. Non mi sorprendo e non mi stupisco. Se si abbassa il valore culturale della comunità sempre più avremo persone attratte dai fantasmi e dai disastri che ci propongono cinema e serie tv che dalla letteratura e dal teatro di qualità. Se continuiamo a produrre una informazione spettacolarizzata e uno spettacolo che solletica i peggiori istinti dell’umanità, poi non possiamo stupirci che la ragione smetta di funzionare di fronte al brivido di sfidare la morte nella Centrale di Chernobyl, anche per soli 10 minuti.