Prima pagina » Cronaca » Fare il cuoco o il cameriere a Roma non conviene. Meglio in Danimarca

Fare il cuoco o il cameriere a Roma non conviene. Meglio in Danimarca

Pochi lo sanno, ma sono i camerieri che fanno lavorare bene la cucina e guadagnare il ristorante. Se l’accoglienza è cattiva i clienti li perdi

Ristorante, maitre taglia carne

Fare il cuoco o il cameriere a Roma non conviene né al dipendente né al datore di lavoro. Il dipendente guadagna poco e lavora molto. Il datore di lavoro spende troppo se il personale è in regola. Se non è in regola rischia anche la chiusura del locale. Ma in Danimarca è un’altra cosa.

Non si trovano camerieri. Nessuno vuole fare più lo chef. I giovani pensano solo ad avere il week end libero. Nessuno vuole sacrificarsi per imparare.

La principale ragione, dicono, sono le paghe basse e le tante ore di lavoro. Ma i ristoranti spesso sono aziende familiari che si basano sul lavoro e il sacrificio dei familiari coinvolti. Non c’è un grande guadagno. Per questo in molti, dopo la pandemia, hanno chiuso i battenti. 

Il problema principale anche per chef e camerieri è sempre il costo dei contributi fiscali, troppo alto da noi

Cominciamo dal problema vero. Qual è il costo di un dipendente per un’azienda. In questo caso per un ristorante. Lo stipendio di un dipendente non è costituito solo dallo stipendio mensile netto in busta paga ma comprende tutte le spese che ricadono sul datore di lavoro, tra cui i contributi previdenziali e assistenziali. Quindi dovremmo sommare la retribuzione annua lorda, l’Inps, il trattamento di fine rapporto, che va conteggiato nei contributi annuali, la tredicesima e quattordicesima quando c’è, i rimborsi per eventuali trasferte di lavoro. Lasciamo pure perdere eventuali corsi di formazione costi per gli attrezzi che pure il datore deve sostenere.

Lo stipendio di uno chef è di 1.850 euro al mese, ma deve trattarsi una persona qualificata. Uno alle prime armi, che al massimo ha alle spalle qualche esperienza in cucina più un corso di scuola alberghiera potrà aspirare, al massimo, a 1.200 euro al mese, e siamo molto generosi perché credo che gli daranno molto meno. Partendo da questa cifra netta mensile con la quale in Italia, in particolare a Roma e a Milano al massimo sopravvivi, il costo aumenta notevolmente.

Allo stipendio da dipendente si deve aggiungere il 107% di tasse e contributi

Una recente analisi del Centro Studi Confindustria ha stimato il costo di un dipendente per il datore di lavoro, a partire dallo stipendio netto di base:

Per un importo di 780 € netti in busta paga, il costo per l’azienda è di 1.360 €

Per una retribuzione netta di 1.000 €, l’azienda paga 1.828 €

Su una paga netta di 2.000 €, l’azienda spende 4.449 €

Una retribuzione netta di 3.000 €, all’azienda costa 7.311 €

Con l’aumentare dello stipendio, aumenta anche la percentuale di tributi versata dall’azienda. L’Irpef si calcola in modo progressivo. Perciò, si alza e abbassa in base alla retribuzione maggiore o minore del dipendente.

L’analisi di Confindustria ha calcolato che, fissando la retribuzione di un dipendente a quota 100, si aggiungono le seguenti spese per il datore di lavoro:

32% di imposte

14% di contributi a carico del lavoratore

61% di contributi a carico del datore di lavoro

In totale quindi, allo stipendio netto che riceve il dipendente, bisogna aggiungere il 107% di tasse e contributi per ottenere la spesa complessiva per il datore di lavoro.

La differenza tra il costo sostenuto dall’azienda per un dipendente e lo stipendio percepito dal lavoratore è detta “cuneo fiscale” e in Italia rappresenta circa il 47% della spesa complessiva per il personale, mentre la media europea è del 35,9%.

Un ragazzo che percepisce 1.200 netti al mese, prende 15.600€ l’anno. Al datore di lavoro costa 15.600 x 107 = 32.292€. Ho detto tutto.

Le retribuzioni possono variare per esperienza, livello e tipo di lavoro

Abbiamo fatto il conteggio su un aspirante cuoco ma per un cameriere è la stessa cosa.

