Prima pagina » Rubriche » “Umanesimo e dintorni”, Giorgio Colli e il coraggio della verità

“Umanesimo e dintorni”, Giorgio Colli e il coraggio della verità

Tra i pensatori italiani successivi alla grande stagione del neo-idealismo italiano rappresentato da Croce e Gentile, Giorgio Colli occupa un posto a sé

Se l’Italia non ha mai brillato sul piano politico, tranne luminose parentesi come il Risorgimento e la Resistenza al nazi-fascismo – ed è quasi superfluo ribadire che ciò continua a verificarsi ancora oggi – ben altro discorso è possibile fare per la nostra tradizione artistica, letteraria, filosofica. Per ciò che concerne quest’ultima, basti pensare a Dante, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, Machiavelli e Guicciardini, Bruno, Vico, Leopardi (la cui profondità filosofica ha, in anni recenti, attratto l’attenzione di Severino), fino a Benedetto Croce e Giovanni Gentile.

Ma anche dopo i due dioscuri del neo-idealismo italiano, sono stati molti i nomi significativi che, in ambito filosofico, hanno dato lustro alla cultura italiana. Si pensi a Guido Calogero, grande studioso del pensiero antico, a Enrico De Negri e Pantaleo Carabellese significativi studiosi, rispettivamente, di Hegel e di Kant, a Luigi Scaravelli, a Luigi Pareyson e Gustavo Bontadini, a Norberto Bobbio, a Umberto Eco, molto noto al grande pubblico grazie anche ai suoi splendidi romanzi, nonché agli studiosi che da questi, in varia misura, discendono e che è possibile trovare sugli scaffali delle nostre librerie: Emanuele Severino, Gennaro Sasso, Gianni Vattimo, Massimo Cacciari, Maurizio Ferraris. Ma si pensi anche a importanti studiosi del pensiero antico come Giovanni Reale, scomparso in anni recenti, ed Enrico Berti.

Tra i pensatori italiani successivi alla grande stagione del neo-idealismo italiano rappresentato da Croce e Gentile, è possibile dire che Giorgio Colli occupa un posto a sé. La radicalità, la coerenza umana ed esistenziale, la qualità della scrittura, il fiuto innato per la grandezza, ne fanno un personaggio unico, anche in un panorama di alto livello come quello che, sommariamente, abbiamo tratteggiato.

Colli aveva i suoi fari nei presocratici – i grandi pensatori della grecità che hanno preceduto Socrate e che egli chiamerà “sapienti”, particolarmente Eraclito, Parmenide ed Empedocle – nonché in Schopenhauer e Nietzsche. Basti pensare che a Colli e al suo sodale Mazzino Montinari si deve l’edizione storico-critica delle opere di Nietzsche in italiano, francese, tedesco (due italiani che curano Nietzsche per i tedeschi, anche queste sono le ragioni del nostro orgoglio nazionale!), che può essere considerata quella definitiva.

Dall’aver sposato, in filosofia moderna, la causa di Schopenhauer derivava il suo rifiuto dell’idealismo speculativo, quello di Fichte, Schelling ed Hegel, causa prima, forse, del suo isolamento mentre egli fu in vita.

Le sue opere sono dominate da questa costellazione di autori. Nel 1948 esce il suo primo libro, “La natura ama nascondersi”, dedicato al pensiero greco nel periodo che va dai presocratici al giovane Platone. Inutile dire che si tratta di un libro non solo superlativo, ma stupefacente, degno di quel pensiero, prima di Platone e poi di Aristotele, secondo cui la filosofia nasce dalla meraviglia.

Vi si intravede la lezione di Nietzsche e di Jacob Burckhardt, grande storico della civiltà greca e rinascimentale della seconda metà dell’Ottocento e sodale di Nietzsche. Lo stile e le intuizioni di quest’opera non hanno imitazioni di sorta, i primi pensatori della Grecia sono finalmente restituiti alla vita e diventano combattenti nell’agone della verità. “La nascita della tragedia”, prima opera di Nietzsche del 1872, è il precedente: anche qui, sotto lo sguardo critico del grande filosofo, la Grecia prende vita ed inizia, veramente, a parlarci.

Negli anni seguenti alla pubblicazione di questo primo libro, Colli si dedica all’insegnamento e all’”Enciclopedia di autori classici” che cura per Boringhieri, nonché a due significative edizioni dell’“Organon” di Aristotele e della “Critica della ragione pura” di Kant. Nel 1969, dopo più di vent’anni di silenzio, Colli dà alle stampe un altro grande libro: “Filosofia dell’espressione” (Adelphi). Libro enigmatico, profondo, di quell’espressività che hanno lo sguardo placido dei grandi mammiferi.

Un libro che, con pochi riferimenti storici diretti, perlopiù condensati nella seconda parte, illustra il patrimonio logico-speculativo che fu dei grandi presocratici. Contemporaneamente all’impresa condotta sull’edizione di Nietzsche, nel 1974 esce “Dopo Nietzsche” (Adelphi).

A questo proposito, per illustrare il significato di quel “dopo”, non sarà superfluo ricordare che “Le avventure della differenza” (1980) di Vattimo reca il sottotitolo “Che cosa significa pensare dopo Nietzsche e Heidegger”. Il “dopo”, in entrambi i casi, significa: Nietzsche ha cambiato, nella storia del pensiero europeo-occidentale, le regole del pensiero, ha chiuso una vecchia e bimillenaria partita e ne ha iniziata un’altra, che nessuno può dire dove ci porterà.

L’ultimo lavoro di Colli è la “Sapienza greca” (Adelphi), edita in tre volumi a fronte degli undici previsti, per la prematura scomparsa del suo autore. Qui si risale addirittura alle spalle dei presocratici, indagando ambiti decisivi dello spirito greco: Dioniso, Apollo, Eleusi, Orfeo, per citare soltanto i primi.

Se la filosofia è il tentativo, costantemente intrapreso e ripetuto, di pensare e riflettere su noi stessi, di interpretare aspetti rimasti in ombra, tanto dal punto di vista teoretico che storico, allora certamente Giorgio Colli ha perseguito tale compito con tutto lo splendore e la limpidezza della sua mente.

 

Lascia un commento