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Cultura e povertà: maestri italiani scomparsi

In Italia, quattro grandi vecchi ci hanno lasciato in anni recenti e, senza di loro, il panorama culturale italiano è drammaticamente più povero

atena, gustav klimt

"Atena", Gustav Klimt

In questo inizio di secolo e di millennio, è possibile dire che la cultura europea e occidentale non versi in buone acque. Certamente, la dimensione dell’industria culturale è cresciuta in modo esorbitante, delirante, fino a fagocitare tutto il resto. Per non parlare di internet e dei social network, in cui lo stile ultra-rapido della comunicazione strozza in germe quella lentezza che è necessaria alla poesia, al pensiero, all’arte per nascere.

Così, è possibile dire, con cognizione di causa, che Jürgen Habermas è l’ultimo filosofo europeo ancora in vita, a meritare un tale epiteto epocale. Altrettanto è possibile dire, che Milan Kundera è l’ultimo grande romanziere della tradizione europea. In Italia, quattro grandi vecchi ci hanno lasciato in anni recenti e, senza di loro, il panorama culturale italiano è drammaticamente più povero. Mi riferisco a Umberto Eco, Guido Ceronetti, Emanuele Severino, Alberto Arbasino. I primi due morti, rispettivamente, nel 2016 e nel 2018. I secondi, entrambi nel 2020. 

Una scuola antica

Per alcuni decenni, in tutto il mondo, Umberto Eco ha rappresentato la quintessenza del genio italiano. La sua poliedricità, la sua intelligenza rapinosa, la sua cultura enciclopedica, il suo brio e la sua ironia, ricordavano al resto del mondo la grande scuola italiana del passato. Qualcosa del genio di Leonardo da Vinci e Pico della Mirandola, per i quali il sapere non era sforzo. Forse c’è qualcosa di vero in questa associazione. 

Filosofo, semiologo, grande critico letterario, romanziere di successo, Umberto Eco era solito far lavorare gli altri. Che, con fatica e impegno, si mettevano sulle tracce della sua intelligenza.

Che si trattasse del tema degli apocalittici e integrati, di quello dell’opera aperta, o della struttura assente. Ma altrettanto è possibile dire per romanzi come “Il Nome della Rosa”,Il pendolo di Foucault“o Baudolino. Per non parlare delle magistrali prose brevi di Diario minimo o di una rubrica giustamente leggendaria come La bustina di Minerva, pubblicata per decenni sull’ultima pagina dell’Espresso. 

Un cavaliere dell’Apocalisse

Arriva un momento, nella vita delle persone, in cui si concludono i sogni dell’infanzia e si comincia a capire che il mondo non è quel luogo incantato, che avremmo sperato. La delusione può essere micidiale. Ma affidarsi alla guida di un maestro della Parola come Ceronetti, è garanzia, quanto meno, di lavorare su un terreno solido. Grande traduttore dell’Antico Testamento, Ceronetti usava la parola sapienziale come sguardo critico sul presente.

Senza molti margini di mediazione, a ben vedere. Il mondo della tecnica, la sua tronfia sicurezza, la sua volgarità, il suo stile appiccicoso, la sua mancanza di profondità erano l’oggetto di una condanna senza appello. Ma questo giudizio apocalittico sulla cultura del presente, non avveniva nello stile serioso di un accademico che si prende troppo sul serio, ma in quello fiammeggiante del grande saggista e del grande aforista. Di un maestro della lingua italiana, quale non ce ne sono più.

Un presocratico a Brescia

Emanuele Severino è stato uno degli ultimi maestri del pensiero italiano. Padrone, in modo impressionante, della tradizione filosofica europea e occidentale, che conosceva fin nei suoi snodi più riposti, egli trasse le conseguenze del discorso filosofico di Nietzsche e Heidegger e pose il problema dell’essere di Parmenide al centro della sua filosofia.  Dotato di un fascino filosofico innato, che risuonava anche nel timbro della sua voce, egli ha cresciuto e svezzato varie generazioni di studiosi di filosofia italiani, negli ultimi decenni.

Difficile eludere il suo nome, le sue opere, per chi voglia ancora oggi, provare a pensare nei termini della filosofia occidentale. Che si trattasse della struttura originaria, dell’essenza del nichilismo, del destino della necessità, del problema dell’oltrepassare, egli ha continuato a pensare nei termini dell’antico presocratico e di ciò bisogna essergli grati.

Aristocrazia e gaiezza

Alberto Arbasino che pure, come Umberto Eco, fece parte del gruppo ’63, scelse la via del romanzo e di una scrittura di indagine della realtà, affidandosi a Carlo Emilio Gadda e alla grande tradizione narrativa del Novecento. Dotato di una cultura artistica e musicale prodigiosa, fu sempre aperto allo stimolo positivo della realtà, pur nell’ambito di una posizione di aristocrazia dello spirito.

Attento alle problematiche omoerotiche, di cui condivideva l’inclinazione con Pier Paolo Pasolini, i suoi libri sono complesse navigazioni nella cultura e nel mondo contemporanei, cui guardava con apertura e relativa simpatia. Certamente, questi autori continuano e continueranno a vivere nelle loro opere, come è giusto che sia. Eppure, lasciano un paese sempre più sguaiato, nella politica e nella cultura. Un’Italia che non potrà più, in tempi di povertà spirituale come questi, godere dei frutti della loro intelligenza.

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