Gaza, la pace non piace ai pacifinti (e al Nobel per la Pace)
La firma dell’accordo Israele-Hamas a Sharm el-Sheikh è un tornante della Storia: ma a sciopera(n)ti, zatteranti e progressisti in genere non va giù che il merito sia del Presidente Usa Trump

I Presidenti americano, Donald Trump, egiziano, Abdel Fattah al-Sisi, turco, Recep Tayyip Erdoğan, e l’emiro qatariota Tamim bin Hamad al-Thani firmano l’accordo per la pace a Gaza (screenshot dal canale YouTube di CNBC-TV18)
È stato siglato a Sharm el-Sheikh, come riferisce Ahram Online, l’accordo tra Israele e Hamas per la pace a Gaza. Dopo oltre due anni dall’orrendo pogrom del 7 ottobre 2023, finalmente le armi tacciono nella Striscia. Paradossalmente, però, proprio coloro che con più insistenza invocavano la fine della guerra ora sembrano non riuscire proprio a gioirne.

La pace non piace ai pacifinti
«È l’alba storica di un nuovo Medio Oriente» ha esultato, come riporta The Times of Israel, il Presidente americano Donald Trump, principale artefice dell’intesa egiziana. Firmata dopo che Tel Aviv ha rilasciato 1.968 detenuti palestinesi, e i miliziani islamisti hanno liberato gli ultimi 20 ostaggi ancora in vita.
Una svolta epocale che, per eterogenesi dei fini, ha anche avuto l’effetto di smascherare una certa ipocrisia sinistra a livello globale. Cominciando dall’Europarlamento dove, all’annuncio del cessate il fuoco, tutti si sono giustamente alzati ad applaudire, tranne i gruppi progressisti.
Poi c’è il Comitato norvegese per il Nobel per la Pace, assegnato quest’anno all’oppositrice venezuelana anticomunista (e trumpiana) María Corina Machado. Con la spiegazione ufficiosa, come rileva Rai News, che il premio, notoriamente politico, si riferisce agli atti compiuti nell’anno precedente il conferimento. Pretesto che, tuttavia, venne evidentemente disatteso per il predecessore del tycoon alla Casa Bianca Barack Obama, che ricevette l’alloro “sulla fiducia” lo stesso anno del proprio insediamento.

I meriti della svolta a Gaza
Comme d’habitude, però, il non minus ultra sono i radical chic de noantri che da giorni, tra il panico e l’imbarazzo, propagandano una patetica contro-narrativa. Secondo cui la tregua a Gaza sarebbe stata raggiunta grazie ai crocieristi della Flotilla o alle piazzate (alimentate a “proPallente”) del segretario cigiellino Maurizio Landini. Che en passant ha fatto scuola, per esempio a Londra, teatro della prima protesta «per la fine di un presunto genocidio» come ironizza The Telegraph.

Per non parlare di qualche “professionista dell’antisemitismo” (per parafrasare Leonardo Sciascia) con incarico alle Nazioni Unite. Tanto imparziale da fare rapporto sul conflitto mentre, ha appurato UN Watch, incassava prebende da lobby pro-terroristi, spacciandole per costi sostenuti dall’ONU.

L’autentica svolta geopolitica, però, l’ha impressa una dichiarazione congiunta dei Ministeri degli Esteri di Turchia, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Pakistan, Arabia Saudita, Qatar, e proprio Egitto. Otto Paesi sunniti che il 5 ottobre, anche affermando di rifiutare qualsivoglia «spostamento del popolo palestinese» nei rispettivi territori, hanno piegato le resistenze della sunnita Hamas. Il tutto mentre The Donald faceva a sua volta pressione su Benjamin Netanyahu, Premier dello Stato ebraico, per giungere alla conclusione positiva auspicata.

Il bastone dei bombardamenti e la carota della diplomazia, dunque, altro che sciopera(n)ti e zatteranti. Ma a quanto pare, se il merito è degli “avversari”, nemmeno la pace piace ai pacifinti.






