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Scuola: i vasti orizzonti generano idee complesse, i piccoli idee ristrette

Non è più tollerabile perdersi in dibattiti assurdi, i problemi della scuola non si risolvono pensando solo alle sedie rotelle e ai precari

scuola aula vuota

Aula di scuola

Gli studenti e le studentesse, che mercoledì scorso hanno manifestato davanti al palazzo del governo, sanno cosa serve alla scuola. Lo sanno e lo sapevano anche dirigenti e docenti che da mesi scrivono, lanciano appelli, forniscono suggerimenti operativi al ministero, alle regioni e alla PA per garantire che l’anno scolastico in corso potesse procedere in una nuova normalità. La scuola ha messo in atto un grande sforzo organizzativo per continuare a restare aperta e svolgere la sua funzione primaria. Ma dalla Ministra e dal commissario Arcuri abbiamo sentito solo tanta retorica e avuto chiara dimostrazione di poca capacità organizzativa oltreché, fatto ben più grave, di assenza di visione.

Un’inutile estate di polemiche sui banchi a rotelle

Abbiamo assistito per tutta l’estate a dibattiti surreali su sedie a rotelle e banchi monoposto (tra l’altro ancora non del tutto consegnati), non si è voluto prendere in seria considerazione gli avvertimenti di chi
scientificamente annunciava l’arrivo della seconda ondata cullandosi nell’illusione dello scampato pericolo. Non basta ricordare quotidianamente, con fare paternalistico e buona dose di ampollosità, che le scuole devono restare aperte: alle parole devono seguire necessariamente azioni concrete.

Per garantire la scuola in presenza, era necessario un forte sforzo di concertazione tra chi nel governo e sui territori ha responsabilità diverse: istruzione, trasporti, sanità. Non basta dire ‘teniamo le scuole aperte’, ma andavano create le condizioni perché ciò potesse avvenire in sicurezza.

Leggiamo che la ministra si prenderà carico, nelle prossime settimane, di concertare un’iniziativa per garantire trasporti coerenti con gli orari scaglionati di entrate e uscite previste dalle scuole. Ma non dovevamo farlo ad agosto per evitare così che si producessero quegli assembramenti sui mezzi di trasporto che in tutte le regioni d’Italia abbiamo avuto modo di constatare? Come dirigenti abbiamo lavorato l’estate intera per garantire ingressi e uscite scaglionate.

Sicurezza a scuola, assembramenti appena fuori

Ma poi increduli abbiamo visto i nostri sforzi vanificati, perché l’assembramento evitato a scuola si riproduceva in automatico nelle stazioni di treni e metropolitane, alle fermate degli autobus, sui mezzi di trasporto, e anche quando con ritardo di mesi si è deciso di implementare il trasporto pubblico, ove possibile, con mezzi privati, questi hanno ricalcato esattamente gli orari preesistenti senza adeguarsi ai nuovi orari di entrata ed uscita per evitare gli assembramenti nei luoghi di “raccolta” tipici dei trasporti.

Altra nota dolente: nonostante le sollecitazioni che come Azione avevamo posto già da maggio 2020, è comunque mancata l’organizzazione di misure di prevenzione e di diagnosi rapida per permettere alle scuole di continuare a lavorare con una relativa tranquillità. Alla circolare del 29 settembre 2020, inviata tra l’altro al Ministero dell’ Istruzione, a regioni e province Autonome, ai rispettivi assessorati alla sanità, al Ministero della salute e alla Direzione generale della prevenzione Sanitaria, firmata dal direttore generale Giovanni Rezza che suggeriva come l’utilizzo dei test rapidi nelle scuole potesse essere un elemento importante di prevenzione della diffusione del virus, ad oggi accora nessuna risposta.

Il controllo sul Covid nelle aule scolastiche

E nessuna iniziativa in tal senso è stata intrapresa a livello nazionale o territoriale. Riporto testualmente il passaggio della circolare: “Pertanto, l’utilizzo di tale tipologia di test in ambito scolastico, anche considerando i possibili limiti nelle caratteristiche del test, potrebbe accelerare la diagnosi di casi sospetti di COVID-19. Infatti, è del tutto lecito assumere che la frequenza di episodi febbrili nella popolazione scolastica nel periodo autunnale e invernale sia particolarmente elevata.

E che sia necessario ricorrere spesso alla pratica del tampone per escludere in tempi rapidi la possibilità che si tratti di COVID-19, nonché per individuare prontamente i casi, isolarli e rintracciarne i contatti, facilitando la decisione di applicare o meno misure quarantenarie in tempi brevi e con un risparmio notevole di risorse, evitando un eccessivo sovraccarico dei laboratori di riferimento. In caso di sospetto diagnostico ovvero in caso di esposizione al rischio del personale scolastico o degli alunni, ove sussistano i presupposti sopra indicati, si può, pertanto, ricorrere anche al test antigenico rapido”.

