Giovanni Rana, il re dei tortellini che Roma ha adottato: lavoro, felicità e giovani
A 88 anni Giovanni Rana racconta il suo viaggio dai forni veronesi alle tavole di Roma, fra tortellini, televisione, fede, donne e futuro dei giovani
Giovanni Rana
Nella sala dove la Fondazione Bellisario ha riunito imprenditrici e professioniste, la voce di Giovanni Rana arriva fino a Roma come se parlasse direttamente ai tanti che, nella Capitale, hanno il suo volto in mente ogni volta che aprono il frigorifero. Il re dei tortellini, 88 anni, entra in scena senza formalismi, si sistema il microfono e in pochi secondi la platea capisce che non assisterà a un discorso freddo, ma a un racconto di vita.
Le sue parole riportano alla panetteria di San Giovanni Lupatoto, a quel ragazzo giudicato “birichino” dalla maestra, spedito dai fratelli a lavorare nel forno per mettere ordine nella testa e nel carattere. Un ragazzo che si innamora del lavoro, osserva, fa domande, immagina soluzioni per le famiglie italiane che corrono e non hanno più il tempo di passare ore sul ripiano di cucina.
Giovanni Rana, re dei tortellini nel cuore di Roma e dell’Italia
Giovanni Rana parla piano, eppure ogni frase sembra già un titolo. Si definisce “fortunato” davanti a una sala silenziosa, ricorda quando la maestra avvisava la madre che quel bambino non riusciva a star fermo, racconta sorridendo che, con quel carattere impulsivo, forse come medico o ingegnere avrebbe combinato guai. A cambiarne la traiettoria è la fatica quotidiana nella panetteria, la consegna del pane nei negozi, l’attenzione ai dettagli. Mentre porta le ceste di filoni, nota che i negozianti iniziano a vendere i primi tortellini freschi. Non si limita a vedere il prodotto: chiede il prezzo, le quantità vendute, le reazioni dei clienti. Lo definisce “marketing casereccio”, ma è già una forma di studio del mercato.
Da quell’osservazione nasce l’intuizione che segnerà la sua vita: molte giovani donne non hanno più il tempo materiale per fare tortellini a mano. Allora lui decide di prepararli al posto loro, mantenendo sapori di casa e qualità artigianale. Un’idea semplice e rivoluzionaria, che negli anni Sessanta intercetta il cambiamento sociale e costruisce un ponte fra tradizione domestica e industria alimentare moderna. È il seme di un marchio che oggi i romani trovano nelle corsie dei supermercati sotto casa, dando quasi per scontato un prodotto che, in realtà, ha dietro una lunga storia di coraggio e lavoro.
Dal forno veronese ai frigoriferi dei romani: la stalla-laboratorio e l’ascesa del marchio
Rana ricorda la stalla del suocero, venti metri per venti, che diventa laboratorio di pasta fresca. Niente affitto, solo l’impegno a rimetterla in sesto. Con un amico tira su muri, imbianca, organizza gli spazi. Una signora, che raggiungerà il secolo di vita, gli insegna la ricetta; lui prepara la pasta, la fidanzata segue il ripieno. È il primo nucleo di quella che diventerà un’azienda capace di arrivare dalle case del Veronese alle cucine romane, fino ai banchi frigo dei quartieri popolari e delle zone residenziali della Capitale.
Quando parla di quegli anni, Rana descrive un’Italia che agli occhi di un ragazzo appare come un prato verde pronto ad accogliere chi ha voglia di provarci. Il contesto è quello di un Paese che cresce, in cui botteghe, piccoli artigiani e imprenditori costruiscono passo dopo passo benessere diffuso. Il marchio Giovanni Rana nasce in questo scenario e si afferma come simbolo di pasta fresca di qualità, trasformando un piatto domestico in un prodotto riconoscibile ovunque, anche nei supermercati di Roma dove oggi i suoi tortellini sono abitudine quotidiana per tante famiglie.
Televisione, spot e icona pop: come Giovanni Rana è entrato nelle case di Roma
Per i romani, la faccia di Giovanni Rana è soprattutto quella della televisione. Il Cavaliere del lavoro la ripercorre partendo da un consiglio che considera decisivo: quello di Mike Bongiorno. Il conduttore lo prende da parte e gli dice di non fare l’attore, di restare se stesso, perché la gente percepisce la semplicità. È una chiave preziosa che spiega perché lo spettatore romano ha sempre sentito quel signore con il grembiule come una presenza familiare, quasi un parente che consiglia cosa mettere in tavola.
