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Scuola, andranno in galera gli alunni che picchiano gli insegnanti. E i genitori che dicono?

Gli insegnanti raccontano di rimproveri che diventano pretesto per minacce, di valutazioni che scatenano ritorsioni, di colloqui con i genitori che si trasformano in scontri

Bambina_Scuola_pexels-pixabay

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“Un educatore non si tocca, un insegnante non si tocca”. Le parole del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara arrivano dopo l’ennesimo episodio di violenza in una scuola italiana, e sintetizzano un sentimento sempre più diffuso tra chi ogni giorno lavora nelle aule: la paura.

Nelle scuole l’aumento delle aggressioni contro gli insegnanti

Paura di non poter più svolgere serenamente il proprio mestiere, paura che la relazione educativa venga travolta da dinamiche che con l’apprendimento non hanno nulla a che fare.

Secondo i dati forniti da associazioni di categoria e sindacati, il numero di aggressioni fisiche e verbali nei confronti degli insegnanti è in costante aumento. E non si tratta più solo di casi isolati o eccezionali. L’aggressione può arrivare dallo studente, ma anche dal genitore, che si presenta a scuola convinto di dover difendere a ogni costo il figlio, anche a scapito dell’autorità educativa dell’insegnante.

C’è qualcosa che si è rotto nel patto educativo tra scuola e famiglia. Una frattura che non nasce oggi, ma che oggi diventa evidente, plastica. Gli insegnanti raccontano di rimproveri che diventano pretesto per minacce, di valutazioni che scatenano ritorsioni, di colloqui con i genitori che si trasformano in scontri. A volte il conflitto si accende per un voto giudicato ingiusto, altre per una nota disciplinare. La reazione, però, travalica sempre più spesso i limiti del confronto civile.

Questa tensione costante mina la capacità dell’insegnante di esercitare un’autorità educativa serena. E quando l’autorità è percepita come una provocazione, la scuola rischia di trasformarsi in un’arena dove si misurano frustrazioni personali e conflitti irrisolti.

Un’emergenza culturale prima che disciplinare

Il ministro ha annunciato la possibilità di arresto in flagranza per chi aggredisce un docente. Misura forte, simbolica, destinata a far discutere. Ma al di là del piano normativo, il nodo è culturale. Perché se un insegnante viene aggredito, significa che qualcosa si è spezzato nella percezione pubblica del suo ruolo. Significa che il rispetto, una volta implicito, oggi va reclamato, a volte perfino imposto.

La scuola è diventata specchio fedele di una società in cui il dialogo è spesso sopraffatto dal diritto di sentirsi offesi, e dove la responsabilità educativa sembra essere diventata un campo di battaglia. La figura dell’insegnante, anziché essere vista come alleata nella crescita dei ragazzi, viene troppo spesso letta come ostacolo da superare, autorità da contestare.

La solitudine del docente

Molti insegnanti descrivono un senso crescente di isolamento. La gestione di una classe difficile, un episodio di violenza verbale, un confronto acceso con i genitori: tutto ciò accade spesso in assenza di una rete di supporto reale. Le istituzioni scolastiche fanno ciò che possono, ma raramente un docente trova strumenti efficaci per affrontare queste situazioni senza sentirsi lasciato solo.

E allora si fa strada il dubbio: vale ancora la pena? Una domanda che tanti insegnanti si pongono. Non per mancanza di passione, ma per una stanchezza che non è solo fisica. È la fatica di chi sa che il proprio ruolo è essenziale, ma sente che la società non sempre lo riconosce, anzi talvolta lo delegittima.

Ricucire il patto educativo, una responsabilità collettiva

Forse è il momento di smettere di parlare della scuola solo in termini di sicurezza, di disciplinare, di misure punitive. Serve tornare a pensare all’educazione come a un processo condiviso. Famiglia, scuola, comunità: sono queste le tre gambe di un tavolo che, se ne manca una, non sta in piedi.

Ciò che si chiede agli insegnanti non è solo di trasmettere conoscenze, ma di educare, accogliere, comprendere. Compiti giganteschi, che non possono essere svolti in un clima di sospetto o ostilità. C’è bisogno di rispetto, ma anche di ascolto.