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7 donne al governo: pubblicità o merito?

La differenza tra “uguaglianza nei punti di partenza” e “uguaglianza nei risultati”

7 donne su 21 ministri.
Una notizia che fa piacere a tutti, e zittisce chi da anni rivendica il diritto delle donne a partecipare alla vita politica.
Ebbene, prima di proseguire, c’è bisogno di una premessa fondamentale.
Spesso si tende a far confusione tra due concetti apparentemente simili, ma in realtà profondamente diversi tra di loro: parità dei sessi e pari opportunità.
Se il primo rappresenta un’impossibilità in termini, poiché la differenza tra sessi è implicita nell’esistenza stessa di due generi umani, il concetto di pari opportunità, invece, riguarda non solo donne e uomini, ma sesso, razza, professione religiosa, e via dicendo.

La nozione di pari opportunità nasce, infatti, negli Stati Uniti della seconda metà del secolo scorso, gli Stati Uniti delle discriminazioni razziali.
Solo in un secondo momento, la nozione si è estesa fino a rappresentare la rivendicazione delle donne dei loro diritti in ambito professionale rispetto alla categoria maschile sempre più avvantaggiata.
Un tentativo giusto, che però negli anni ha dovuto fare i conti con una cattiva interpretazione attribuita a ‘pari opportunità’.

Pari opportunità, infatti, vuol dire garantire a chiunque una possibilità, un modo per esprimere al meglio una potenzialità attraverso degli strumenti. Non vuol dire affatto garantire il raggiungimento del risultato sperato.
In buona sostanza, date a due soggetti A e B tutti gli strumenti per imparare a risolvere un problema di trigonometria. Chi dei due soggetti riuscirà ad arrivare alla soluzione, si meriterà la lode del professore; l’altro dovrebbe invece pensare di riaprire il libro di matematica dove tutte le possibilità sono messe a servizio di tutti.
Il soggetto è ampiamente responsabile, in termini di fini e di mezzi, delle scelte che compie e del modo di operare che ritiene più opportuno per raggiungere un determinato traguardo.

Anche Norberto Bobbio in ‘Eguaglianza ed egualitarismo’, fa riferimento a due nozioni di uguaglianza: la prima, quella delle potenzialità messe a disposizione, dei punti di partenza, per cui a contare è che tutti abbiano gli stessi mezzi per poter partecipare allo stesso gioco con le stesse regole; la seconda, quella dei risultati, per cui non conta che tutti possano partecipare al gioco indistintamente, ma che, chiunque ne prenda parte, possa vincere nella stessa misura degli altri concorrenti.

Allo stesso modo, uomo e donna sono entrambi liberi di scegliere se partecipare e quali piani strategici, in termini professionali, mettere in pratica per raggiungere i loro obiettivi.
In quest’ottica, le differenze nei risultati sono giuste perché si riferiscono alle diverse capacità dei concorrenti.

Ora, per assicurare eguale partecipazione a donne e uomini, il legislatore spesso mette in atto degli strumenti legislativi, che prendono il nome di ‘azioni positive’, che tendono a limitare, se non eliminare, qualunque forma di discriminazione nei confronti del soggetto che si trovi in una posizione di svantaggio.
Ad oggi, queste azioni positive (quote rosa, obbligo di inserire nelle liste politiche un tot di nomi femminili,e altre simili), sono rivolte esclusivamente alle donne e sono destinate a rimanere in uso finché la situazione di svantaggio non si sia attenuata.
Paradossalmente, da qui a pochi anni, qualora dovessero essere gli uomini ad essere discriminati, le azioni positive, in quanto rivolte a tutti i soggetti svantaggiati, potrebbero essere assunte in loro favore.
Si tratta, dunque, di ristabilire delle condizioni paritarie dei punti di partenza, solo dei punti di partenza, e non anche dei risultati.
Alla carta, le azioni positive restano solo una garanzia procedurale. Quindi, solo in parte, si è data una soluzione alla questione.

Tuttavia, al di là dei confini formali, bisogna capire se la partecipazione alla competizione sia libera, o se le iscrizioni dipendano da un giro preliminare di prove. Come avviene alle Olimpiadi: non tutti gli atleti possono accedere alla competizione, e non a tutti, tra quelli che accedono, è concessa la finale. Si procede per meriti, in termini di azioni, dimostrati sul campo.

In altre parole, chi scrive è una donna, e in quanto donna è assolutamente contenta che, nel 2013, 7 donne su 21 ministri siano donne. Tuttavia, chi scrive, da donna, è assolutamente contraria alla pretesa di fatto che ‘tutto sia dovuto’, solo perché si è donne.

La vox populi che reclama un Papa nero o una donna al Quirinale, è del tutto irrazionale.
Nel giorno della fumata bianca al Vaticano, in molti erano davanti al televisore in attesa della proclamazione di un Papa di colore. Come se l’esser di colore sia una garanzia.
E, prima della lotta Napolitano-Rodotà aizzata dagli elettori che manifestavano davanti Montecitorio, c’era la richiesta di un Presidente della Repubblica donna a tutti i costi.
Ma siamo sicuri che una donna al Quirinale o un Papa nero avrebbero saputo far meglio dei predecessori o degli attuali incaricati?

Questo non è assolutamente un discorso discriminatorio; tutt’altro. Chi scrive crede nella assoluta centralità dell’uomo, di tutti gli uomini.
Ovviamente, uomo in quanto entità astratta e filosofica, e, quindi, prescindendo da colore, sesso, religione, estrazione sociale o altro.

Il popolo, che da anni si indigna in piazza per rivendicare il diritto alla meritocrazia, non può e non deve permettersi di arrendersi al colore della pelle, annientando così il diritto stesso alla meritocrazia che si va reclamando.
La storia ci ha insegnato che non tutte le donne sono capaci e non tutti i Papa sono stati in grado di reggere il peso del loro incarico, e questo perché, prima di essere personaggi istituzionali, siamo uomini. E come tali pieni di difetti e passibili di errori.
Papa, Presidente della Repubblica, Ministro, Primo Ministro, perfino l’amministratore di condominio: chiunque dovesse mai nella vita ritrovarsi a ricoprire un incarico di tal fatta, dovrebbe sapere di averlo meritato per le sue doti e qualità.

In conclusione, accogliamo tutti con piacere queste 7 donne al Governo, sperando con tutto il cuore che non sia solo una scelta dettata dalle richieste del mercato, ma che dipenda da una reale possibilità di queste ‘ministre’ di far bene, di operare nel migliore dei modi possibili per questo Paese. Che, in periodo di crisi, a tutto è interessato tranne agli spot pubblicitari.

Questo discorso, date le premesse, è stato rivolto soprattutto alle donne, perché è di queste che si fa un gran dire.
Ma, cari Alfano, Letta, Saccomanni, Giovannini… non crediate che l’esser uomini vi attribuisca un merito incontrastato e incontrastabile.
Se quanto detto finora è vero, dovrete saper far bene anche voi.
Ciò che conta sono le disposizioni d’animo e le capacità pratiche.

Se di un uomo o di una donna, non importa. Ciò che importa è che la politica sappia dare al suo popolo dei veri leader.

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