Su Cook, racconti di cucina, del Corriere della sera del giugno dello scorso anno, si sosteneva che il Contratto collettivo nazionale di lavoro per la ristorazione, prevede una retribuzione minima mensile per un cameriere professionista di 1.500 euro lordi (ossia circa 1.250 euro netti), con 14 mensilità e 40 ore di lavoro settimanali. Di fatto quel 1.500 aumenta di parecchio per il datore di lavoro quando ci aggiunge i contributi che lui deve pagare.  “Ovviamente — spiega Silvio Moretti, direttore servizi sindacali Fipe — questi sono valori minimi, la domanda di mercato e le esperienze professionali possono far aumentare notevolmente queste cifre e anche il numero di ore di lavoro può essere differente in certi casi”.

Bisogna tenere presente che la forbice della retribuzione è vasta: lo stipendio minimo netto, secondo il portale, è quello del cameriere part time, che prende all’incirca 680 € netti al mese. Un apprendista cameriere guadagna 700 €. Un cameriere professionista prende in media, al mese, 1.250 €. Nella stagione estiva la media può arrivare anche a 1.450 €. In un ristorante stellato la retribuzione media tocca i 1.750/2.000 €. Nelle pizzerie la paga mensile netta è di 1.200 €, 1.050 € negli agriturismi. Lo stipendio medio di un maitre è di 1.650 € netti al mese, ma la retribuzione può variare in base all’esperienza, da uno stipendio minimo di 1.200 € a un massimo di 3.000 € netti al mese.

A questi dati andrebbero aggiunti i guadagni in mance che seppure sempre più striminziti, possono aumentare lo stipendio e poi non sono introiti tassati. C’è anche chi lavora in nero, a suo rischio e del datore di lavoro. I turni non sono meno gravosi, circa 12 ore al giorno, dalla preparazione della colazione fino alla chiusura dopo la cena. Novecento euro di retribuzione lorda al mese. Di meno della cifra legale ma non saranno tassati ulteriormente dall’Irpef.

Gli orari di lavoro sono stressanti: si sta sempre in piedi e si perde concentrazione

I ristoranti spesso sono piccole aziende familiari. Si lavora fin che c’è da fare, ci si ferma quando l’ultimo cliente se n’è andato. Così ragionano i piccoli datori di lavoro, ancora peggio fanno i cinesi, che pensano solo al lavoro e hanno solo il tempo per dormire quando non lavorano. In alcune interviste su Youtube con impiegati cinesi nella ristorazione, loro stessi dicono di sentirsi come schiavi. Non c’è tempo per uscire, per divertirsi, per fare nient’altro che non sia pulire, lavare, servire, fare la spesa, cucinare. 

Il concetto di tempo libero non esiste neanche nella cultura orientale. Per questo gli empori degli indiani stanno aperti 24 ore per tutta la settimana. È la famiglia che si reca nel negozio a dare il cambio al familiare. Tutto avviene nel negozio: si mangia, si parla, si discute, nel negozio o nel ristorante, che è l’unica ragione di vita della famiglia orientale.

Il cuoco sta sempre accanto ai fornelli, taglia e cuoce e il rischio di farsi male è elevato. Deve correre, non deve sbagliare, deve stare concentrato molte ore e non è semplice. In più ha una brigata da guidare, delle responsabilità, si gioca continuamente la carriera, se sbaglia un piatto perde un cliente e si fa una cattiva fama con gli amici del cliente deluso. Il cameriere è a contatto con centinaia di persone, ciascuno con il proprio carattere e le proprie manie.

Il cameriere deve sempre sorridere, fare buon viso a cattivo gioco, prendersi le lamentele e i rimproveri e non può rispondere a tono. Inoltre deve essere preparato sul menù, concentrato sulle comande, resistere in piedi 6 o 8 ore di seguito, senza potersi fermare, ed essere anche accogliente e simpatico. Pochi lo sanno ma sono i camerieri che fanno lavorare bene la cucina e guadagnare il ristorante. I piatti possono essere buoni ma se l’accoglienza è insufficiente i clienti si perdono.

