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Sarà difficile recuperare l’immagine di Roma dopo “Mafia Capitale”

Volgersi al ristoro e alla cura della propria immagine – così vilmente ferita – sarà un compito molto complesso

La Corte d’Appello di Roma ha ribaltato la sentenza di primo grado del processo sull’indagine ‘mondo di mezzo’ riconoscendo l’associazione per delinquere di stampo mafioso prevista dall’articolo 416 bis del codice penale per alcuni degli imputati. Al contempo c’è stata anche una riduzione delle pene previamente inflitte. Il termine mafia che compare nella sentenza (seppur non ancora definitiva, sarà la Cassazione a chiudere nel tempo la questione) dà un significato più angoscioso e spettrale agli avvenimenti funesti.

Al di là delle stesse conseguenze penali. Si noti infatti che l'articolo 416 bis del Codice Penale prevede e punisce il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, reato che preclude l’accesso a tutti i benefici e le misure alternative alla detenzione, tranne nel caso che il condannato collabori con la giustizia oppure che la sua collaborazione sia impossibile perché tutti i fatti sono già stati accertati.

Pene ridotte dunque, ma da scontare. Poco forse? Meglio meno, ma certo e subito.

Con il denotare l'aggravante del comportamento mafioso degli imputati, a mio modo di vedere è scomparsa una certa provincializzazione dei delitti commessi nella città di Roma e puniti anche in appello. Non si è trattato di una logica dagli affari meramente locali. Lerci interessi circoscritti. Il tentativo di voler ridimensionare la condotta degli imputati di “mondo di mezzo” a semplice e limitata criminalità organizzata, quasi come un delitto de noantri – si è scontrato sulla decisione della magistratura d'appello che ha accolto le richieste dei Pubblici Ministeri, a loro volta rifiutate in primo grado.

Criminalità mafiosa è istituto più grave di semplice criminalità fine a sé stessa. Cerchiamo di chiarire.

L'animus delittuoso mafioso ha connotati specifici: mafia è uno dei concetti mito della società che hanno reso purtroppo l'Italia protagonista dell'export delittuoso– e che le scienze sociali hanno analizzato per decenni come sistema criminale che in varie forme, ambiti e strutture tenta – e in molti casi e luoghi riesce – addirittura di sostituirsi allo Stato: e qui ripeto: lo Stato. Da cui appunto segue una maggiore gravità delle conseguenze del reato stesso di associazione a delinquere per gli imputati ritenuti colpevoli di tale aggravante mafiosa.

Per Roma dunque, dopo la sentenza di appello, con l'aggravante mafiosa, cala un velo di vergogna che macchia la città. La Capitale, Roma, è stata tenuta in ostaggio da un sistema opprimente e dai connotati oscuri, una struttura che ha dettato per anni peculiari azioni mafiose a danno di tutti e a vantaggio di pochi.

Non possiamo sminuirne la gravità. Senza voler entrare nei termini e nei fatti vivi del processo “mondo di mezzo”, in generale, una di queste azioni mafiose è (e nelle carte del processo si leggono) senz'altro la minaccia e la richiesta di pizzo: quella forma di presunta protezione che le organizzazioni mafiose garantiscono ai commercianti di una certa zona, in cambio del pagamento (estorto) di una somma di danaro. A Roma non si lavora se non in una data maniera. Per appalti o contratti, si deve passare da qui. E via discorrendo. La normalita' delle cose e' scambiata e sviata in un tunnel di violenza e minacce. Ma “protezione” sappiamo essere compito di stretta pertinenza dello Stato, dei suoi organi e delle sue istituzioni. Il volersi sostituire allo Stato – con metodi appunto mafiosi, da parte di un'organizzazione criminale, denota pericolo e gravità del concetto stesso.

E' per questo motivo che oggi – con quell'aggravante sul groppone (d'accordo non sarà stata quella il solo veleno presente a Roma) per Roma Capitale tutta, cittadini e strutture di per sé incolpevoli – sarà molto più faticoso uscire da quell'apnea. Roma pare immobile. Indietro rispetto al resto del mondo. Nonostante sia sempre Roma.

Volgersi al ristoro e alla cura della propria immagine – così vilmente ferita – sarà un compito molto complesso: che la Giunta attuale da sola abbia tale forza ed autorità è tutto da vedersi. Lo Stato intero, piuttosto, in tutte le sue forme, dovrà collaborare a risanare la ferita, mantenendo alta la guardia e sfruttando tutte le risorse sane della città. La cura dovrà essere degna del colpo inflittole e dello stato in cui sopravvive a fatica.

La speranza è quella di rivedere Roma in sé eterna. Con risorse umane e finanziarie straordinarie che sappiano semplicemente risvegliarla. Se la nostra città si rialzerà, lo potrà fare infatti solo grazie alle sue eccezionali sembianze di icona d'arte e di storia; la città deve rendersi da subito protagonista internazionale e marchiare di successo col proprio unico fascino il mondo intero e non più quello di mezzo.

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