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Scuola-Far West: giovani bulli crescono, genitori incapaci e aggressivi. Docenti ridotti a badanti

L’attuale scuola non è soltanto inutile, ma addirittura dannosa, proprio per il fatto che i giovani crescono in classe senza responsabilizzarsi

Ragazzi a scuola sui banchi seduti di spalle che scrivono

Non si contano più le aggressioni da parte di studenti e genitori ai danni di docenti e presidi e la cronaca, sempre più nera, ne mostra una crescita esponenziale. All’incremento numerico, già preoccupante di per sé, si aggiunge un salto di qualità pauroso. Fino a poco tempo fa gli insegnanti venivano aggrediti verbalmente, poi si passava alle mani; oggi si inizia subito così, o addirittura con le armi.

I casi di aggressione nella scuola ormai sono quotidiani

Sarebbero tanti i casi da riportare come esempio di un malcostume del tutto simile a quello dei quartieri dominati da mafia e camorra, ma ci basterà citarne alcuni.

1) Milano, nell’Istituto Comprensivo S. D’Acquisto, metà maggio di quest’anno: durante la ricreazione uno studente di 13 anni (terza media) aggredisce e picchia selvaggiamente, senza un motivo apparente, un compagno di classe. L’insegnante separa i due ragazzi a forza, cercando di calmare l’aggressore. Terminata la ricreazione, il giovane si avvicina alla professoressa, la quale pensa che abbia capito e voglia scusarsi; si accorge però che quello la guarda torvo, poi improvvisamente le sferra un pugno in un occhio, mandandola a terra.

La donna urla, colleghi e bidello accorrono per rialzarla. Viene portata al pronto soccorso, dove le diagnosticano un danno alla retina.

Il Collegio Docenti decide la sospensione dello studente per 15 giorni, però si esprime così :

“La scuola non punisce, ma si occupa di stimolare il senso di responsabilità e consapevolezza dell’alunno… la famiglia e lo stesso hanno il diritto di audizione (!), per dare la loro spiegazione dell’accaduto”.

Altro caso a Rovigo

2) Rovigo, ottobre 2022. Una insegnante di Scienze, all’Istituto Tecnico Industriale, viene colpita alla testa e ad un occhio da pallini di gomma sparati da un alunno con una pistola ad aria compressa.

I compagni di classe (24 ragazzi) riprendono la scena con il telefonino e la inviano su Whatsapp e Tik Tok. L’autore del gesto viene sospeso per appena 5 giorni.

L’insegnante, a casa convalescente, non soddisfatta di alcune scuse formali presentate da un genitore (non quello dell’alunno), ha dichiarato: “insegno da più di vent’anni, oggi non mi sento più la stessa”, aggiungendo di aver paura dei ragazzi. Perciò ha presentato formale querela contro tutta la classe, anche per cercare di “rompere il clima di omertà che si è instaurato.

3) Sempre nell’ottobre ’22 a Gallarate (Varese) in un ITIS, l’insegnante di Lettere, una giovane precaria, entrata in una seconda classe per tenere una lezione di Educazione Civica sul rispetto, trova sulla cattedra un foglio con sopra disegnata una svastica.

La docente chiede a tutti gli alunni chi sia l’autore; i ragazzi non rispondono, ma indicano uno di loro con gli occhi. Il ragazzo viene fatto uscire dall’aula. Al termine delle lezioni rientra e, spintonando alcuni compagni, si avvicina alla professoressa e la colpisce con un pugno in faccia.

Il Preside ha deciso la sospensione del giovane dalle lezioni fino alla fine dell’anno.

Cosa dice il ministro dell’Istruzione

Sul caso è intervenuto anche il ministro Valditara, esprimendo la sua solidarietà all’insegnante ed a tutti i docenti, dichiarando: “la scuola deve tornare ad essere un luogo sereno di formazione e di educazione”. Giusto. Ma come?

4) Ultimo grave fatto in ordine di tempo, di cui hanno ampiamente parlato i talk show, l’aggressione con un coltello da caccia ai danni di una docente di Lettere avvenuta in una seconda classe di Liceo dell’Istituto Alessandrini di Abbiategrasso, in provincia di Varese.

Uno studente di quasi 17 anni, ripetente, che aveva già avuto note disciplinari per atti di disturbo delle lezioni (una volta aveva staccato la corrente elettrica per impedire l’uso della LIM, la lavagna elettronica) sapeva che l’insegnante voleva interrogarlo un’ultima volta in Storia per fargli recuperare il debito, la mattina di lunedì 29 maggio.

