Prima pagina » Rubriche » Umanesimo e dintorni, la lente femminile

Umanesimo e dintorni, la lente femminile

Dal secondo dopoguerra, l’Italia non ha mai avuto un Presidente della Repubblica né un Presidente del Consiglio di sesso femminile

Il mondo femminile ha una sua propria specificità e unicità, una sua incommensurabilità rispetto al mondo maschile, riconosciute finora più su di un piano teorico-formale che non nella sostanza. Ad esempio, dal secondo dopoguerra, l’Italia non ha mai avuto un Presidente della Repubblica né un Presidente del Consiglio di sesso femminile.

Ciò vale, naturalmente, anche sul piano del lavoro e della creatività intellettuale. Così è possibile dire, che Hannah Arendt ha declinato l’eredità filosofico-speculativa di Heidegger con una felicità particolare, allo stesso modo in cui Elena Croce, la sua figlia maggiore, ha declinato quella di Benedetto Croce, con una sicurezza di stile ed intuizione, che è mancata ad altri della sua generazione.

Ciò significa che Elena Croce rinunciò fin da subito alla possente articolazione filosofica del pensiero del padre, a meditare sull’estetica, la logica, l’etica, la storia, per individuare con sicurezza ciò che di quel mondo sentiva come suo e che, per parafrasare i titoli di due suoi scritti celebri, possiamo definire l’infanzia dorata e la patria napoletana.

Sotto questo profilo, l’eccezionale biografia su Silvio Spaventa del 1969, meriterebbe più di una menzione. È il racconto non solo di un uomo, ma di una generazione che ha tenuto alto il nome dell’Italia, in una maniera che risulterà impossibile alle classi dirigenti delle generazioni successive.

Una generazione che aveva in mente ideali di libertà, rigore, rispetto delle regole, attenzione per i ceti più bassi, meditazione seria e profonda della tradizione culturale italiana ed europea. Tutte cose di cui, oggi, il nostro paese è drammaticamente privo.

Tra gli scritti più importanti di Elena Croce, non deve essere dimenticato “Lo snobismo liberale” (Adelphi) del 1964. All’inizio del libro, nel contesto dei grandi cantori della cultura liberale europea di primo novecento, la Croce fa i nomi del padre e di Thomas Mann. Vale la pena ricordare, come Benedetto Croce avesse scelto di dedicare la “Storia d’Europa nel secolo decimonono” del 1932 proprio a Thomas Mann, in nome di una comunanza di ideali antifascisti, in un momento tra i più bui della storia del nostro continente.

Croce pose, nella dedica a Mann, dei versi di Dante, dal XXIII canto dell’Inferno, che meritano di essere ricordati: “Pur mo venian li tuoi pensier tra i miei / con simile atto e con simile faccia, / sì che d’entrambi un sol consiglio fei” (vv. 28-30).

L’analisi di Elena Croce ruota intorno alle fragilità dimostrate dalle classi dirigenti europee nell’impatto con la società di massa, analogamente a “Minima Moralia” di Adorno, ma con la peculiarità di osservare questi processi in un’ottica soprattutto femminile.

Ciò che, prima, era stato espressione di una cultura, un segno di originalità, il risultato di uno scavo mentale e umano, diviene ora, sotto la spinta omologante della società di massa e dell’industria culturale, un rituale di gesti e atteggiamenti vuoti, in cui non c’è più spazio per l’umanità.

Nelle pagine sulla figura della compagna-moglie del grande umanista, del grande filosofo e del grande studioso, tratteggiate con tanta precisione e maestria, difficile non intravedere la figura di Adele Rossi, la madre di Elena, la moglie di Benedetto Croce; e vengono alla mente, per associazione, Katia Pringsheim Mann, moglie di Thomas, Toni Cassirer, moglie di Ernst, Elfride Heidegger, moglie di Martin, Gretel Adorno, moglie di Theodor Wiesengrund, a conferma dell’adagio secondo cui, dietro a un grande uomo, c’è sempre una grande donna.

Viceversa, nella figura-tipo del grande industriale italiano, con la sua rozzezza e disumanità, è il punto di vista critico ad emergere. Quello che fece dire a Adorno, in “Minima Moralia”: “Non si dà vera vita nella falsa” (ed. it. p. 35, aforisma 18).

La società di massa ha, dunque, messo in luce la fragilità dell’élite liberale, a cui è mancato, per usare parole di Elena Croce, “il contenuto morale racchiuso nell’ideale umanistico e in quello illuministico” (“Lo snobismo liberale”, p. 80). Resta e ritorna, con la decadenza del cristianesimo, di cui Nietzsche si era accorto con tanta lucidità, la possibilità dei simposi celebrati da Platone e Senofonte, forse uno dei pochi modi veramente autentici di stare insieme.

 

 

 

Lascia un commento