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Il consigliere del sindacato medico: “Vi racconto il caos dei nostri ospedali”

Dalla formazione professionale regalata all’estero ai pensionamenti di massa, un sistema sanitario obsoleto e in declino

Medico, politica

Pronto soccorso

Dottor Francesco Medici, Consigliere Nazionale ANAAO Assomed, sindacato medico italiano, e medico di pronto soccorso. Ci spiega come una sindrome influenzale possa far scatenare il caos nei pronto soccorso.

“La sindrome influenzale non è un problema e neppure una novità, ogni anno si presenta e ogni anno diamo paracetamolo e laddove occorre terapia antibiotica e si risolve così. Il picco influenzale non fa che far esplodere l'inadeguatezza dei sistemi sanitari per via della carenza di posti letto per coloro che per anzianità o particolari condizioni di salute devono essere ricoverati anche per un'influenza.

Il periodo dell'Austerity, del governo Monti, del taglio delle pensioni e della legge Fornero, ha coinciso con una sforbiciata enorme al sistema sanitario nazionale. Si è previsto che il fabbisogno di posti letto fosse di 3,7 per mille abitante, la Germania, per dare un'idea ha esattamente il doppio di questi posti letto. Il problema si sarebbe potuto risolvere implementando l'apertura degli studi medici di famiglia, cosa che in realtà a macchia di leopardo è stata fatta. Ma anche implementando l'apertura dei medici di famiglia quando c'è una numerosa popolazione anziana combinata con la sindrome influenzale e il freddo si va a scompensare, quei pazienti vanno ricoverati e finiscono in pronto soccorso.

Le persone anziane infatti non hanno una grande capacità respiratoria, hanno un cuore che gli consente di pompare il normale, un sistema circolatorio arteriosclerotico. Questo apparato anziano sottoposto a uno stress febbrile si scompensa andando a gravare sulla sua fragilità che sia polmonare, cardiocircolatoria, o altro. Oppure in assenza di vaccino le difese immunitarie basse si può associare una battiriemia e quindi una polmonite, o uno shock settico. Pazienti da ospedalizzare non per l'influenza ma perché l'influenza si somma alle loro condizioni di salute. Il fatto che abbiamo un iper afflusso in questo periodo lo sappiamo e da tanto. Questi pazienti  in pronto soccorso sono inoltre veicolo di altre infezioni e patologie restando in un ambiente non consono alle loro condizioni. Si infettano e autoinfettano perché sono ricoverati in modo promiscuo”.

 

Ci può fare l'esempio di qualche struttura ospedaliera magari virtuosa o più sofferente?

“Il San Camillo, ad esempio, quest'anno ha visto dei miglioramenti perché la Regione Lazio ha inventato un finanziamento ad hoc per la sindrome influenzale, dicendo alle strutture ospedaliere di aumentare i posti letto nei 4 mesi invernali. Il San Camillo si è adeguato con 34 posti in letto in più dove abbiamo potuto drenare questo iper afflusso. La situazione resta critica ma migliora del 20%. Il problema è però strutturale, appare periodico perché ci sono momenti in cui si manifesta in tutta la sua gravità.

A questo si va ad aggiungere la mancanza di medici specialistici, tutte le piante organiche dei pronto soccorso sono sotto organico e non perché le amministrazioni non vogliano assumere, ma perché nessuno vuole più andare a lavorare in quelle aree. Abbiamo perciò un problema di programmazione importantissimo perché con i tagli non sono entrati molti giovani medici, perché molti di essi sono andati a lavorare all'estero, non sappiamo chi mettere a lavorare in questi reparti. Oltretutto abbiamo delle regole contrattuali per l'accesso a queste aree che sono vetuste e hanno tempi lentissimi. Ci siamo così adeguati con una legge che è nazionale, pur stando nel decreto Calabria, che ci permette di assumere specializzandi al terzo anno, personale non completamente formato ma sicuramente più formato di coloro che non hanno alcuna specializzazione. Alcune regioni stanno prendendo dei neolaureati, scelta imprudente ma non ne abbiamo molte altre. Ultimo bando le scelte per pronto soccorso anestesia e chirurgia d'emergenza sono state le ultime, ci sono finiti come ripiego. Non vogliono fare questo mestiere di frenesia e angoscia,subendo per di più aggressioni dai pazienti o dai parenti degli stessi”.

 

E nel resto d'Europa come va?

“In tutta Europa e larga parte del mondo hanno invertito il concetto e la formazione specialistica del medico non nell'università ma nell'ospedale. Faccio entrare tutto il personale che occorre e lo formo già sul campo e preparando molti più professionisti. Formando un professionista nell'ospedale resterà nella struttura, invece se formandolo all'università alla fine del percorso di studi può decidere di andare all'estero. Preparare un medico costa allo stato circa 250mila euro. Una merce rara che è costata e finisce sul mercato senza poter garantire che restituirà la sua competenza al paese dove ha studiato e appreso la professione. Un patrimonio italiano regalato all'estero. Questo perché nei nostri ospedali vengono pagamenti pochissimo rispetto a Germania, Svezia e altri paesi, hanno dunque le loro rispettabilissime ragioni. Per non parlare dei pericoli che corrono dove nei reparti di emergenza subiscono aggressioni da parte perfino di parenti dei pazienti, pensiamo all'ambulanza presa a sassate di recente a Napoli. Un quartiere contro il pubblico simbolicamente, non son stai in questo caso i parenti. Così come verso poliziotti o insegnanti, verso il pubblico”.

 

Coerentemente con le scelte della politica e di un' amministrazione che scredita il pubblico,  li svaluta con stipendi inadeguati… Qual è la situazione nelle regioni italiane?

“Nel Lazio in particolare il piano di rientro ha flagellato gli ospedali, il Nord adesso sta subendo la mancanza di personale, noi da dieci anni nel Lazio, abbiamo visto la chiusura di strutture, in Italia abbiamo la classe medica più anziana d'Europa. Avremo presto pensionamenti di massa, con una classe giovane che dovrà acquisire improvvisamente esperienza, metodo, competenze, attenzione al paziente”.

 

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