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Grexit, oxi o nai?

di Massimo Persotti

Fermare o assecondare il Grexit, la risposta al grande quesito del momento che potrà condizionare non solo la permanenza del Paese nell'euro ma anche il futuro della stessa Europa è affidato a due paroline greche: oxi o nai? No o sì.

Un paradosso anche linguistico, in fondo un riscatto dell'identità nazionale molto spesso sacrificata sull'altare di tecnicismi e anglicismi incomprensibili, vittima di credit crunch, spread, default, spending review e austerity.

E la riflessione non è solo terminologica. Perché, come ha argomentato – qualcuno potrebbe dire sorprendentemente – Antonio Patuelli, presidente dell'Associazione bancaria italiana (Nuova Europa o neonazionalismo, Rubettino editore), l'identità dei diritti passa anche attraverso le parole e se in una lingua prevalgono forestierismi o parole troppo specialistiche capaci di creare distanza tra istituzioni e cittadini, si crea un problema non solo di comprensibilità ma anche di responsabilità.

"Di parole greche avvertiamo particolare bisogno in questi giorni", ha ammonito il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Greche o italiane, di parole che riflettono l'identità di un popolo, di una nazione, se ne avverte la necessità non solo in occasioni così drammatiche.

Così, a futura memoria, non si prendano sottogamba altre analoghe coniazioni che da Grexit discendono. Brexit e Austritt (l'uscita del Regno Unito e dell'Austria dall'UE) o persino l'exItalia, la temuta uscita dall'euro del nostro Paese secondo l'economista Mariana Mazzucato in un'analisi pubblicata su Repubblica (Quando l'errore è nella diagnosi, 1 luglio 2015). Economiche, sociali o culturali, dietro ciascuno di questi particolari neologismi vi sono radici e ragioni diverse. Tutte però alla fine condurranno allo stesso drammatico quesito che i cittadini greci affronteranno tra poche ore: oxi o nai?

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