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Fake news: il rischio di una “deriva autoritaria” in caso di vittoria di Salvini

Un luogo comune, rilanciato anche da Roberto Saviano in versione sardina. La vera paura, invece, non è per i metodi ma per i contenuti

Pura isteria, per quelli in buonafede: anche se poi, chiariamolo subito e a caratteri cubitali, non è che la buonafede giustifichi tutto. E men che meno l’ottusità: quella delle tesi ripetute a pappagallo, tipo “oh, mamma mia stanno tornando i fascisti, travestiti da sovranisti”, e quella dei comportamenti replicati per imitazione, tipo “ooooh, che meraviglia le sardine che riempiono le piazze e allora voglio esserci anch’io”.

Pura manipolazione, invece, per quelli che in buonafede non sono. E che certi proclami, e certi anatemi, li lanciano per motivi propagandistici: avendo finito, da un pezzo, gli argomenti sostanziali a favore del modello dominante, la loro unica possibilità di rimanere al potere è demonizzare gli avversari. Ossia, in questo momento, il centrodestra. O se preferite, e alla luce dei rapporti di forza all’interno dello schieramento, la destracentro imperniata sulla fortissima Lega di Salvini e sugli ascendenti Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni.

Fissata questa distinzione iniziale, che serve a graduare le diverse responsabilità ma che non assolve nessuno (se hai l’età per votare hai anche l’età per rispondere delle sciocchezze a cui credi), entriamo nello specifico.

Uno degli spauracchi preferiti è l’ipotetica “deriva autoritaria” alla quale ci consegneremmo se le prossime Politiche – quando finalmente non ci sarà più modo di rinviarle – vedessero il trionfo di Salvini & C., con una conseguente maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento. E magari anche, elemento da non sottovalutare, senza un bisogno indispensabile del sostegno di Forza Italia o delle sue germinazioni più o meno artificiose.

A questo primo babau viene poi aggiunto, a mo’ di benzina sul fuoco, il richiamo insistito alla famigerata frase dello stesso Salvini riguardo ai “pieni poteri”. Come se davvero ci fosse la possibilità di stravolgere in un amen gli assetti attuali e dare modo al nuovo presidente del Consiglio di comportarsi da dittatore di fatto, se non di diritto.

Viceversa, com’è noto, le modifiche costituzionali esigono iter di approvazione particolarmente onerosi. E pertanto, a meno di immaginarsi che la destracentro arrivi a conquistare almeno due terzi dei seggi a disposizione tanto alla Camera quanto al Senato, la pura e incontestabile verità è che l’eventuale o probabile governo della prossima legislatura non potrà avvalersi di nessuno strumento decisionale che sia diverso da quelli già esistenti.

Diciamolo in maniera ancora più chiara: il futuro esecutivo si troverebbe a operare nelle stesse condizioni generali di chi l’ha preceduto a Palazzo Chigi.

Ma è proprio qui, che il ragionamento si fa più interessante. E che si spiegano, sia pure in una chiave assai diversa, i timori di cui stiamo parlando.

Semplice: il sistema non si tocca

La realtà è sotto gli occhi di tutti ed è agevolmente verificabile. Basta riepilogare le cospicue trasformazioni che si sono succedute negli anni, e in particolare nei due decenni e mezzo della cosiddetta Seconda Repubblica, per constatare come un po’ per volta si siano introdotti numerosi cambiamenti strutturali nell’intera società italiana. Strutturali e inscritti nella medesima prospettiva di asservimento all’alta finanza internazionale e alla globalizzazione dei mercati.

L’architrave, a livello di UE, sono gli Accordi di Maastricht del 1992. E già questo dato temporale andrebbe incorniciato, per la sua sorprendente simultaneità con l’avvio delle tempeste giudiziarie di Tangentopoli: il 7 febbraio di quell’anno vengono firmati gli Accordi; il 17 successivo viene arrestato Mario Chiesa per una tangente di poco conto, pari ad appena sette milioni di lire, ma che diventa il detonatore delle inchieste a tappeto, o quasi, sul finanziamento illecito ai partiti.

Il dato di fatto, quindi, è che le forze che hanno governato finora hanno potuto imporre eccome i loro dettami sia normativi sia amministrativi, e tra l’altro l’hanno fatto ricorrendo in innumerevoli occasioni a ogni sorta di escamotage: dai decreti legge (anche reiterati più volte, con modifiche talmente blande da essere irrilevanti) all’uso abituale del voto di fiducia, dai trucchi anti ostruzionismo dei vari “canguro o “supercanguro” agli obbrobriosi pateracchi dei “milleproroghe” di fine anno, e via sgusciando tra i tantissimi paletti che in teoria dovrebbero evitare determinati abusi, ma che all’atto pratico non bastano nemmeno lontanamente a raggiungere lo scopo.

Consci della vastità e della profondità delle proprie forzature, vertici e cortigiani dell’establishment hanno paura che Salvini & C. abbiano la loro stessa sagacia/spregiudicatezza e possano, perciò, modificare in maniera non marginale le attuali direttrici di marcia.

Ciò che si teme davvero, quindi, non è affatto la fantomatica “deriva autoritaria”. Bensì la possibilità che venga cambiata la rotta che si sta seguendo adesso.

Della serie: se al timone ci siamo noi rappresentanti del sistema, stiamo esercitando il mandato che ci è stato dato dal popolo (o dai correttivi in stile Napolitano e Mattarella, all’occorrenza) e ciò che decidiamo è giusto per definizione.

Se invece ci mette su le mani qualcun altro, nell’intento vero o presunto di dirigere altrove la nave, non si tratta più di un capitano con una legittima investitura popolare ma di un avventuriero/usurpatore che ci porterà alla rovina.

Tipico di queste democrazie di facciata: il voto dei cittadini va bene solo quando si allinea ai voleri dell’oligarchia liberista. Altrimenti, vade retro Satana. Vade retro Salvini.

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