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Il “branco” nel calcio, metafora da evitare?

di Massimo Persotti

Il bestiario miete altre vittime. Se lo squalo (Nibali) ci aveva fatto sorridere e il canguro (del Senato) sollevato molte perplessità, ora entrano in scena i lupi. O meglio, un branco.

Tutto nasce dalla campagna abbonamenti della A.S. Roma che dallo scorso anno ha assunto una forza d'immagine e iconografica ben più aggressiva e d'impatto. Un lupo affamato e lo slogan "Hungry for Glory",  nella versione inglese. Quella italiana si arricchisce di una comunicazione ancor più esplicita: "La Caccia Continua. Unisciti al Branco".

Quest'anno alla luce dei drammatici fatti avvenuti in occasione della finale di Coppa Italia, con gli scontri fuori lo stadio Olimpico di Roma e la morte di Ciro Esposito, l'uso delle parole (caccia, branco) a molti è sembrato inappropriato.

Ai napoletani in primo luogo. Lo spiega bene Vittorio Zambardino, su Napolista.it: "Non c'è bisogno di Freud per capire che si sta evocando l'agguato, lo sbranamento del nemico. C'è un piccolo problema di due parole: Ciro Esposito… il pozzo del 'branco' pubblicitario è lo stesso del branco di strada. Sono le emozioni, che rispondono alla miccia delle immagini e delle parole. Perché la comunicazione è come la pioggia, cade sui giusti e sugli iniqui. E piovono parole sugli psicolabili e sui delinquenti. E a quelli la differenza fra il branco che tifa, canta e incoraggia i suoi e il branco che fa l'agguato e uccide, sfugge, e magari vuole proprio sfuggire".

Qualche giorno fa ha rincarato la dose Luca Giansanti, consigliere della Lista Civica Marino, che su Facebook aveva scritto: "E' opportuno che l'azienda pubblica di trasporto di Roma ospiti sui suoi mezzi la pubblicità della campagna abbonamenti della AS Roma che nello slogan incita alla caccia e al branco? Siamo sicuri che il messaggio sia educativo e appropriato?".

Il sindaco Marino, interpellato da una tifosa, ha spiegato: "La campagna pubblicitaria è stata criticata perché c’era un riferimento al branco che poteva far pensare ad episodi di violenza. Molti di noi hanno ritenuto che forse non era il vocabolo più adatto. Non credo ci fosse nulla contro la Roma o la Lupa".

Il batti-e-ribatti politico (in campo da Athos De Luca, storico ambientalista, all'ex sindaco Gianni Alemanno) ha finito col degenerare tra chi imputa a Giansanti l'intento di accattivarsi le simpatie laziali (generando un pericoloso duello tra lupo e aquila) e chi rimprovera a maggioranza e 'primo cittadino' di perder tempo piuttosto che occuparsi dei problemi della città e dello stato di salute dell'Atac, a cui semmai, l'incasso della pubblicità della Roma non può che far bene.

Questione banale? Non proprio, perché la metafora del linguaggio è argomento delicato soprattutto in un mondo come quello del calcio animato e alimentato da passioni ed emozioni che spesso sono inquinate da crimine e violenza.

Evocando i lupi e paragonando il campionato a una caccia, la società giallorossa ha sì realizzato una campagna di comunicazione e marketing di grande efficacia ma il cui confine con l'opportunità se non con l'etica apre, e aprirà, infinite discussioni.

Non c'è dubbio, il termine branco traslato dal mondo animale, ha una accezione negativa. Basta leggere la Treccani: "Anche, gruppo di persone, per lo più in tono spregiativo (un branco di ragazzacci; sono un branco di ladri). Con uso più recente, e connotazione fortemente spregiativa, per indicare un gruppo di giovani che compie violenze sessuali e atti deliquenziali: la complicità del branco; uno stupro commesso dal branco".

Esagerazioni? Forse, in fondo è 'solo' una campagna pubblicitaria. E d'altro canto, il calcio è ricco di un lessico che esperti linguisti arrivano a definire in taluni casi bellico: tiro esplosivo, andare o tornare alla carica, assediare l'area, stringere d'assedio gli avversari, sfondare sulla fascia. Formiche.net propone provocatoriamente "la sostituzione del simbolo della squadra e, prima ancora, della città" visto che la lupa "rimane pur sempre un animale feroce e carnivoro".

In casi come questi, la soluzione è dettata più dalla ragionevolezza che da valutazioni 'di pancia'. Con sensibilità e accortezza, la Roma avrebbe potuto cambiare grafica e parole, trovando slogan e metafore altrettanto efficaci, e – perché no – facendo di questa scelta una 'campagna di comunicazione' in positivo, che avrebbe ottenuto consensi e grande spazio in termini di visibilità. Qualcuno avrebbe potuto storcere il naso per l'ennesima noiosa trovata 'politicamente corretta'. Ma visti i tempi e certe dichiarazioni di dirigenti del mondo del calcio, una volta tanto sarebbe stata più che apprezzata.

Al momento, però, in tanto frastuono di parole, l'unica voce a non essersi levata è proprio quella di chi è chiamato direttamente in causa, la società giallorossa. Attendiamo che i 'lupi' ululino.

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