Si era recato regolarmente a scuola, portando nello zainetto un pugnale d’acciaio di 20 cm e una pistola ad aria compressa.

Ad un certo momento, quando la professoressa passava tra i banchi, si è alzato e l’ha aggredita alle spalle con il coltello, procurandole lesioni alla testa, alla spalla e all’avambraccio destro; quindi ha estratto la pistola, minacciando i compagni.

La docente è stata subito soccorsa dai colleghi e trasportata all’ospedale, dove hanno dovuto, tra l’altro, ricucirle i tendini del polso.

Il ragazzo, prelevato a scuola dai carabinieri, è stato incriminato per tentato omicidio aggravato dalla premeditazione. Alcuni giorni prima aveva scritto sulla chat ai compagni di classe: “Io quella lì la faccio fuori”. E’ stato sospeso dalle lezioni fino alla fine dell’anno.

Il Ministro dell’Istruzione esprime solidarietà agli insegnanti, ma tranquillizza gli studenti.

La solidarietà di Valditara

Anche in quest’occasione c’è stata l’espressione di solidarietà del ministro Valditara, accompagnata dalla riflessione della necessità del sostegno psicologico generalizzato a tutti gli studenti, le cui emozioni ed i conseguenti comportamenti sono stati, si dice, fortemente alterati dal periodo di mancata socialità dovuta alla pandemia.

Fino al punto di dichiarare che negli imminenti esami di maturità i docenti esaminatori non dovranno chiedere all’esaminando le nozioni particolari di qualsiasi materia, anche se si tratta di concetti fondamentali. Dovranno, invece, condurre un colloquio generico con lo studente sul come egli abbia trascorso l’ultimo anno a scuola (!), sui suoi interessi generali e sul come voglia proseguire lo studio o inserirsi nel mondo del lavoro.

In sostanza dell’esame finale, che finora era guidato e assistito in ogni suo passaggio, garantendo l’esito positivo, ormai viene abolito perfino il concetto.

Insomma, il rapporto tra i docenti e gli studenti si è ulteriormente deteriorato in questi ultimi anni, come dimostra anche qualche reazione oltremodo nervosa dei primi.

A Pontedera, in provincia di Pisa, in un istituto superiore uno studente sbeffeggia un professore salendo sulla cattedra dietro di lui, saltellando ed infine facendo il segno di “V” verso i compagni, che intanto riprendevano la scena. All’improvviso l’insegnante, che stava guardando qualcosa sul PC, si gira e sferra un pugno allo stomaco dell’alunno, che si piega per il dolore.

Il docente è stato immediatamente sospeso dal lavoro.

Non si contano poi le aggressioni di familiari ai docenti, rei di aver dato agli alunni qualche brutto voto o qualche richiamo.

Le radici del conflitto tra insegnanti e utenti della scuola

Ma che il rapporto docenti alunni e famiglia, definiti utenti del servizio scuola sia così degenerato ha poco a che vedere con la pandemia.

L’origine risale alla seconda metà degli anni ‘70 ed ai successivi ’80, quando sono state messe le radici della concezione della scuola come servizio sociale che, per garantire l’accesso e la frequenza a tutti “fino ai gradi più alti dell’istruzione” abolì del tutto la selezione meritocratica, giudicata classista tout court.

Quindi le discipline scolastiche, o meglio le singole materie, furono depauperate dei loro contenuti formativi, troppo pesanti per bambini e giovincelli che a scuola dovevano, si è detto, trascorrere il tempo a loro completo agio, senza problemi.

Il ruolo dei docenti

Parallelamente, i docenti sono stati deprivati non tanto del loro cosiddetto potere di giudicare, inviso alla plebaglia ignorante vezzeggiata dalla politica, quanto soprattutto della loro capacità di trasmettere le conoscenze importanti, che non possono essere “leggere”; magari esse vanno date agli individui in grado diverso, sempre in modo da stimolare la crescita migliore.

Si è infine messo sullo stesso piano gli utenti con i docenti: nei consigli di classe, per legge i genitori hanno il diritto di giudicare i programmi di studio, la loro applicazione e soprattutto i giudizi sui loro figlioli.

