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Caso Ilaria Alpi, il supertestimone ritratta tutto

Ahmed Ali Rage, testimone oculare, a Chi l’ha visto? ha raccontato che “l’uomo in carcere è innocente”

“In carcere c’è un innocente, mi pagarono per accusarlo”. A ventuno anni di distanza dalla morte della giornalista Ilaria Alpi e del cameraman Miran Hrovatin, avvenuta a Mogadisco – in Somalia – il 20 marzo del 1994, Ahmed Ali Rage, il super testimone somalo che accusò del duplice omicidio il giovane connazionale Hashi Hassan, ritratta. Si riapre così un caso difficile. Si riapre in modo rumoroso, riportando al centro dei sospetti sulla tragica fine dei due giornalisti le istituzioni del nostro Paese.

L’uomo in carcere per il duplice omicidio è innocente. Ahmed Ali Rage, soprannominato Jelle, raggiunto dai microfoni di Chi l’ha visto? ha raccontato che “l’uomo in carcere è innocente”. Eppure “l’uomo in carcere” era stato lo stesso Jelle  – interrogato in qualità di testimone oculare – ad indicarlo, nel 1997, al pm Franco Jonta. Sul luogo dell’agguato, insieme a Jelle – che era l’autista di Ilaria e Miran – c’era anche un imprenditore italiano, Giancarlo Marocchino, che da subito aveva smentito quella che poi diverrà la tesi dell’accusa: “Non è stata una rapina. Si vede che sono andati in certi posti in cui non dovevano andare”.

La versione del commando di rapinatori, tra cui Jelle indica Hassan, prima ancora della sconcertante rivelazione del super testimone, è traballante, non è solo Marocchino a sostenerlo. Il padre della giornalista, Giorgio Alpi, nel 1994, aveva parlato di “esecuzione”, ricordando che poco prima di morire la figlia aveva intervistato il sultano di Bosaso, Abdullahi Mussa Bogor, e annotato degli appunti su un taccuino che risulta scomparso. Inoltre, il giorno dell’agguato, con Ilaria e Miran c’erano anche l’autista e la guardia del corpo, entrambi rimasti “fortunatamente” indenni dai colpi dei kalashnikov. Questo avvalora l’ipotesi secondo cui Ilaria e Miran erano nel mirino di un commando, sì, ma di killer e non di una banda di criminali improvvisati.

Pagato per mentire. Gli italiani avevano fretta di chiudere il caso e gli hanno promesso denaro in cambio di una sua testimonianza al processo: doveva accusare un somalo del duplice omicidio, ha rivelato Hassan. Il testimone chiave dice di esser stato pagato dal nostro governo per mentire e per depistare le indagini. Da cosa? Forse dalle notizie scomode raccolte dai due corrispondenti. Ilaria Alpi, che si trovava a Mogadiscio come inviata del TG3 per seguire la guerra civile somala e la missione Onu “Restore Hope”, aveva scoperto il coinvolgimento dell’esercito e di altre istituzioni italiane nel traffico illecito di scorie tossiche nel corno d’Africa. Informazioni delicate, imbarazzanti, forse custodite nel taccuino della giornalista, misteriosamente sparito in seguito alla sua uccisione.

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