Prima pagina » Opinioni » Genitori aggressivi e intolleranti rovinano i figli, nessuno è più capace di educare i giovani

Genitori aggressivi e intolleranti rovinano i figli, nessuno è più capace di educare i giovani

Un atteggiamento quello del razzismo che i ragazzi non avrebbero. I giovani sono portati istintivamente alla socialità, all’amicizia

Giovani amici che mangiano per strada

A scuola, nelle palestre, nei campi sportivi, nelle case, gli atteggiamenti dei genitori compromettono l’educazione dei figli. La scuola, gli allenatori sportivi, la società tutta non può fare molto perché ai genitori è delegata l’educazione dei ragazzi. Così se trasmettono l’intolleranza, l’odio, l’ignoranza come valori con i quali affrontare la vita, si va verso il degrado sociale.

Genitori che malmenano i professori perché i figli vanno male a scuola, difendono i figli se il professore li ha redarguiti. Se addirittura lo studente ha colpito il professore, lo ha insultato, se i ragazzi sono stati sospesi o puniti con brutti voti per aver mancato di rispetto al docente padre e madre attaccano l’insegnante. Genitori che non sanno educare i propri figli, che sono un cattivo esempio nelle azioni, prima che con le parole. Parliamo tanto di migliorare la società, la vita, di rispetto, di tolleranza e poi sentiamo che i genitori di una scuola di Bari chiedono il trasferimento dei propri figli perché in classe ci sono troppi stranieri.

Quella scuola ha troppi stranieri voglio togliere mio figlio

Sul Quotidiano di Puglia le parole del dirigente scolastico Gerardo Marchitelli: “È successo in una prima elementare nella quale ci sono sette alunni stranieri su venti, ma cinque di loro sono nati a Bari, non hanno neanche un gap linguistico. Gli altri due sono nati in Georgia e in Bangladesh”.

Nella scuola italiana si ripetono fenomeni di bullismo, sono tipici dell’adolescenza, è vero, ma adesso diventano particolarmente odiosi e gravi. L’uso dei cellulari per denigrare e sminuire una persona, per deriderla, è diventato una prassi per cui alcuni giovani si sono suicidati. L’oggettivazione dell’altro, ridurre una persona a essere una cosa, un diverso, un perseguibile, offendibile, maltrattabile è sintomo di una malattia sociale che nasce in casa, non nella scuola.

A scuola ci arriva perché è in casa che si apprende a trattare male gli altri o perché è la famiglia stessa maltrattata. Il ragazzo e la ragazza imparano subito la lezione dei fatti, non quella delle parole. La distanza che c’è tra come si vive e quello che si dice in tv, nelle riunioni familiari, nelle ricorrenze, nelle chiese è enorme. In giro c’è tanta ipocrisia.

L’ipocrisia è alla base del modo di agire di molte famiglie

A parole ci ispiriamo ai principi, ai valori, alla democrazia, al rispetto. Nella realtà vogliamo comandare, sopraffare, esprimiamo odi, incomprensioni, razzismo economico e razzismo di etnia, basato sul colore della pelle, sulla lingua. Un razzismo che è contro i poveri e contro i neri e i diversi, contro chi non ce la fa perché è malato, limitato, emarginato. I genitori non vogliono che i figli stiano a scuola con bambini stranieri perché pensano che questo porti dei ritardi nella realizzazione del programma scolastico, perché pensano che quei ragazzi stranieri siano poveri, e i poveri non sono da frequentare.

Perché pensano che se sono stranieri potrebbero portare con sé malattie, e trasferirle ai loro figli. Le paure dei razzisti sono sempre le stesse. E pensare che noi Italiani siamo, è dimostrato scientificamente, figli di un miscuglio incredibile di culture e popoli diversi che hanno attraversato, invaso e occupato la Penisola nei millenni passati. Siamo figli di più popoli stranieri e non lo sappiamo!

Sono scuse per tenersi lontani da chi non si conosce, non si capisce, non si comprende. Un atteggiamento che naturalmente i loro figli non avrebbero. I giovani sono portati istintivamente alla socialità, all’amicizia. Badano al sodo non alla forma. Ma sono le famiglie che incutono loro queste paure e loro poi le vivono a loro danno.

Il preside: non c’è razzismo nella mia scuola

Dove siamo arrivati? Non so nemmeno se riuscirei a dialogare con queste persone tanta è la distanza con loro. Non credo che riuscirebbero a capire le mie istanze, come io non comprendo le loro. Forse bisognerebbe fissare dei valori comuni, condivisibili, per almeno intendersi. Ma non ci sono valori comuni e per questo non c’è dialogo tra professori e genitori. Se non si ristabilisce un dialogo comune non se ne uscirà.

Marchitelli racconta che i genitori “sono venuti a chiedermi il cambio classe nei primissimi giorni di avvio dell’anno scolastico. Mi sono opposto e hanno provato a forzare il mio muro. Avendo capito la motivazione ho risposto che avrebbero avuto solo due strade, far restare i loro figli dov’erano o chiedermi il nulla osta per cambiare scuola”.

Le famiglie hanno scelto questa seconda strada. Marchitelli però non vuole sentire parlare di razzismo nella sua scuola: “È un problema che c’è ovunque. C’è anche chi si preoccupa della presenza di un bimbo disabile perché secondo lui potrebbe rallentare la programmazione. I muri da abbattere sono migliaia”.