La ministra Azzolina e i problemi sono antichi

Per mesi la ministra Azzolina si è difesa affermando che i problemi della scuola non sono di ora, e certamente è così. Ma questo non può costituire un alibi per chi ha la responsabilità di un ministero così importante,
assolvendolo dal dovere di individuare soluzioni efficaci per affrontare l’emergenza ma che nel contempo possano però contribuire a introdurre cambiamenti strutturali.

Senza dubbio il Covid19 ha agito come l’evidenziatore dei mali della scuola, ma la domanda giusta da porsi è: abbiamo fatto le cose giuste per affrontare la seconda ondata? No! Il Ministro e i suoi commissari straordinari si sono rifiutati di leggere i dati relativi all’ efficacia di quanto messo in campo nella fase 1 e i correttivi necessari per evitare i medesimi errori.

Ma cosa ci dicono i dati sulla Dad?

I primi dati sugli esiti della DAD, emersi da una ricerca condotta da SIRD (società italiana di ricerca didattica), restituiscono il quadro di un’esperienza desolante. Le percentuali di coloro che la Dad non ha raggiunto, o lo ha fatto solo parzialmente, mettono in evidenza come non intervenendo con razionalità e capacità organizzativa il divario tra coloro che hanno opportunità e chi per motivi geografici, culturali,
infrastrutturali ne è privo, aumenta in modo esponenziale. I numeri sono significativi e importanti e non ammettono scuse.

In Italia hanno “abbandonato” il 37% degli iscritti alla prima infanzia, con percentuali in Marche, Umbria, Sardegna e Sicilia che superano il 45%. Va un po’ meglio a livello italiano nella scuola primaria dove la percentuale di coloro che non hanno usufruito della DAD in modo adeguato si attesta intorno al 22%, pur permanendo aree di forte criticità in Trentino Alto Adige, Basilicata, Campania, Sicilia, dove la percentuale supera il 30%.

Basilicata, Puglia, Liguria, Sicilia, Campania e Calabria

Quando si passa alle scuole medie e superiori si riscontra che uno studente su 4 è stato sostanzialmente “privato” della scuola. In alcune regioni come Basilicata, Puglia, Liguria, Sicilia, Campania e Calabria il rapporto è uno a tre. A fronte di ciò, la Ministra crede che la risposta da dare per non ricadere in questa spirale fosse “compriamo sedie con le rotelle”? L’ onestà intellettuale dovrebbe impedire di adottare specchi per le allodole al fine di
coprire le gravi mancanze che hanno contraddistinto la fase uno e l’inadeguatezza nel prepararsi alla fase due.

Non era forse meglio utilizzare i mesi di chiusura delle scuole, da marzo a giugno estate compresa per adeguare quanto più possibile la rete infrastrutturale delle scuole, le competenze digitali degli insegnanti e
la dotazione di dispositivi informatici per i singoli istituti? Così magari quei due miliardi spesi per banchi e sedie ora vuoti avrebbero permesso di non essere nuovamente nudi in questa fase due dell’epidemia.

Ancora troppi studenti senza docenti

E ancora, abbiamo perso mesi importanti per dibattere concorso si, concorso no, dimenticandoci che il 14 settembre sarebbe suonata la prima campanella e molte cattedre sarebbero rimaste scoperte, ma ancora oggi -come denuncia l’ANP- molti studenti sono privi di docenti disciplinari e di sostegno. Eppure un po’ di coraggio, usando le leve dell’autonomia scolastica che già esiste e gli strumenti straordinari che una situazione come quella attuale prevede, poteva permettere di fare prima e fare meglio introducendo qualche piccolo miglioramento di cui le scuole avrebbero potuto beneficiare anche a fine emergenza.

Chiudo con una riflessione: non è più tollerabile perdersi in dibattiti assurdi, i problemi della scuola non si risolvono pensando alle sedie rotelle e ai precari (che pure meritano una risposta) ma cercando una prospettiva per la nostra scuola e delineando l’orizzonte verso cui vogliamo andare. Solo così ogni azione avrà coerenza, non sarà fine a sé stessa e sarà un mattoncino per ridisegnare la scuola europea e connessa al mondo, cosa che stiamo aspettando da anni. Perché, come scriveva Victor Hugo, “I vasti orizzonti generano le idee complesse, i piccoli orizzonti le idee ristrette”.

di Laura Scalfi,
Direttore generale
Giuseppe Veronesi centro di istruzione scolastica e di formazione professionale – Liceo Steam International


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