Israele-Hamas, oggi la gioia per lo scambio degli ostaggi e il racconto degli ultimi 2 anni
La Costituzione del nuovo Paese, dovrebbe prevedere la coesistenza di arabi ed ebrei dentro la stessa Palestina, con la facoltà di scegliere in quale dei due Stati vivere

Donald Trump alla Knesset, il Parlamento israeliano
Sono trascorsi ormai due anni da quando si è scatenata l’orribile guerra tra Israele e Palestina, che ha avuto inizio il 7 ottobre 2023 con l’attacco terroristico lungo il confine tra Israele e la striscia di Gaza.
Nel corso dell’Alluvione Al-Aqsa, come il gruppo terrorista Hamas chiamò l’operazione, furono scagliati centinaia di missili su Gerusalemme durante la notte. Intanto centinaia di militanti di Hamas attaccarono i kibbutz israeliani e alcune città di confine, massacrando la popolazione ebraica.
L’attacco di Hamas, l’Alluvione Al-Aqsa
Qualche decina di miliziani di Hamas scesero con deltaplani a motore sulla zona di confine dove si svolgeva il festival pop di Nova, sparando sui giovani partecipanti. Molti furono uccisi e circa 270 furono catturati per essere usati come scambio con i prigionieri di Hamas nelle carceri israeliane.
La reazione dell’Idf (Israel Defence Force, l’esercito israeliano) fu tardiva, per cui rimasero uccise più di 1200 persone, circa 820 civili e 320 militari. Però, prima di mezzogiorno, la controffensiva israeliana fu avviata in modo massiccio e verso le ore 13 il Presidente del governo, Benjamin Netanyahu, emanò la dichiarazione di guerra contro Hamas; è stata la prima dopo quella della guerra del Kippur del 1973.
Come sempre, la reazione israeliana fu pesante, facendo più di 10.000 vittime in una settimana, provocando la rabbia delle piazze arabe, la preoccupazione dei Paesi occidentali e la perdita di consenso di Israele questi ultimi. Inoltre, le vittime degli Israeliani furono quasi tutti civili, come pure gli obiettivi colpiti.
L’irruzione in ospedale
Per esempio, a novembre l’Idf fece irruzione nel grande ospedale Al-Shifa di Gaza, sostenendo che quello fosse un centro di comando di Hamas, da cui i miliziani andavano e venivano attraverso i numerosi tunnel sotterranei di Gaza.
Frequenti attacchi furono portati anche alle scuole e ad altri edifici pubblici.
All’inizio di maggio Israele occupò Rafah, la città più meridionale di Gaza, prendendo il controllo del valico di frontiera con l’Egitto, verso cui si dirigevano colonne di profughi palestinesi.
Nel mese di luglio l’Idf attaccò lo Yemen, per rappresaglia contro i ribelli Houthi che sostenevano Hamas, appoggiati dall’Iran. Anche questo Stato era ormai coinvolto nella guerra; in aprile aveva lanciato molti droni e missili su Israele. A metà agosto il governo USA presentò un accordo di tregua, ma Israele continuò la sua offensiva nel territorio del Libano.
Ora, dopo due anni di guerra, le vittime di Israele sono circa 65.000, quasi tutti civili: vecchi, donne e soprattutto bambini, molti dei quali mutilati. Non si intravedeva una possibilità di fine dei combattimenti, né di una tregua che consentisse alla popolazione di respirare. Anzi, il governo di Bibi Netanyahu aveva dichiarato che non avrebbe cessato l’azione militare finché tutti gli abitanti della Striscia di Gaza e della Cisgiordania fossero stati cacciati.
Il piano di Trump per la pace e le sue implicazioni
Il Presidente Trump ha presentato un piano che finalmente va nella direzione giusta della pace. Veniamo agli ultimi sviluppi della situazione. Il Presidente Trump ha dichiarato più volte di voler far cessare le ostilità in Medio Oriente, aspirando anche ad un premio Nobel che soddisfi la sua megalomania. Pertanto, lo scorso 29 settembre ha presentato un Piano per la Pace in 20 punti, che ha ottenuto una parziale approvazione dai governi israeliano e palestinese.
Il piano chiede un cessate il fuoco, da trasformare entro breve tempo in una pace duratura. Quindi, il rilascio immediato da parte di Hamas degli ostaggi, 47 (di cui 35 morti) e di 1900 cittadini di Gaza detenuti da Israele dall’ottobre 2023.