Sono anche 84 ore di lavoro a settimana che chef e brigata trascorrono davanti a fuochi e taglieri

Il Sous Chef è il termine francese per indicare chi si trova in una posizione secondaria rispetto al cuoco principale e significa letteralmente sotto il cuoco. Il Sous Chef è il secondo della brigata, è responsabile della cucina e del personale, supervisiona il lavoro dei colleghi e riferisce all’Executive Chef. Non va confuso con un aiuto cuoco, che ha funzioni ancora di minor responsabilità rispetto a un Sous Chef.  Viene inquadrato al sesto livello o sesto livello super del CCNL Pubblici Esercizi. Lo stipendio si aggira quindi attorno ai 1.400€ lordi, che corrisponde ad uno stipendio netto di circa 1.150€.

In media sono circa 84 le ore che chef, cuochi e brigata trascorrono in una settimana davanti a fuochi e taglieri. Cifra che equivale a 14 ore al giorno. Tante, infinite, troppe, se consideriamo che il contratto nazionale ne prevede 40, con un massimo di 250 di straordinario distribuite sull’anno. Avrebbero diritto a 2 giorni di riposo alla settimana. Ma chi li concede?

Il cameriere in Italia avrebbe una durata dell’orario lavorativo che non deve superare le 48 ore settimanali, straordinari compresi. La durata dei turni notturni, qualora il lavoro comporti particolari stress fisici o rischi, non deve superare le 8 ore quotidiane.

Nella ristorazione gli stipendi medi sono molto inferiori alle medie europee

Nel settore della ristorazione in Italia un panettiere prende circa 33.569€ all’anno. Uno chef circa 32.410€ all’anno. Un cameriere circa 30.000€ all’anno e un barman circa 32.500€ all’anno. Considerate che uno stipendio medio a Roma, senza considerare la categoria professionale, è di 30.453€, quasi 4mila euro in meno rispetto ai 34.302€ di Milano. Un risultato, quello della capitale, in linea con l’andamento della Regione Lazio, che si posiziona nella fascia intermedia delle regioni italiane.

Cosa succede fuori d’Italia? Consultando il sito della Commissione Europea, risulta che il Paese con il salario annuale più alto in Europa nel settore dell’ospitalità è la Svizzera con una media di 48.531€ . La Svizzera è il top per le retribuzioni in questo settore, poi Austria, Italia e per ultima la Germania.

La rimunerazione media per il ruolo di chef a New York ma anche a Los Angeles, negli Stati Uniti d’America, è di 4.584 USD (4.208€), con un’oscillazione da 3.438 USD a 6.417 USD. Annualmente si parla di oltre 64.000 USD (58.761€). Siamo al doppio dello stipendio italiano. Le stime degli stipendi si basano su 7424 stipendi inviati in forma anonima a Glassdoor (uno dei più grandi siti di lavoro e di reclutamento al mondo) da dipendenti con un ruolo di chef.

Lo stipendio medio come chef in Australia è di 225.000 A$ (134.465 €) all’anno a Sydney. La rimunerazione aggiuntiva media in contanti per il ruolo di chef  è di 25.000 A$ (14.940€), con un’oscillazione da 15.000 A$ a 60.000 A$ (8.964 – 35.857 €).

Tra i migliori ristoranti del mondo pochissimi sono italiani

Da qualche anno Copenaghen ha i ristoranti più importanti del mondo, i primi nella classifica dei 50 migliori ristoranti al mondo sono danesi. Il Noma di René Redzepi, il Geranium di Rasmus Kofoed e Søren Ledet e l’Alchemist di Rasmus Munk sono il top dei top. Tra l’altro Munk è, in questa metà novembre, a Santo Domingo, in un evento di Gastronomic in cui l’ho fatto chiamare, per conto di una impresa dominicana.  

Geranium e Noma fanno parte dell’Olimpo dei Best the Best, l’Alchemist è quinto per il momento. 

Tra gli altri Best the Best ci sono El Bulli, The French Laundry, l’Osteria Francescana, The Fat Duck, El Celler de Can Roca, Mirazur, Eleven Madison Park. Uno soltanto è italiano, il ristorante di Massimo Bottura a Modena. Il primo degli italiani è settimo, il Lido84 di Riccardo e Giancarlo Camanini a Gardone Riviera (Brescia). Potremmo considerare anche quasi italiano il Mirazur, dell’argentino di origini abruzzesi Mauro Colagreco, che si trova a Menton, in Provenza ma a un passo dal confine italiano.