Con il pubblicitario Gavino Sanna nascono gli spot in cui Rana dialoga con figure iconiche come Marilyn Monroe o Rita Hayworth, grazie alle tecniche digitali. Campagne memorabili che lo trasformano in una vera icona pop nazionale. “Arrivò a conoscermi praticamente tutta Italia”, ricorda. Anche il cinema lo sfiora: Franco Zeffirelli lo vorrebbe in un film su San Francesco, nei panni del Papa. Rana accetta con entusiasmo, ma il progetto sfuma per la malattia del regista. A un cinepanettone, invece, dice no, a riprova del desiderio di restare coerente con l’immagine costruita in anni di lavoro, lontana da ruoli caricaturali.
Donne, fede e affetti: il lato più intimo del re dei tortellini
Il racconto cambia tono quando Giovanni Rana parla di fede e affetti. Confessa di essere credente, ricorda gli anni da chierichetto e il sogno, condiviso dal parroco e dalla madre, di diventare prete. La vita lo porta verso la pasta e l’impresa, ma la fede resta come compagna quotidiana, presenza silenziosa che lo sostiene nel lavoro.
Si dilunga poi sulle persone incontrate lungo il cammino. Dice di non essersi mai sentito solo, nemmeno quando viaggia per l’Italia. A Roma, a Napoli, ovunque, c’è qualcuno che lo saluta per nome, come se fosse un vicino di casa. Racconta delle lettere di una donna che gli ha scritto per anni da innamorata, dei messaggi che conserva tutti, con rispetto. Parla molto delle donne, riconoscendo loro un “udito speciale, quello del cuore”. Racconta di quando chiedeva alla segretaria di ascoltare i colloqui dietro la porta per avere una valutazione istintiva delle persone. Fino alla frase che accende la sala: se potesse rinascere, vorrebbe il cervello di una donna “per almeno mezz’ora al giorno”, perché le donne hanno, secondo lui, una marcia in più.
Il messaggio di Giovanni Rana ai giovani romani: felicità, lavoro e curiosità
L’ultimo tratto del suo intervento sembra rivolto soprattutto ai giovani che vivono nelle grandi città, Roma compresa. Non usa toni moralistici, non si lamenta del presente. Riconosce che il mondo non è più quello di quando ha iniziato a portare il pane nei negozi, ma ribadisce che oggi i ragazzi hanno molti strumenti per realizzarsi, se qualcuno li aiuta a usarli con intelligenza. Insiste sull’importanza della formazione, della pazienza, dell’esempio.
Poi arriva la frase che molti si annotano: “La parola più bella del mondo è felicità”. Le disgrazie arrivano da sole, dice, senza bisogno di inviti. La felicità, invece, va cercata, coltivata, difesa. Non ha prezzo e vale tutto. In quelle parole si riflette il percorso di un uomo che è stato orfano di padre, ultimo di sei figli, che ha iniziato in una panetteria di paese e ha costruito un marchio riconosciuto nelle grandi città come Roma. Un imprenditore che continua a indicare curiosità e voglia di migliorarsi come strumenti fondamentali per affrontare la vita.
L’eredità di Giovanni Rana per Roma e per l’Italia: volersi bene come bussola
La serata si chiude con un gesto semplice: un sorriso largo, un mezzo inchino appoggiato al bastone, una frase che vale più di un curriculum. “Vorrei lasciare solo questo: volersi bene. Il resto passa”. È il modo in cui Giovanni Rana riassume decenni di lavoro, sacrifici, successi, popolarità.
Per un quotidiano come Romait, che guarda ogni giorno alla vita della Capitale, la storia del re dei tortellini è anche un invito a leggere diversamente i prodotti che riempiono i frigoriferi romani. Dietro quelle confezioni c’è un ragazzo che non sapeva stare fermo, una stalla trasformata in laboratorio, una famiglia che ha creduto nel lavoro, una fede discreta, una considerazione profonda per le donne e per i giovani.
C’è l’idea che impresa e vita non siano mondi separati, ma parti di uno stesso racconto. Un racconto che, a 88 anni, Giovanni Rana continua a condividere con la stessa semplicità con cui, negli spot che hanno fatto epoca, entrava nelle case degli italiani dicendo il suo nome di battesimo.
