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Giudicati colpevoli gli attivisti di Sea Shepherd

Furono arrestati alle isole Faroe. Tra loro l’italiana Marianna Baldo

La strage dei globicefali alle Faroe Islands, in territorio danese, dove ogni anno, come da “tradizione”, vengono massacrati centinaia di innocui globicefali, era salita agli onori della cronaca quando l’organizzazione internazionale ambientalista di Sea Shepherd si era recata sul posto per documentare l’eccidio dei mammiferi marini e per far conoscere al mondo la brutalità di quella caccia spietata nella quale, è stato documentato più volte, vengono invitati a partecipare anche bambini.

Quelle foto e quelle drammatiche immagini, riprese dai volontari dell’organizzazione capitanata da Paul Watson, avevano fatto immediatamente il giro del mondo arrivando sulle prime pagine dei media internazionali e, soprattutto, avevano posto interrogativi ai quali, ora, è necessario dare risposte certe al più presto.

Le isole Faroe, infatti, oltre a essere splendide terre incastonate nei mari del nord Europa, sono anche territorio danese. La Danimarca, nota anche per le note e tragiche vicende che avevano riguardato lo zoo di Copenaghen, è tra le firmatarie della Convenzione di Berna che l’Unione Europea ha siglato decretando il divieto di massacrare cetacei come indicato dall’Appendice II della Convenzione della Vita Selvatica e dell’Ambiente Naturale. La caccia ai cetacei e la loro uccisione rituale sulle spiagge delle isole Faroe con tanto di foto ricordo che ritraggono bambini a cavalcioni sui poveri animali moribondi e con il mare rosso sangue avrebbero dovuto lasciare ben pochi dubbi sul comportamento che si sarebbe dovuto tenere da parte delle autorità, locali e non, quando sono cominciati i giorni del massacro. Invece, incredibilmente, si è assistito a tutt’altro.

I FATTI: la popolazione delle isole aveva cominciato a radunarsi sulla costa quando le prime balene pilota erano state intercettate al largo dalle imbarcazioni. La flotta di Sea Shepherd era già sul posto per l’operazione denominata Sleppid Grindini e, come vuole la norma che regola questo tipo di caccia in quelle località, a distanza di sicurezza per non intralciare l’operato dei “pescatori”.

Poi, le imbarcazioni avevano cominciato a spingere verso la spiaggia i cetacei spaventati. Qui, una volta arrivati e ormai impossibilitati a nuotare, orde di isolani vi si erano gettati contro con armi “rituali” che ne avrebbero significato la morte solo dopo atroci e inutili sofferenze. Schiuma e spruzzi, urla e richiami. Il mare blu cominciava a tingersi di rosso.

Quello sarebbe stato solo il primo degli assalti ai pacifici e inermi abitanti degli oceani che sarebbero proseguiti per giorni.

Le immagini di quel primo, tremendo massacro avevano scosso l’opinione pubblica internazionale e anche le “acque” della politica feringia avevano cominciato ad agitarsi. Troppi ospiti non graditi sulla scena. Forse era giunto il momento di intervenire. Già, ma come?

Per assurdo che possa apparire, anche una carneficina inutile come quella che subiscono i cetacei da quelle parti (gli animali uccisi non vengono mangiati ma ributtati in mare dall’altra parte dell’isola), ha una sua legge che la norma. E allora, la Faroese Pilot Whaling Act, questo il nome della legge, sarebbe potuta divenire la classica ancora di salvezza se adeguatamente interpretata.

Così si era arrivati al 20 luglio quando due volontari di Sea Shepherd, un’americana e un tedesco, venivano arrestati “per aver interferito in una grind” (grind è il termine usato dagli abitanti delle isole per indicare il massacro). Il 23 luglio, il giorno più sanguinario della caccia dove furono uccisi oltre 250 animali, altri cinque arresti. Tra gli arrestati vi è il nome di una italiana. Marianna Baldo, 44 anni, vicentina e lauretata in Scienze Naturali. Storica attivista dell’organizzazione internazionale e con diverse campagne alle spalle tra le quali due in Antardide. Fotografa, è stata fermata insieme al suo collega Xavier Figarella, mentre stavano documentando i fatti.

L’attesa sull’esito del processo che riguardava le posizioni dei fermi, è terminata poche ore fa quando, in un Tribunale Danese(!) nelle isole Faroe, si è tenuta l’udienza per la trattazione della causa relativa a cinque dei volontari arrestati. Verdetto: tutti colpevoli.

Le condanne sono di carattere economico. Si tratta di diverse migliaia di corone che, se non pagate, vengono tramutate in settimane di carcere. L’organizzazione ambientalista stessa è stata colpita dal tribunale e sanzionata per 75.000 corone faroesi (circa 10.000 euro). Non sono state ascoltate ragioni e una delle accuse, quella di non aver rispettato le famose distanze da “pescatori” e luoghi, nonostante infondate e dimostrabili proprio da quei video girati, ignorata.

Non si tratta di cifre enormi, è chiaro, e la situazione potrebbe tornare presto alla normalità ma, questo è il punto: come è possibile per un tribunale danese, condannare della gente basandosi su di una norma che regola una caccia contraria alla normativa europea  che la vieta a priori? L’una esclude l’altra. E allora, come la mettiamo con le condanne?

Alex Cornelissen, di Sea Shepherd Global, ha dichiarato:il mandato di Sea Shepherd è quello di sostenere il diritto internazionale a tutela dell’ambiente, come previsto dalla Carta mondiale per la Natura delle Nazioni Unite. Non abbiamo alcuna intenzione di pagare queste assurde sanzioni amministrative che offendono le stesse leggi che questa Organizzazione ha il compito di far rispettare. Mettiamo apertamente in discussione il diritto della Danimarca di ordinare a Sea Shepherd di pagare una multa per aver interferito contro il massacro dei Globicefali, considerato di per sé illegale in Danimarca”.

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