Poi, l’istituzione a Gaza di un Governo temporaneo, tecnocratico e apolitico, sotto la supervisione di un apposito Comitato per la Pace diretto dallo stesso Trump e da Blair.
Trump prevede anche un ruolo per l’ANP (l’Autorità Nazionale Palestinese) guidata da Abu Mazen; inoltre, non esclude la creazione di uno Stato di Palestina indipendente e autonomo, nonostante l’opposizione di Netanyahu, dichiarata già nel discorso tenuto all’Assemblea Generale dell’ONU il 26 settembre. Il 4 ottobre Hamas ha dichiarato la propria disponibilità ad accettare il piano di Trump, ma con qualche riserva.
Il gruppo terrorista, che ha finora governato la Striscia avendo l’appoggio di buona parte della sua popolazione, di cui ha pure curato i bisogni, vorrebbe mantenere ancora un ruolo politico nella fase di transizione. In più, ai detenuti civili che Israele potrebbe liberare, vorrebbe che fossero aggiunti alcuni dei leaders politici. Inutile dire che a questa richiesta Bibi e i suoi collaboratori più stretti, Smotrich e Ben Gvir, sono nettamente contrari.
Il ruolo di Anp e di Abu Mazen
Inoltre questi personaggi, noti come i falchi del governo Netanyahu, sono di ispirazione religiosa tradizionalista di estrema destra e auspicano uno stato di Israele esteso dalla Cisgiordania al mare, ciò che significa l’espulsione totale dei Palestinesi.
In questa aspirazione sarebbero favoriti da altri punti del piano Trump, che prevedono la possibilità per i combattenti di Hamas di ottenere, deposte le armi, un indennizzo in denaro ed un lasciapassare per recarsi in altri Paesi arabi, come Egitto o Sudan.
Invece, i Palestinesi civili potrebbero restare e lavorare durante la ricostruzione, ovviamente in condizioni di lavoro subordinate agli Israeliani.
Ma è possibile aspettarsi che essi possano accettare codeste condizioni? O piuttosto non desiderino restare nel loro paese, per ricostruirlo e viverci da protagonisti della loro esistenza?
Ciò implica la costituzione di uno Stato di Palestina autonomo e indipendente, con dei confini definiti e difesi contro Israele.
Purtroppo, la legittima aspirazione del popolo della Palestina si scontra con la forza militare e la prepotenza politica di Israele fin da quando questo Stato venne costituito dalle Potenze vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, con l’intento di ripagare gli Ebrei delle sofferenze sofferte a causa della Germania nazista di Hitler.
Alla fine della guerra, dapprima si favorì l’insediamento di coloni ebrei sul territorio palestinese; poi, nel 1947 l’Assemblea Generale dell’ONU decise di dividere il vecchio Mandato Britannico in due Stati, uno ebraico ed uno arabo. Gerusalemme sarebbe rimasta una città internazionale.
Le guerre arabo-israeliane e le conseguenze sui Paesi occidentali
L’anno successivo, nel maggio 1948, David Ben Gurion, esponente del movimento sionista mondiale, lesse alla radio la Dichiarazione di Indipendenza di Israele.
Immediatamente la Lega Araba decise di reagire per appoggiare i Palestinesi, dando inizio alla guerra arabo-israeliana. La Giordania occupò la Cisgiordania e l’Egitto la Striscia di Gaza. Il conflitto portò all’esodo di 750.000 arabi palestinesi, che da allora vivono nei campi profughi in Libano, Siria, Giordania, striscia di Gaza e Cisgiordania.
Venti anni dopo, agli inizi di giugno 1967 Israele batté clamorosamente gli Alleati Arabi, cioè l’Egitto di Nasser, la Siria e la Giordania, con la cosiddetta Guerra dei Sei Giorni. La mattina del 5 giugno attaccò di sorpresa (operazione Focus) la flotta aerea degli alleati, ancora a terra, distruggendola quasi completamente.
Così conquistò la supremazia per le successive operazioni di terra con i mezzi corazzati, terminando la guerra il 10 giugno.
La sconfitta dei Paesi arabi fu devastante
Israele occupò militarmente la Cisgiordania, Gerusalemme Est, il Sinai egiziano, la Striscia di Gaza e le alture del Golan, territori che mantiene tuttora.
A metà degli anni ’70 la Comunità Internazionale decise di creare uno Stato palestinese indipendente in Gaza e Cisgiordania.