Il preside aveva già avuto qualche problema in passato, “ma nulla di grave. E non ho paura che ora ci sia un’escalation di casi. Dopo questo episodio non ci sono più stati problemi”.

“La parola straniero la scuola non la conosce, noi non siamo interessati al colore della pelle, per noi i bambini sono solo alunni.”

Garante dei minori: i genitori hanno compiuto un atto diseducativo

Ludovico Abbaticchio, garante per i minori in Puglia sostiene che: “La scuola è unica, aperta, accogliente, formativa ed educativa. Bene ha fatto il dirigente scolastico della Don Bosco a essere fermo e deciso nel dire no quando alcuni genitori hanno chiesto lo spostamento del figlio in altra aula perché in classe c’erano troppi bambini dalla pelle nera”. Di fatto però i genitori i 4 bambini li hanno spostati, è nel loro diritto. Non si rendono conto del grave atto diseducativo commesso rispetto ai loro figli. Cosa hanno imparato quei bambini? Che con chi ha la pelle nera non si deve stare insieme al banco. Non sono persone come noi. Per arrivare al passo successivo “non sono persone” ci vuole poco.

Bisognerebbe rieducare certi genitori ma sarebbe un’imposizione

Questi genitori – prosegue Ludovico Abbaticchio – dovrebbero ritornare a scuola e imparare il valore del rispetto della persona, delle religioni e del vivere civile. Il mondo delle istituzioni ha l’obbligo morale, culturale e legislativo di rendere sempre più alto il valore dell’integrazione sociale e culturale che parte dal valore del rispetto dell’essere umano”.  Tutto vero ma sono parole al vento per quei genitori. Loro sono convinti di aver fatto bene perché i loro “valori” sono quelli del profitto e della ricerca della posizione elevata nella società. Del successo.

Non si frequentano i poveri, peggio se africani o asiatici, peggio se neri. Questo è il loro credo. Saranno magari cristiani di nome, non di sostanza, non sanno cosa dice il Vangelo, loro non leggono e se leggono non capiscono cosa leggono. Magari andranno a messa la domenica, faranno la carità, ma lungi da loro avere a che fare con un “povero cristo.

Ci sono bambini di quell’età – continua il garante – che capiscono e forse sanno parlare anche l’arabo o il francese, o altra lingua, così come l’italiano. Purtroppo esistono gli adulti, pochi per fortuna, che hanno bisogno da genitori di capire dentro di loro in che cosa stanno sbagliando e di come messaggi devianti possono essere fortemente diseducativi per i loro figli che stavano giocando liberamente con gli amici stranieri”.

I bambini non sono sul campo a giocare per vincere milioni ma per divertirsi

Recentemente un arbitro spagnolo durante una partita di calcio tra bambini di 8-10 anni ha interrotto la partita, per andare a parlare coi genitori dei ragazzi che lo insultavano pesantemente e che continuavano a dare dritte ai ragazzi stessi su come passare e dove e a chi la palla, se correre e se tirare, se colpire o se scartare l’avversario. Degli invasati. Se vi è mai capitato di assistere a una partita di calcio in una di queste scuole sapete cosa voglio dire.

L’arbitro è andato da chi lo insultava e gli ha detto:Lei mi insulta con parole anche oscene che i ragazzi hanno già imparato a usare. Non si rende conto che sono bambini e che devono essere lasciati liberi di sbagliare. Anche io come arbitro posso sbagliare, fa parte della vita, ma se sbagliamo mentre ci divertiamo non succede niente di male. Anzi impariamo. Invece se ci insultiamo, se manchiamo di rispetto alla figura dell’avversario e dell’arbitro, i ragazzi imparano che si può fare, che anche questo è consentito e non deve essere. Non stiamo facendo gli allenamenti e la pratica sportiva per imparare ad odiarci e a trattarci male, ma per divertirci. Non siamo qui per guadagnare milioni a 10 anni, ma per essere felici. Glielo possiamo permettere?”

Schillaci ha chiuso la scuola calcio per via dei genitori aggressivi

Un campione come Totò Schillaci ha dovuto chiudere la sua scuola calcio perché “I ragazzi non vogliono fare sacrifici per il pallone. A 14 anni pensano solo agli ingaggi, alla fama e alle donne”. La notizia era su Repubblica del 25 agosto di quest’anno. “Se rimproveri qualcuno perché sbaglia un controllo, ti ritrovi subito i genitori addosso”.

Claudio Piccinetti, ex calciatore, anche di alcune squadre di serie A, attualmente è il direttore tecnico della scuola calcio della Asd Impruneta Tavarnuzze vicino Firenze, ogni giorno dai microfoni di Lady Radio si lamenta del fatto che i genitori proiettano sui propri figli le loro ansie e vorrebbero caricarli di responsabilità, li vedono già calati in un ruolo di attaccante o difensore e chiedono, urlano, gridano come ultras ad ogni gara. Invece bisognerebbe capire che i ragazzi hanno bisogno di giocare, divertirsi, stare insieme, socializzare, anche e soprattutto con i ragazzi stranieri, imparare le lingue, dialogare, c’è tempo per capire che giocatore sarai e come dovrai giocare a pallone, se ci arriverai.