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Hikikomori, il grido d’aiuto dei ragazzi che fuggono la società

L’Hikikomori sta diventando un problema serio, pertanto è di vitale importanza sviluppare efficaci programmi di intervento

Sindrome di Hikikomori

Non li vediamo più venire a scuola, non li vediamo più a danza o in piscina per la lezione di nuoto, a canto o al muretto sotto casa, ad un certo punto non li vediamo più uscire o entrare nei portoni dei nostri condomini.

Cominciano ad essere tanti i giovani che non vediamo più in giro perché chiusi in casa, o più spesso nelle loro camerette, in fuga da qualcosa o semplicemente per nascondersi da qualcosa.

Sono gli Hikikomori. Giovani che chiudono fuori dalla porta di casa il mondo, trovando tutto quello di cui hanno bisogno in pochi metri quadri di una stanza e nello schermo di un PC.

Le stime sono davvero inquinanti. Si parla di centinaia di ragazzi solo nella capitale, ma è facile comprendere che il fenomeno è molto più vasto dato che non sempre viene riconosciuto dalle famiglie e quindi registrato a livello sanitario.

Un vero esercito in ritirata. Un pezzo di società che sfugge a sé stessa.

Cos’è la sindrome di Hikikomori?

L’Hikikomori è definita come una sindrome culturale, diffusa prevalentemente in Giappone, che ha visto negli ultimi anni un forte incremento di casi in molti altri paesi industrializzati.

Si tratta di una patologia che comporta un isolamento domiciliare di almeno sei mesi con conseguente allontanamento dalle relazioni sociali, lavorative e scolastiche e addirittura in alcuni casi, anche familiari.

Tipicamente a manifestare tale sindrome sono giovani adolescenti, ma si hanno casi la cui insorgenza arriva anche fino ai trent’anni, con una prevalenza di sesso maschile.

Tra i correlati della patologia sembrano esserci, la dipendenza dall’utilizzo di internet e la forte attrazione verso i videogiochi.

L’elevato numero di nuovi casi di tale condizione ha messo in allarme gli esperti di salute pubblica di tutto il mondo fino a definire la situazione come una vera “epidemia da Hikikomori“, non a caso collegando lo sviluppo della stessa alla pandemia da Covid-19 e ai relativi periodi di isolamento.

Lo sviluppo di tale sindrome si concentra nei primi 20 anni di vita, mentre l’insorgenza più precoce potrebbe essere riscontrata durante il periodo delle scuole medie (11-13 anni).

Anche se l’eziologia rimane in gran parte sconosciuta, molti ricercatori ritengono che si tratti di un fenomeno principalmente collegato a fattori culturali, non si escludono comunque fattori soggettivi predisponenti. Si avvalora sempre più l’ipotesi che si tratti di giovani oppressi da valori sociali basati sull’estremo perfezionismo e sulla tendenza a dover/voler sempre primeggiare, sia a scuola che sul luogo di lavoro, nelle discipline sportive come in altre situazioni prestazionali e, non sentendosi più all’altezza degli standard loro richiesti, preferiscano rinchiudersi in casa per evitare di affrontare una realtà quotidiana avvertita come troppo opprimente.

L’Isolamento è un problema a livello globale

L’interruzione delle relazioni con il mondo esterno per chiudersi nel silenzio della propria camera risuonano come potentissime grida di aiuto.

In verità non si interrompono le relazioni solo con il mondo esterno, ma anche quelle con il proprio essere corporeo. In molti casi viene meno l’impegno verso la cura del proprio corpo, come lavarsi quotidianamente e tagliarsi i capelli. Il modo di vestire diviene sciatto e molto disordinato. E ancor più grave diviene il tipo di alimentazione, sregolata e ipercalorica, a danno di una sedentarietà quasi assoluta.

Fuori dall’uscio viene lasciato il mondo, le persone e tutti gli impegni, ma ancor più vengono lasciate fuori le emozioni. Sono queste che probabilmente creano inizialmente la fattura con tutto il resto. Emozioni troppo pesanti da portare nello zaino.

L’Hikikomori sta diventando un problema serio, pertanto, è di vitale importanza sviluppare efficaci programmi di intervento, sia individuale che familiare, da poter condividere a livello internazionale.

L’esperienza giapponese suggerisce che, mediante la creazione di reti digitali tra coetanei, si possa, grazie al reciproco aiuto, migliorare significativamente l’impegno e il recupero.

In tale contesto si possono erogare trattamenti psicologici digitali che possono essere particolarmente adatti ed efficaci a tali soggetti, il cui mezzo preferito per accedere al mondo è appunto Internet.

Infine, anche le campagne di salute mentale e la loro diffusione online possono rivelarsi particolarmente efficaci per raggiungere i potenziali Hikikomori e le loro famiglie. Investire nell’individuazione e nel supporto di nuove persone con Hikikomori dovrebbe essere aggiunto alla lista crescente delle priorità ormai anche nel nostro paese. L’Hikikomori è un presente che risulta assente. Non considerarlo parte della società sarebbe il più grave errore che si possa commettere!

In collaborazione con la Dottoressa Cecilia Spadafora