Tutte queste riforme deformanti sono state attuate dalla politica di sinistra; la destra le ha recepite in toto, aggiungendovi (sarebbe meglio dire esasperando) l’attenzione particolare alle competenze

pratiche e manuali richieste dal mercato del lavoro.

Cosa peraltro inutile del tutto inutile, poiché le competenze sono volatili.

Al contrario, i giovani avrebbero invece più bisogno di conoscenze teoriche, con le quali sarebbero poi in grado di aggiornarsi a seconda delle loro necessità, seguendo l’evoluzione tecnica.

L’uso politico della scuola, sia di governo che di opposizione

Pratica nettamente contraria alle esigenze dei cittadini

Ma la politica, di qualsiasi linea, falsifica sempre i problemi e le esigenze dei cittadini a seconda delle proprie necessità di acquisire e mantenere il potere.

Ora che sta al governo, la destra ha perfino cambiato nome al ministero della scuola, chiamandolo Ministero dell’Istruzione e del Merito, dichiarando pure di voler ridare dignità alla Funzione Docente.

Al che, qualche persona in buona fede, o troppo credulona, potrebbe pensare che finalmente si restituisca ai cittadini un’istruzione pubblica degna di questo nome, mentre i gruppi lacerati della sinistra urlano alla grande Restaurazione, condannando la presunta volontà del governo di volere una scuola per pochi.

Volontà del tutto inesistente, viste anche le ultime dichiarazioni del Ministro, che vuole che tutti superino l’esame finale (che non è più un esame, ribadiamolo) : così si ristabilirà un clima di serenità nella scuola!

Ragazzi a scuola, un parcheggio di massa

Ovvero, essa continuerà ad essere il grande parcheggio di massa di giovani sempre più ignoranti e privi di prospettive per il futuro.

E ciò conviene a tutti, sia alla destra che alla sinistra: definizioni politiche prive di senso, se non per la distinzione tra le formazioni dei partiti, che ormai poco o niente ha a che vedere anche con le rispettive origini storiche.

Del resto, un popolo di ignoranti si manipola meglio, perciò fa comodo a tutti.

Per chiarire la questione, affermo di trovarmi in pieno accordo con le idee espresse dallo psichiatra Paolo Crepet nei recenti articoli in cui ha dato i suoi giudizi sugli ultimi episodi di bullismo e sulle dichiarazioni del ministro.

In particolare, sui passaggi in cui sostiene che la scuola è stata distrutta nella sua funzione centrale, quella di trasmettere e ricreare cultura, da una assurda concezione egualitaristica venuta fuori da anni terribili della nostra gioventù. In quell’epoca, quella dell’esplosione libertaria del ’68 e dei successivi anni di piombo, moltissimi giovani sono stati distrutti dalla droga. Altri hanno eliminato con la violenza molti uomini, spinti dalla fede cieca in ideologie totalitarie.

Il ruolo dei genitori a scuola

In seguito, sempre per la contestazione assoluta dei valori sociali, ci si è rifiutati di assumere la giusta posizione genitoriale.

Nelle generazioni successive, ci siamo atteggiati ad amici o compagni dei nostri figli, facendoli crescere deboli e privi di valori di riferimento, tranne quello di affermarsi sugli altri in ogni modo.

Ma se un ragazzo, un giovane, non ha mai una prova personale da affrontare e risolvere, se non subisce mai uno scacco, sarà incapace di reggere la minima frustrazione.

Nella scuola, un voto negativo o la bocciatura possono scatenare le reazioni più distruttive.

Inoltre, ci si abitua a non rendere conto mai delle proprie azioni, direi a non scontare le proprie colpe, anche le peggiori.

Bisogna riaffermare che non si può dare educazione senza regole

All’analisi del Prof. Crepet aggiungerei che l’attuale scuola non è soltanto inutile, ma addirittura dannosa, proprio per il fatto che i giovani vi crescono senza responsabilizzarsi; così, dai cosiddetti “scherzi social” compiuti da piccoli, parte di loro diverrà poi criminale da adulti.

E cioè, questa scuola funziona principalmente come vivaio della malavita. Pertanto andrebbe immediatamente chiusa, per garantire la collettività.

L’alternativa sarebbe di rifondarla, abolendo tutte le leggi che l’hanno resa così com’è oggi, e restituire l’autorità ( non l’autorevolezza del ministro) ai docenti, insieme all’autonomia nella gestione del loro sapere unita a un serio autocontrollo professionale, indipendente dalla politica.

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