Tanti Italiani vanno a Copenaghen a lavorare nella ristorazione

Ho scoperto che a Copenaghen, in quei ristoranti e in altri meno rinomati, lavorano moltissimi italiani, saranno almeno una trentina, in particolare meridionali, specialmente sardi.  Andrea Piras fa lo chef in un ristorante giapponese, Slurp Ramen. Cristian Puglisi, in Danimarca da quando aveva 8 anni per via dl padre che aveva aperto un ristorante italiano, ha un suo ristorante che si chiama Baest.

Andrea Lasagna fa il manager di Popl, Paolo Mirai, altro sardo, il floor manager all’Alchemist. Mattia Spedicato è il manager del Geranium. Tutti sono dovuti andar via dall’Italia per poter fare il lavoro che amano e ora sono indecisi se continuare a girare il mondo, restare a Copenaghen o tornare in Italia. Anzi in Italia torneranno solo come turisti, per trovare i familiari ma ormai la loro casa è la Danimarca e forse, chissà, l’Australia, la California, dove li porterà il lavoro.

Hanno iniziato con i lavori più umili, hanno imparato, ora dirigono altri dipendenti e lavorano 4 giorni a settimana

Tutti hanno iniziato come camerieri, qualcuno lavapiatti, aiuto chef, imparando. Tutti portano con sé l’esperienza, il know how della tradizione gastronomica italiana, ma tutti hanno imparato le tecniche, l’organizzazione, la maniera di condurre un settore e in prospettiva una propria azienda qui.  Quello che li fa andar via è il fatto che fare il cameriere o il cuoco a Copenaghen non è un mestiere di ripiego. Vieni pagato bene, sempre meglio ad ogni avanzamento di carriera, sei stimato e considerato.

Con quello che guadagni vivi bene e puoi pensare di costruirti una famiglia. Gli orari di lavoro sono duri, dalle 10 di mattina a mezzanotte, con una pausa di due ore a pranzo. Ma lavori 4 giorni a settimana. Cioè hai almeno un week end di tre giorni sempre, da venerdì a lunedì mattina. C’è chi lo sfrutta in città ma c’è chi va a Londra, Parigi, Stoccolma, Barcellona, Dubai… puoi passare tre giorni dove ti pare ed aumentare le tue conoscenze nel tuo campo o svagarti.

Il confronto con l’Italia spiega perché da noi i giovani fuggono e altre società invece se ne avvantaggiano

Il confronto con l’Italia è presto fatto. Basta verificare i dati che ho riportato prima. La cosa che tutti questi ragazzi sottolineano però, è l’atmosfera di collaborazione che si respira in Danimarca. La cultura scandinava è apertissima verso chi vuole lavorare. Sia che abbia o non abbia un curriculum eccezionale da mostrare. Conta più la persona, meno quello che ha fatto. Specie se è un italiano con tutta la cultura gastronomica che in ogni caso si porta dietro e che ci invidiano.

In Danimarca molte cose si devono importare ma le tecniche e il coraggio di osare è insito in loro. Ti rispettano e ti aiutano. Il personale più anziano aiuta il giovane, nell’apprendere l’inglese, nel conoscere ogni dettaglio del menù, saperlo spiegare, nel conoscere la filosofia del ristorante, sulle finalità spesso legate all’ambientalismo e alla sostenibilità, che riportano nei materiali da costruzione, nella cucina, nella maniera di procurarsi gli alimenti e di smaltire i rifiuti. Il nuovo dipendente viene accolto e solo se si comporta male sarà allontanato, com’è ovvio che sia.

Ma se ha voglia di fare, non importa quante volte sbaglierà. Lo chef lo prenderà da parte e gli spiegherà di nuovo come deve comportarsi. Non lo umilierà davanti ai colleghi, non getterà il piatto in terra, non urlerà, non lo caccerà in malo modo come abbiamo visto fare in tante trasmissioni tv con gli chef nostrani. E sappiamo che lo fanno anche in cucina. Questa aggressività che spaventa non c’è nella cultura scandinava. E così le cose funzionano meglio. Non basta pagare o essere pagati il giusto per lavorare. Ci vuole compartecipazione, sentirsi dentro un progetto comune.