All’inizio di ottobre 1973, una coalizione araba guidata da Egitto e Siria decise di attaccare Israele di sorpresa, approfittando della festa dello Yom Kippur.
Il loro intento era quello di rifarsi della sconfitta subita nella Guerra dei Sei Giorni; il presidente dell’Egitto era Sadat, che riprendeva la politica panaraba; quello della Siria Hafez al Assad, padre dell’attuale dittatore Bashar al Assad.
Israele, con la Presidenza di Golda Meyr, fu all’inizio incerto sul modo di condurre la propria difesa, e ciò favorì gli attaccanti.
L’esercito egiziano attraversò il canale di Suez e occupò il Sinai, mentre la Siria entrò nelle alture del Golan.
L’aiuto a Israele degli Stati Uniti
Soltanto l’aiuto degli USA, che gli fornirono un gran numero di mezzi corazzati, salvò Israele. Dopo una settimana, le forze israeliane, guidate da Ariel Sharon, riconquistarono il Sinai ed il Golan.
A fine ottobre, anche per esortazione dell’ONU, lo stato di Israele e l’Egitto siglarono la pace che sanciva lo status quo; in parte, essa soddisfaceva i nazionalisti di Sadat.
Bisogna ricordare inoltre che questa guerra aprì un periodo di crisi economica per l’Europa, poiché l’OPEC (l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio) decise un forte aumento del prezzo del petrolio e l’embargo verso i paesi più filoisraeliani.
Per noi italiani iniziò la politica di austerity, con le restrizioni ai consumi energetici per il riscaldamento ed il traffico; ci ricordiamo, per es., il blocco del traffico privato con la possibilità di circolare la sola domenica a targhe alterne.
Da allora, gli equilibri di forza in Medio Oriente sono rimasti gli stessi.
Bisogna però aggiungere che è continuato l’insediamento di coloni (quelli di tipo religioso estremista) nei territori occupati da Israele, soprattutto in Cisgiordania, con violenze di ogni tipo sui Palestinesi.
E questa politica ha rinvigorito la reazione terrorista, fino all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023.
Dopo due terribili anni di guerra, ora a Sharm el-Sheikh, per la mediazione del presidente egiziano Al-Sisi, Israele e Hamas hanno firmato il piano proposto da Trump.
Il primo impegno per entrambi i contendenti è quello di rispettare una tregua duratura.
Però Israele continua a sparare su Gaza, con il pretesto di mantenere l’ordine.
Inoltre ha dichiarato che continuerà a mantenere il controllo di metà della Striscia, anche nel periodo in cui sarà attivo il Governo temporaneo.
Quale sarà la forza di quel governo e il ruolo dell’ANP?
Soprattutto, si arriverà mai all’istituzione di uno Stato di Palestina indipendente, con confini definiti, che possa coesistere pacificamente con quello di Israele?
Sembra che tutti gli Stati arabi che hanno spinto per la firma del Piano Trump: Egitto, Siria, Qatar, vogliano arrivare a quel risultato.
A questo punto, penso che i Palestinesi debbano pretendere da essi la costituzione di uno Stato formato dai territori di Gaza, Cisgiordania e parte della Giordania stessa (quella dove sono ancora i loro campi profughi).
Tale costituzione dovrebbe essere immediata, superando le lungaggini del piano Trump che sicuramente la impedirebbero, visto anche lo stretto legame tra USA e Israele.
Si dovrebbe nominare Presidente il capo dell’ANP Abu Mazen e quindi, dopo aver esaurito tutte le fasi tecniche, passare la successione a Marwan Barghuti, del quale si dovrebbe pretendere la liberazione da Israele.
Ricordiamo che Barghuti, anche se accusato di terrorismo per le azioni dell’Intifada, è un leader molto amato dal suo popolo, in particolare dai Gazawi.
Sarebbe perciò una persona che potrebbe ben incarnare l’unità dei Palestinesi.
Per ottenere la sua scarcerazione ci vorrebbe però un forte movimento di opinione, soprattutto da noi ed in Europa, che butti via slogan stupidi come Palestina libera dalla terra al Mare.
Anzi, la Costituzione, tutta da scrivere, del nuovo Paese, dovrebbe prevedere la coesistenza di arabi ed ebrei dentro la stessa Palestina, con la facoltà per ognuno di scegliere dentro quale dei due Stati vivere. Certamente, questa è un’ipotesi molto difficile, dati gli schieramenti politici dei Paesi europei.