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Taglio dei parlamentari: un po’ di soldi risparmiati, ma il nodo non è certo lì

Siamo al rush finale e il finale sembra già scritto: un “luminoso” futuro con 230 deputati e 115 senatori in meno. Bene per il bilancio. E stop

Vai col dolcetto. A fronte degli innumerevoli bocconi amari che ci tocca mandare giù, in quanto cittadini di questa povera repubblichetta a sovranità limitata (anzi limitatissima, tra schiavitù made in USA e semi schiavitù made in UE) ci viene ammannito il taglio del numero dei parlamentari. Che a meno di sorprese in extremis supererà domani pomeriggio anche l’ultimo passaggio in aula, con il secondo e definitivo voto da parte della Camera, e sarà pronto per diventare legge.

Di Maio dice di essere emozionato. E afferma di aspettarsi un consenso trasversale. E ripete il classico anatema contro chi non dovesse approvare le nuove norme: significherà che ha anteposto «la poltrona al cambiamento». E agita il vessillo del sostegno quasi plebiscitario dei cittadini: «è una battaglia che condivide oltre il 90% degli italiani». E sbandiera i vantaggi: «Si vota e ci sono 345 poltrone in meno, stipendi in meno e anche meno burocrazia».

È una versione molto semplificata. E quindi fuorviante. Una versione confezionata a uso e consumo di un elettorato stanco ed esacerbato. Animoso per un verso e debilitato per l’altro. Un elettorato che dei partiti e dei relativi capi, capetti & peones ne ha le scatole piene – e fin qui ha perfettamente ragione – ma che essendo esasperato è più che mai esposto al pericolo di prendere lucciole per lanterne.

Il ragionamento completo lo abbiamo già sviluppato giovedì scorso, e quindi ci ripeteremo il meno possibile. Ma almeno il punto fondamentale non possiamo non ribadirlo: “l’errore è guardare alle persone. Senza capire che si tratta solo di rotelle e rotelline all’interno di meccanismi molto più ampi. E molto meno evidenti”.

Questa distorsione, del resto, è alimentata a getto continuo dal modo in cui veniamo investiti, e sommersi, dalle notizie di giornata. A forza di seguire le vicende specifiche, e di schierarci istintivamente da una parte o dall’altra, finiamo con l’ignorare che il cuore del problema è altrove. Ossia nelle linee guida. Nelle grandi direttrici dell’organizzazione economica e sociale. In ciò che identifica il modello di sviluppo da cui siamo avviluppati e lo rende via via più stringente. Invasivo. Inevitabile.

Se si capisse questo, si capirebbe subito che il vizio genetico della classe politica non sta nel numero di poltrone che occupa, ma nel fatto che ha rinunciato ad avere un’idea di società che sia sostanzialmente diversa da quella dominante. Diversa e alternativa.

Il solito PD, la delusione M5S

Che questo sia vero per un partito come il PD è talmente smaccato da non sorprendere più nessuno, al netto dei molto distratti o dei completamente ottenebrati: tra un restyling e l’altro si è mischiato il peggio della vecchia DC e del vecchio PCI (ammesso e non concesso che ci fosse un “meglio”) e il risultato è un frullatino sempre più indigesto e di un color rosé sempre più pallido. Un brodo di coltura così ambiguo da aver generato un personaggio come Matteo Renzi.

Per il M5S il discorso è diverso. Lì la sorpresa c’è stata. Eccome se c’è stata. Tranne i più lucidi – che avevano colto e memorizzato una per una le contraddittorie sortite di Grillo, come ad esempio l’annuncio a inizio 2017 di voler fare comunella con i liberali dell’ALDE al parlamento europeo – gli altri si sono ritrovati davanti a una metamorfosi tanto accelerata quanto disinvolta. Dove “disinvolta”, evidentemente, è un garbato eufemismo.

I militanti-fan se la sono fatta andare bene, raccontandosi che non è affatto indice di snaturamento (e men che meno di un tradimento deliberato e pianificato da chissà quanto tempo) ma segno di un “sano” pragmatismo. Della serie: si finge di allearsi col nemico ma in realtà lo si strumentalizza costringendolo a venire a patti. Ahò.

I sostenitori meno creduloni, e a maggior ragione i semplici simpatizzanti che giudicano in base a quello che accade davvero e non sull’onda di un bisogno spasmodico di perpetuare le convinzioni/illusioni precedenti, hanno preso atto che dei proclami di un tempo non è rimasto più nulla. Bye bye rivoluzione e accomodatevi sull’ennesimo vagoncino del riformismo.

Torniamo al taglio dei parlamentari, allora. Che cosa si crede? Che essendoci meno seggi da assegnare si otterrà una selezione più accurata e migliore di chi viene eletto?

Toglietevelo dalla testa, se è così. Quello che viene sferrato all’odiata “casta” non è nemmeno lontanamente un colpo da KO.

È solo un calcetto negli stinchi: che l’arbitro lascerà correre perché la partita, tanto, è truccata altrove.

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