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“Stop Yulin”, no al Festival della carne di cane in Cina

Per quest’anno, purtroppo, le mobilitazioni non sono servite a fermare questa barbara tradizione

“Stop Yulin 2015 – fermiamo il massacro dei cani”: recitavano così i manifesti affissi e i volantini distribuiti per tutto il centro di Roma, come in molti paesi UE, nei giorni precedenti al barbaro evento. Ma la mobilitazione internazionale, i servizi mandati in onda durante i telegiornali, le proteste e  le molteplici raccolte di firme organizzate per fermare lo scempio che ogni anno si svolge regolarmente a Yulin (nel sud della Cina), in corrispondenza con il Solstizio d’estate, non hanno purtroppo sortito alcun effetto: anche quest’anno il “Dog meat festival” (Festival della carne di cane) è costato la vita a circa diecimila animali. 

La barbarie dello Yulin Dog Meat Festival è innegabile: non esistendo, neanche in Asia, allevamenti di cani su larga scala (su grandi numeri l’allevamento di cani “da consumo” sarebbe troppo costoso rispetto alla rendita che procurerebbe), nei giorni prima del festival, in tutto il territorio vicino a Yulin, si scatena una vera e propria caccia al cane, durante la quale vengono letteralmente rapiti (infilati in un sacco) migliaia di cani, sia randagi che padronali, al fine di procurare sufficiente carne per sfamare tutti gli avventori della tradizionale manifestazione. Da questo momento i poveri animali (principalmente cani, ma accompagnati anche da gatti, la cui carne non viene affatto disdegnata dai partecipanti al festival) iniziano un lungo calvario di sofferenze, che li vede prima rinchiusi ammassati in gabbie strettissime, senza acqua né cibo, e poi uccisi in modi a dir poco atroci.

Al di là dell’essere contraria all’etica della maggior parte del mondo, che vede cani e gatti come i migliori amici dell’uomo e non certo come la portata ideale di una grigliata, questa manifestazione è pericolosissima anche a livello igienico: il rapimento di cani trovati in strada favorisce il contagio della rabbia (i randagi non sono ovviamente vaccinati, né sottoposti a controllo sanitario) a rapitori e macellai (purtroppo, invece, mangiare la carne infetta non contagia i consumatori, che se almeno corressero questo rischio, forse avrebbero un buon motivo per non partecipare al festival) che a loro volta contagiano gli individui con cui entrano a contatto. Yulin è, infatti, una delle prime località della Cina per infezioni da rabbia.

Tutto il mondo si indigna davanti ad un orrore del genere, e la Cina stessa risulta essere contraria a questa terribile manifestazione tradizional-popolare: un sondaggio online ha recentemente fatto emergere che l’87% della popolazione cinese è avverso al Festival della carne di cane. Questo, perché anche in Cina il cane è considerato un animale da compagnia. Ha fatto il giro del web e commosso l’opinione pubblica la storia di Yang Xiaoyun, insegnante sessantacinquenne in pensione, che ha affrontato un lunghissimo viaggio per salvare cento cagnolini destinati alla macellazione, portandoli nel centro di accoglienza per cani e gatti da lei fondato.

Per quest’anno, purtroppo, le mobilitazioni non sono servite a fermare questa barbara tradizione, e lo Yulin è archiviato; continuano però le petizioni online (alcune rivolte direttamente al Governo cinese) che chiedono di far chiudere per sempre questo mostruoso festival, con la speranza che dal 2016 in poi non saranno più perpetrate simili atrocità.

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