Prima pagina » Cronaca » 100 mila medici in pensione nel 2024. Per formare i nuovi ci vorranno 10 anni: come faremo?

100 mila medici in pensione nel 2024. Per formare i nuovi ci vorranno 10 anni: come faremo?

Un’ondata di pensionamenti metterà in crisi il parco medici italiano nel prossimo decennio. Per il 2024 si prevede che 109 mila medici lasceranno la professione

Medico al lavoro

Mancano 20 mila medici all’appello e 108.700 andranno in pensione entro il 2032. In formazione ci sono 141.000 studenti, ma non tutti arriveranno alla laurea. Così in un decennio rischiamo di trovarci sempre a corto di camici bianchi, se non si corre ai ripari adesso.

Un’ondata di pensionamenti metterà in crisi il parco medici italiano nel prossimo decennio. Per il 2024 si prevede che 109 mila medici lasceranno la professione. Ma nel conto complessivo già siamo sotto di 20 mila unità e il totale fa 129 mila. Per formare nuovi medici ci vogliono 9/11 anni a partire da oggi. I posti programmati per il corso di Laurea in Medicina e Chirurgia sono circa 141 mila ma dobbiamo anche contare che un 15% di studenti non termineranno il corso di laurea. Il conto finale fa una carenza di 9.850 medici. Se tutto resta com’è.

Sarà difficile raggiungere un equilibrio tra i medici che se ne vanno e chi arriva senza una programmazione

Sono i dati elaborati dall’Anaao Assomed su dati Ocse, Onaosi ed Enpam da cui si evince che la crescita del numero di medici, spesso definita “pletora medica“, è destinata a non risolvere il problema della cronica carenza dei medici nel nostro paese. Secondo gli stessi dati, dopo il 2027 la curva pensionistica, sarà in netto decremento e questo dovrebbe facilitare la programmazione al fine di raggiungere un equilibrio tra il numero di specialisti che possono entrare nel mondo del lavoro e quelli che ne usciranno.

Ma stando alla situazione quello che rischia di verificarsi non è un sovraffollamento, un imbuto lavorativo, come si dice in termine tecnico ma un perpetuarsi della solita carenza che non verrebbe colmata, confermando una crisi che si potrebbe protrarre per altri dieci anni. Non un lavoro precarizzato con diritti e retribuzioni più basse ma difficoltà a reperire medici preparati per i pronto soccorsi e per le terapie, che da qui a dieci anni potrebbero vederci impegnati con una società ancora più in là con gli anni e con gli acciacchi e le malattie conseguenti.

Poi ci sono i medici che emigrano e quelli che passano al privato

Il problema non è solo la quantità di medici, ma anche la loro distribuzione e la tipologia di specializzazione. La carenza odierna di personale sanitario, con l’aggiunta di posti non occupati in alcune scuole di specializzazione, fino alla scelta di lasciare il posto di lavoro per spostarsi nella sanità privata o migrare in altri paesi alla ricerca di condizioni remunerative e una qualità della vita privata migliori, ne è la dimostrazione.

La cosa tra l’altro riguarda anche gli infermieri. Secondo i dati elaborati dalla Corte dei Conti su dati OCSE 2019, il numero dei medici che ha lasciato l’Italia fra il 2008 e il 2018 ammonta a 11 mila mentre circa 3000, in base ai dati Onaosi, abbandonano ogni anno il SSN prima dell’età di quiescenza. E i fenomeni in base agli ultimi dati non sembrano in diminuzione.

In futuro gli stipendi cresceranno e anche il lavoro sarà meno stressante

È per questo che Anaao Assomed ritiene, da una parte, indispensabile programmare adeguatamente gli accessi al corso di laurea e intervenire subito sulle questioni critiche per rendere attrattivo il lavoro nelle strutture ospedaliere, per permettere ai medici di dedicarsi alla propria vita familiare e sociale, eliminando il blocco delle assunzioni del personale sanitario e incrementando gli stipendi mensili che per raggiungere il livello medio europeo dovrebbero aumentare del 40-50 per cento. Solo ripristinando adeguate dotazioni organiche possiamo migliorare anche la qualità del lavoro soprattutto in presenza di bisogni assistenziali crescenti della popolazione.

L’abolizione del numero programmato si rende comunque necessario, anche se ora non risolverebbe i problemi che ci attendono

L’abolizione del numero programmato a Medicina e Chirurgia è un provvedimento incapace di rispondere alla grave criticità attuale, perché fuori tempo massimo. Ciononostante è inutile mantenerlo. L’accesso agli studi deve essere un diritto universale e non un terno a lotto, legato a un concorso ridicolo nelle domande e nelle intenzioni punitive.

Il problema delle carenze degli specialisti è stato già risolto con l’incremento dei contratti specialistici effettuato dal Ministro Speranza: basta aspettare pochi anni per avere numeri adeguati rispetto ai pensionamenti. Oggi si tratta di rendere più attrattivo il lavoro nel settore pubblico particolarmente in alcune specialità, come Medicina di Emergenza / Urgenza.

Nella programmazione c’è da tenere conto delle variabili che potrebbero verificarsi fra 10 anni

C’è da aspettarsi anche la presenza di altre variabili rispetto ad oggi. Potrebbe cambiare la composizione della popolazione, non solo per l’aumento degli anziani ma anche per l’insorgere di nuove malattie. Non c’è nemmeno da escludere l’arrivo di una nuova epidemia. È questione di “quando” non di “se”. Ne è convinto il direttore dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ha affrontato questo tema al summit dei governi mondiali lo scorso 12 febbraio. Le condizioni che hanno fatto sorgere quella di Covid 19 non sono state del tutto rimosse.

Lo stato dei nostri ospedali, delle RSA e del servizio sanitario nazionale non mi pare sia più attrezzato di prima per affrontare una eventualità del genere e questo suona come un grave atto di accusa per chi doveva provvedere e non lo sta facendo, anzi segue nell’opera di definanziamento del SSN e nello sfuggire dagli impegni che andrebbero presi per avere più macchinari, più tecnologie, più posti letto, più infermieri, più operatori socio sanitari e ovviamente più medici.

La presenza di un numero sempre crescente di immigrati stabili e occupati dovrebbe far riflettere. Queste persone potrebbero avere scarso accesso ai servizi sanitari, presentare patologie con caratteristiche diverse da quelle riscontrabili nella popolazione italiana. Sono tutte questioni che ora vanno poste sul tappeto e occorre fare una programmazione elastica, capace di essere adattata ai mutamenti possibili nel corso del tempo.